(Roma)
Lo scorso venerdì 25 aprile, si é tenuto a Torino, presso la
Scuola Holden
fondata da Alessandro Baricco, il PERFECT DAY. Il titolo di questa
giornata dedicata alla scrittura creativa, prende in prestito parte del
titolo del primo racconto di Salinger (autore de “Il giovane Holden”)
pubblicato sul New Yorker: A
Perfect day for Banana fish.
Noi eravamo lí per fortuna e abilitá. I partecipanti infatti,
rigorosamente a numero chiuso, potevano assistere solo previa selezione
di un racconto, dal titolo, appunto, My perfect day.
Ecco gli autori-oratori: Niccolò Ammaniti, Alessandro Baricco, Gianrico
Carofiglio, Carlo Lucarelli, Melania Mazzucco, Antonio Scurati, Domenico
Starnone, Sandro Veronesi.
Le quote rosa per quanto riguarda le autrici donne (poco piu´ del 12%),
ovvero una su otto, non possiamo dire che siano state rispettate nella
quantitá. Di certo peró la qualitá dell´incontro con
Melania Mazzucco ha
riscattato in pieno la maggioranza di autori uomini i quali, per
l´appunto, hanno scelto tutti di parlare di altrettanti autori uomini.
Melania si é invece soffermata sul romanzo “L´isola di Arturo” di Elsa
Morante, scavandone in profonditá gli angusti e reconditi specchi
ispiratori, i labirinti genetici che hanno dato vita al protagonista
maschile, in tutto o in parte, alter ego dell´autrice.
Melania ha esordito sostenendo qualcosa di davvero forte: l´importanza
della scrittura femminile in Italia risiede anche nel fatto che sono
state proprio le donne, in un certo qual modo, a salvare il romanzo del
´900. Sta poi a tutti gli autori contemporanei, grandi o piccoli,
continuare a tessere il filo con i lettori, cercando di non perdere la
matassa. Arturo stesso, è il paradigma dell´uomo salvato dai libri,
dalla fantasia e, come vedremo, dal sogno.
La scrittrice ci apre le porte segrete del romanzo mostrandoci alcuni
percorsi interni che ne possano svelare le tematiche centrali. Tutto
l´intervento di Melania sarà, infatti, coerentemente volto a mostrare
come in letteratura (e nella cultura in generale) sopravviva un sistema
aperto di vasi comunicanti in cui persone e personaggi, autori e
prodotti artistici, comunichino fra loro e oltre loro, trasformandosi e
influenzandosi vicendevolmente. Ed ecco che scopriamo il nome del gatto
del grande regista neo-realista Luchino Visconti: Arturo, oppure il nome
del padre di Arturo personaggio, chiamato il conte, facile
rimando al duca regista. Non esiste lettore senza scrittore o
scrittore che non sia stato, a sua volta, lettore.
L´ISOLA DI ARTURO : giovinezza, congedo, mito.
Passeremo in rassegna solo alcune delle numerose esplorazioni messe in
atto dalla Mazzucco a proposito del romanzo L´isola di Arturo.
L´insistenza sul tema della giovinezza come epoca d´oro, ovvero
quell´“infanzia appassionata” vissuta dal giovane Arturo le cui memorie,
paradosso per un fanciullo, sono in realtá lo specchio di una esperienza
tutt´altro che realistica, ma frutto dell´immaginario, di una dinamica
artistica, mediata. Arturo é lo scrittore e, insieme, il lettore. Questo
tema si consuma in concomitanza con eventi importanti della vita della
Morante donna, in particolare con due grandi fratture: quella biografica
del compimento dei 40 anni e quella sentimentale che segue la
separazione artistico-sentimentale da Luchino Visconti. La frattura si
fa dunque tema e ragione del romanzo.
Una donna di 40 anni, sostiene l´autrice, non é più niente: troppo
vecchia per essere madre, troppo vecchia per essere figlia.
Altro tema importante quello del congedo (correlato alla giovinezza
inevitabilmente destinata a essere “lasciata” dietro di sé) che ritorna
sempre in quel nome. Arturo come Arthur Rimbaud, che ha vissuto una
giovinezza “estrema”, precocissima, congedandosi dal proprio essere
poeta con una partenza verso l´Africa che ce lo restituirà amputato di
una gamba e della sua vocazione artistica. Partenza, congedo, fine che
può essere l´inizio di qualcos´altro, come la partenza di Arturo
dall´Isola. Come il congedo definitivo di Morante dalla letteratura come
narrazione del reale. In polemica con la tendenza documentarista degli
anni ´50 (La terra di trema di Visconti é del 1948, precedendo di
qualche anno l’inizio della gestazione del romanzo di Laura Morante)
l´autrice ci spinge verso una idea di romanzo che non ha nulla a che
vedere con la certezza documentaria del mondo neo-realista che la
circonda, ma ha anzi una vocazione all´immaginario, a un “paradiso
altissimo e confuso” (come nel verso di Sandro Penna) che sposta in uno
spazio mitico l´universo del romanzo.
Il tema del mito é un altro cardine importante. A prima vista il tempo
del romanzo appare subito come il trapassato remoto, respingendo le
gesta del protagonista in un tempo lontano, come lontane sono le gesta
di Artú, eroe che ancora una volta fa capolino dal nome del
protagonista. Ma anche la “casa dei guaglioni” dove é cresciuto
Arturo, cos´é se non un luogo mitico, lasciato ai fanciulli maschi da un
uomo cieco come un cantore omerico? Circondato da cani, come un
abitatore degli inferi, Romeo l´Amalfitano é a sua volta
personificazione del mistero, del segreto. Segreti e misteri nidificano
nell´immaginario di Arturo che poco a poco riesce a svelarli, nello
stesso modo in cui il romanzo procede verso il suo compimento e la
nostra autrice ci svela il senso profondo di un´opera tutt´altro che
semplice.
Nell´intervista che segue cercheremo di conoscere ancora meglio il suo
approccio letterario.
Quali sono, oltre a Morante, altre
due autrici donne
paradigmatiche per la letteratura, (italiana e non) del 900? Pup´
suggerircene una valida per tutti i tempi, che l´ha nutrita e ispirata
nel corso del suo lavoro creativo?
Fra le scrittrici italiane, vorrei ricordare almeno
Anna Banti, che mi ha
insegnato cosa significa scrivere la vita di un personaggio-persona
realmente esistito, e Maria
Bellonci, che mi ha insegnato ad esplorare le memorie degli archivi
e delle antiche carte. Fra le non italiane, Marguerite Yourcenar, che ci
ha lasciato un’opera classica e senza tempo – su cui non si deposita la
polvere: compiuta e insieme aperta, capace di parlare, come tutti i
classici, a ogni generazione. Le mie poetesse preferite però restano le
russe Anna Achmatova e Marina Cvetaeva. Vorrei ricordare infine anche
due contemporanee, Christa Wolf, per le sue illuminanti riscritture del
mito, e Joyce Carol Oates, romanziera prolifica e torrenziale che molto
ammiro.
Qual´é secondo lei il valore del
sogno nell´elaborazione
poetica del nuovo millenio?
Essenziale per me, che credo molto alla scrittura come affioramento e
ritorno del vissuto, elaborato però in una sorta di incoscienza o
coscienza preliminare. Scarso credo invece per una sensibilità
contemporanea costruita sulla saturazione dello stimolo e sulla
orizzontalità: che però significa recidere alle radici le possibilità
dell’immaginario. Solo la profondità – cioè l’altezza, la verticalità –
per me può generare conoscenza.
Quale peso ha l´esperienza
femminile
nell´elaborazione di una sensibilitá letteraria condivisa e/o
condivisibile? Voglio dire, esiste una esperienza esclusiva, di genere,
che possa generare a sua volta una sensibilitá altrimenti appannaggio di
un punto di vista maschile (maternità, sesso, lavoro, eccetera)?
Una volta si diceva che l’epica (che racconta l’uomo in lotta col mondo)
era il genere maschile per eccellenza, mentre alle donne si addiceva il
racconto intimo e psicologico (l’uomo in lotta con se stesso).
Riproponendo il determinismo sessuale del fuori/dentro, maschio/femmina,
si contrapponeva esteriorità e interiorità come tipici del genere. Ma io
non ci ho mai creduto e non ci credo. Per me non sono né gli argomenti
né lo stile l’indice della sensibilità di genere. Gli argomenti dei
libri – come i soggetti dei quadri dei pittori – in fondo sono sempre
gli stessi. Tutti i romanzi parlano sempre della morte, dell’amore,
della guerra, del tradimento eccetera – cioè della vita. Ciò che
identifica uno scrittore e lo rende diverso da tutti gli altri non è
nemmeno il modo in cui scrive (lo stile). E’ il modo in cui
vede il mondo, cioè gli
uomini, le donne, le cose – e come li mette in scena, ovvero li
racconta. E in questo, la sensibilità personale è tutto – cui
contribuiscono il sesso, l’anagrafe, l’epoca in cui ti è toccato vivere,
l’esperienza. La prospettiva di genere è una delle varianti della
composizione: informa l’occhio dello scrittore – della scrittrice – ma
naturalmente non è sufficiente a creare il quadro. Solo l’insieme di
queste varianti costituisce quella sfuggente entità che chiamiamo Io.
Il tema della giovinezza abbiamo visto come sia dominante nell´opera di
Morante. Quale relazione sussiste, a suo parere oggi, tra la giovinezza
e la maturitá della donna? Quali sono le caratteristiche e le differenze
che dominano tali posizioni generazionali (per non dire ruoli) della
donna?
Oggi la frontiera dei quarant’anni – che a Morante sembrava condurre nel
paese della vecchiaia, non è molto sentita. Forse perché – con
l’illusione di annullarle - le frontiere tendono a spostarsi in avanti:
dal Cinquecento all’Ottocento era la donna di trent’anni ad avvicinarsi
alla fine della giovinezza. In Italia oggi pare che la frontiera fra le
due epoche della vita sia piuttosto la maternità – forse l’unica cesura
socialmente riconosciuta.
Io personalmente, che non credo in nessun determinismo ma solo
nell’esperienza individuale che ci arricchisce e ci crea, non ho mai
avuto il culto della giovinezza – né timore della maturità. Mi ricordo
che Yourcenar diceva che alcuni libri non bisognerebbe scriverli se non
passati i quarant’anni, e aveva ragione.
L’ostilità di Morante per la vecchiaia però esprimeva un timore reale.
Identica mi pare anche oggi la perdita di potere che per le donne si
accompagna alla fine della giovinezza. Perdita di immagine, di ruolo
sociale, di rappresentatività. Il senex ha il potere e l’aura della
saggezza, la vecchia solo la marginalità e l’esclusione. Ci sono
pochissimi libri e pochissimi quadri, e pochissimi film, telefilm,
eccetera, che hanno al loro centro una donna anziana. Essa fa ancora
paura. Eppure a me non pare un caso se la donna italiana più
rappresentativa e nobile che abbiamo in Italia sia una signora antica
come Rita Levi-Montalcini. E’ lei il simbolo e l’esempio del nostro
secolo.
Tra i riferimenti mitico-fiabeschi de L´isola di Arturo, ha
trovato il personaggio della Bella Addormentata nel bosco. In Elsa
Morante la principessa é condannata (attraverso lo spillone/penna) a
vivere il tempo interiore del personaggio letterario, ovvero il
protagonista e il lettore sono condotti alla velocitá di un tempo
interiore, onirico, tutt´altro che reale. L´idea di differenti tempi
vitali emerge anche in una sua intevista. In che modo
il tempo condiziona il
suo lavoro e il suo ruolo di donna? Come si colloca il tempo nei suoi
romanzi? Il tempo dello scrivere assomiglia al tempo del leggere?
Il romanzo per me è il tempo. Il tempo della scrittura è il tempo della
vita, non sono qualcosa di separato, c’è osmosi e scambio continuo,
l’uno si nutre dell’altra. Ogni mio romanzo è legato a una stagione
della mia vita, che accompagna (a volte per anni) e stravolge: la
cambia, come ne è cambiato. Non riuscirei a creare una letteratura
separata da questo ritmo vitale: mi sembrerebbe qualcosa di meccanico,
un semplice prodotto. Ma naturalmente è un tempo pieno di silenzi e di
interruzioni. A volte non scrivo per molto tempo. Il tempo della lettura
è invece il contrario: è la sospensione, l’uscita da me, l’attesa. E’ un
nutrimento dopo la corsa: un po’ come far provvista per l’inverno.
Quando scrivo, infatti, leggo poco. Così i periodi di lettura forsennata
si iscrivono fra un libro e l’altro – la pausa appunto, che prelude al
ritorno.
(Delt@
Anno VI, N. 105 dell’ 8
Maggio 2008)
Angelica Alemanno |