Corpi  indocili  si raccontano nell’ultima ‘Marea’

 

 

Editoria

 

 

(Roma). Possono uomini e donne di questo Paese decidere liberamente sulle proprie scelte di vita e di fine vita? La vicenda Welby prima e quella, più recente, di Eluana Englaro,  ci hanno dimostrato che  questa possibilità, ove si conquista,  è strappata al prezzo di battaglie lunghe e dolorose. E’ su questo crinale faticoso  che ci riporta l’ultimo numero della rivista ‘Marea’ Il corpo indocile.  Una rivista che ci ha abituate negli anni a riflessioni scomode e necessarie e che affronta, “nonostante le rimozioni della politica, il tema della scelta  sul proprio corpo, in ogni fase della vita e quindi anche nella sua fase terminale” .

 “L’Italia sconta un ritardo, e una endemica tensione rimottiva e censoria su questi temi, non solo grazie alla pervasiva presenza culturale e politica della Chiesa cattolica, ma anche perché da qualche decennio le correnti critiche laiche e dei diversamente credenti hanno cessato di fare pressione su questi argomenti “, scrive nell’editoriale la direttora Monica Lanfranco,  che sottolinea come “ i movimenti delle donne non hanno mai chiesto leggi escludenti, né per la regolamentazione dell’interruzione della gravidanza, né per la procreazione assistita. Il principio è sempre stato quello di permettere, laddove ce ne fosse il bisogno, che il soggetto femminile potesse accedere a dei servizi”. Una richiesta inascoltata, evidentemente, anche sulle questioni del fine vita.

Il numero monotematico nasce da un primo momento di confronto nel seminario aperto tenutosi dall’11 al 13 settembre scorso, organizzato dalla rivista e dal Forum delle donne in Rifondazione Comunista; da una parte le narrazioni di uomini e donne “che hanno vissuto passaggi cruciali a livello personale sul  tema dell’autodeterminazione nella vita e nel fine vita”, dall’altra momenti di approfondimento sul terreno della giurisprudenza, dell’etica, della scienza , della medicina e della filosofia. Scopo dichiarato delle curatrici -  Lanfranco e Guidetti della rivista, e Erminia Emprin Gilardini, del Forum in R.C. –“offrire strumenti a chi legge, rafforzando la presenza di voci femministe autorevoli che aiutino a ridare senso alle battaglie laiche sul corpo e la libertà di scelta”.

Anche la  malattia è occasione continua per un  disciplinamento dei corpi, come sottolinea, a partire dalla sua personalissima esperienza, Emprin Gilardini: “Parlo di una relazione complessa come quello tra una biografia e una diagnosi, tra il ‘chi’ (la persona incarnata) e un ‘che cosa’ tra i molti  (la malattia) nel vissuto di una donna ‘capace di intendere e di volere’, per stare alla definizione giuridica. O di autodeterminarsi, per stare all’esperienza sessuata storicamente socialmente geograficamente e culturalmente situata della mia vita di donna bianca . La pratica del partire da sè e dell’autocoscienza, la critica femminista alla filosofia, alla storia, al diritto, alla medicina e alla scienza mi hanno dato molti strumenti, a cominciare dall’analisi del rapporto tra il corpo sessuato, la storia e la storia dei saperi . Mi hanno anche convinta, non da oggi e tanto più nell’era delle biotecnologie applicate e delle nuove significazioni del corpo che da esse prendono le mosse, della necessità di praticare uno scarto, di fare spazio a una modalità di confronto di donne e di uomini diversa e a una dimensione ‘altra’ della politica, attraversata dalla riflessione e dalla pratica molteplice di donne e di femministe in luoghi e gruppi diversi e dallo scambio narrativo delle esperienze”. Ma l’umanizzazione della medicina invocata da Emprin non riguarda solo il riconoscimento della fragilità della persona malata, investe  la decostruzione della figura sociale del medico; al medico  la politica affida oggi – nella chiusura progressiva del  dibattito aperto  dalle vicende  di Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli e Eluana Englaro – la parola totalizzante e risolutiva su questi temi, producendo una giurisprudenza  che viola  i  diritti che si dichiarano di voler tutelare,  attraverso gli obblighi e i divieti imposti, di volta in volta,  all’autodeterminazione femminile sulla nascita (la 194 sull’aborto o la legge 40 sulla fecondazione assistita), alla volontà di donne e uomini sul percorso di fine vita (il disegno di legge sul testamento biologico) .

Nell’ultimo disegno di legge sul testamento biologico si completa, per Emprin, “la trasformazione della figura medica in detentrice responsabile dell’applicazione delle terapie legittime, mentre le convinzioni di chi è in cura sono respinte nell’irrilevante giuridico e politico” , dal momento che  “i corpi alla deriva sono consegnati alla sudditanza in uno Stato che si fa etico, le loro biografie ristrette in protocolli diagnostici e prognostici”.

Il numero, che sarà presentato a Milano il 12 novembre all'Unione Femminile (ore 21, presenti   Ivana Alesso, Giovanna Capelli, Maddalena Gasparini e Monica Lanfranco)  si avvale di numerosi  contributi teorici e di interviste,  a Mina coraggiosa compagna di Piergiorgio Welby, e a Lisa Canitano, ginecologa romana e presidente dell’associazione Vitadidonna, sulle difficoltà dell’immissione in commercio della  pillola abortiva RU486.

(Delt@ Anno VII, N 198  del 26 ottobre 2009)                                                                 Ro.C