Immaculèe Illibagiza, “Viva per raccontare”, ed. Corbaccio, 2007  

 

Editoria

 

 

(Roma) È viva per raccontare Immaculée Illibagiza. Viva per raccontare, come lei stessa afferma,  la sua storia di sopravvissuta al genocidio in Ruanda, dopo essere stata rinchiusa per tre mesi, allo scoppiare della sanguinosa guerra civile, in un minuscolo bagno con altre sette donne. Viva per raccomandare di aprire sempre il cuore alla speranza, per testimoniare che il perdono è possibile, che il “circolo dell’odio”, come Illibagiza lo definisce, può essere pezzato, con la fede e la misericordia. Immaculée è riuscita a perdonare i massacratori della sua famiglia e delle tante famiglie ruandesi ree, agli occhi degli hutu, di essere dell’etnia tutsi; con la sua incrollabile fede e devozione verso Dio Illibagiza ha percorso con coraggio un cammino interiore che l’ha portata alla salvezza, ad una vita nuova, o semplicemente alla Vita: si perché vivere, per Immaculèe, può essere possibile solo se con animo puro si abbandona l’odio, il cui sapore amaro corrode e lascia morire l’anima, condannandola alla sofferenza. Immaculée Illibagiza, raccontando la sua storia, ha voluto lasciare esattamente un messaggio di speranza.

Le pagine del libro scorrono veloci e il racconto della giovane donna suscita amarezza, stupore, serenità, ma, soprattutto, suscita domande sulla strada che siamo pronti ad intraprendere: quella dell’odio? Della disperazione? O quella della speranza e del perdono?

Sono passati 14 anni dal genocidio in Ruanda. Immaculée, rinchiusa nel bagno, ha pensato spesso all’immobilità dell’Occidente nella vicenda. Certo, tutte le nazioni riconoscono il principio del dominio riservato, limite difficile da travalicare. È importante, tuttavia, non abbassare mai la guardia, guardare con occhi vigili ciò che succede nel mondo, anche in aree spesso dimenticate. Ciò che da poco è accaduto in Kenya, su cui già calano i riflettori, deve farci meditare.

Silvia De Silvestri       

(Delt@ Anno VI°, N. 19 del  28 Gennaio 2008)