Storie di donne Svestite da Uomo

 

 

Editoria

 

 

(Roma) “La missione degli abiti non è solo quella di tenerci caldi/e. Essi cambiano l’aspetto del mondo ai nostri occhi , e cambiano noi agli occhi del mondo [...]  Cosi si potrebbe sostenere che sono  gli abiti che portano noi e non viceversa. Noi possiamo far si che essi modellano per bene un braccio un petto, ma essi modellano il nostro cuore , i nostri cervelli, le nostre lingue a piacer loro. Cosa si cela dietro questa argomentazione dell’ Orlando di Virginia Woolf ? [...] e quali sono quegli abiti che modellando i nostri corpi, sembrano ridarci un altro cervello, conferendoci lo statuto di indipendenza e di libertà?

Non c’è dubbio che vestire da uomo per molte donne che volessero sfuggire ai rigidi condizionamenti sociali imposti dalla cultura patriarcale non ha significato esclusivamente poter accedere alle professioni destinati a ruoli maschili, ma essere ritenute come soggetti di pensiero e di valori universali il cui statuto è stato per millenni negato al genere femminile.

Cosi Valeria Palumbo, giornalista e caporedattrice de “L’Europeo”, nel suo saggio “Svestite da Uomo”.(Bur 2007) ripercorre la storia delle donne che in tutti i secoli, in tutte le culture ed estrazione sociale, si sono sottratte alle regole dei costumi e hanno assunto abiti maschili per conquistare un’indipendenza altrimenti irraggiungibile.

Donne che si sono vestite da marinaio, da frate, da soldato, da moschettiere, fingendosi accademici, dottori, faraoni, esploratori, banditi, e addirittura finti castrati semplicemente per navigare, viaggiare, combattere, studiare, comandare, cantare, scoprire il mondo. Dalle Amazzoni a Giovanna d'Arco, da Greta Garbo a Cristina di Svezia, da Marlene Dietrich a Bradamante a Caterina la Grande, il saggio narra le vicende di tutte le donne che si sono fatte passare per uomo per essere semplicemente se stesse.  E' ormai noto che il percorso dell’emancipazione femminile è stato attraversato da una spinta all’ uguaglianza e all’omologazione che celava semplicemente un anelito alla libertà nella consapevolezza della propria differenza.  A causa della loro docile natura le donne non erano destinate a essere matematiche, ingegneri, la penna nelle loro mani era ritenuto un frivolo strumento perché non accompagnato dal lume della ragione. Uno luogo comune quest’ultimo difficile da sradicare perfino nelle donne se si pensa che in un’ intervista nel 1963 di Oriana Fallaci alla scrittrice Natalia  Ginzburg, quest’ultima dichiarava di volere scrivere da uomo, cioè secondo i principi della ragione, in maniera fredda e distaccata, con giudizio, senza cadute nei sentimentalismi. “Scrivere- concludevano entrambe nell’ intervista- è un mestiere da Uomo”. Un pregiudizio socio – culturale che ha sottratto molte donne da ciò che la loro propensione o il loro desiderio le chiamava a essere o a negare la propria femminilità per assecondare le proprie aspirazioni.  Pensiamo a George Sand e George Eliot o artiste italiane del primo novecento come Linda Boniauto, Deaiva de Angelis, del tutto dimenticate, che dipingevano se stesse in abiti da uomo.

Protagoniste del travestitismo, con azioni di rottura,  a rischio anche della loro stessa vita o di incappare in dure condanne penali- come ci racconta la storia  di Mary travestita dal dottor George Hamilton denunciato dalla sua dodicesima moglie - sovverte l’ordine simbolico patriarcale che incasella i sessi in ruoli rigidi e predefiniti e in un rapporto gerarchico.

L’idea di genere attraverso il vissuto di queste donne è data nella sua precarietà e indefinibilità, nella sua incapacità di definire ed essenzializzare l’esistenza e la sessualità delle identità. Molte di loro hanno amato altre donne, sperimentando la dimensione maschile e femminile. E’ il caso della scultrice e scrittrice Gisele, amante di Guy di Maupassant e poi di altre donne, o alla famosa  Greta Garbo, incarnazione del mito dell’androgino. Il suo compagno di una breve stagione, Beaton,  dichiarò di essere andata a letto con metà uomo e metà ragazza.  Celebrata come dominatrice e divoratrice di uomini, Greta Garbo in realtà fu amante della poetessa  Mercedes de Acosta e appartenente ad un circolo intellettuale dove il lesbismo e la bisessualità venivano vissute come normalità. Si deve alla trasgressiva Marlene Dietrich il merito di aver cambiato in maniera definitiva il destino dei pantaloni. Dalle sue celebri apparizioni con abiti maschili in “Blondes Venus” o “Seven Sinners” in cui era vestita da marinaio, sino all’uso quotidiano dei pantaloni, la diva berlinese ha reso consuetudinario per tutte le donne ciò che prima era considerato trasgressivo.

Lo svestirsi degli abiti femminili per le donne non è uno svestirsi della propria natura, ma  dimostrare a se stesse ciò che il loro sesso è in grado di essere e di saper fare.

In alcuni paesi la lotta per l’affermazione di se come individui è appena iniziata.  Molte sono le donne che si nascondono in abiti maschili addirittura per guidare l’auto. Nel nostro paese è lungi dal potersi dire conclusa o pienamente realizzata. Le statistiche degli ultimi sulla rappresentanza lo dimostrano chiaramente. Ci chiediamo se non è il caso di rincominciare a travestirci da uomo!

(Delt@ Anno VI, N. 95 – 97  del 24 - 26 Aprile  2008)                                             Angela Ammirati