Care presenze: un romanzo dai labili confini

 

 

Editoria

 

 

(Roma). Come una rapsodia il romanzo “Care presenze” di Sandra Petrignani (ed. Neri Pozza) nel recupero originale e innovativo di cliché letterari diversi, tradizionalmente vincolati a cronologie precise, che tuttavia saporano di nuovo nell’armonico amalgama costruito dalla mano esperta della scrittrice (già finalista Premio Strega nel 2003). Rapsodia perché, come lei stessa afferma, il libro aspira ad occuparsi dei temi più urgenti della profondità umana e di stringente attualità attraverso un più alto canone artistico-letterario di quello cronachistico: Sandra Patrignani ha composto con delicata arte narrativa una fiction che coinvolge senza stridori presente e passato, luoghi vicini e remoti, in una vicenda che gode di una piacevolissima fluidità alla lettura, che sa coinvolgere profondamente nelle emozioni chiunque ne fruisca e che dà dignità “epica” ad un quotidiano contingente che rischia di spoetizzarsi se lo si lascia vegetare nel limbo della cronaca di se’.

Il romanzo è stato presentato martedì 22 febbraio alla libreria Bibli (per gli incontri dell’Unione Lettori Italiani), commentato dalla perizia della Professoressa Elisa Mondello docente all’Università La Sapienza di Roma e dalla squisita arte del poeta Elio Pecora.

L’opera è ordita su una vicenda dall’intreccio complesso: ambientata nell’estate 2002 racconta delle vacanze trascorse da un’ampia famiglia e da alcuni amici in una torre vicino ad un lago; protagonista è Olga, ipostasi dell’autrice, donna avvenente e matura, che collega saldamente tra loro i numerosi progonisti (il marito, i figli Càrol e Cristiano, la nuora Patrizia, la domestica Padma con la sua piccola figlia Shamira, Ada, la figlia di Cristiano, un amico per il quale si riaccende un’antica fiamma…), poiché con tutti ha legami necessari; questa piccola comunità isolata dal mondo esterno, organizza il proprio divertimento vitalizzando le proprie serate con narrazioni di fantasmi. A turno i personaggi raccontano ciascuno una storia, analogamente a quanto già accadeva nel celebre Decameron. Il romanzo possiede dunque una cornice esterna sempre presente, una sorta di certezza nella quale possiamo trovare sempre gli stessi personaggi e guardare lo stesso luogo, stella polare che serve da punto fermo per l’orientamento all’interno del romanzo intero. Elio Pecora, che ha restituito il romanzo attraverso una relazione emozionale e affettiva, sensibile all’edonismo del piacere della lettura, ha sottolineato come il libro di Sandra Petrignani consenta di farsi penetrare, abitare, appartenere, e di perdersi e ritrovarsi continuamente al suo interno: addentrandosi nei meandri delle singole storie di spettri ci si smarrisce solo temporaneamente, poiché è sempre consentito ritornare al tracciato principale della vicenda in cui queste narrazioni hanno luogo, contesto che fa da sostrato e che, in qualche modo rassicura, finchè anche in esso non si insinua un principio di disordine. Il caos che penetra la storia principale si fa annunciare dai disordini affettivi tra i personaggi che mettono in discussione l’equilibrio della compagnia nelle sue relazioni interne, ma una nuova variabile si introduce nella vicenda di cornice (che palesemente, a differenza del Decameron, non è solo un pretesto): i fantasmi protagonisti delle storie non si fanno più solo ascoltare nel tempo della narrazione, ma si avvicinano ad Olga e alla sua famiglia, abitando la torre con loro, occupando gli stessi spazi in una inquietante e dolce “promiscuità”. Questi spettri diventano presenze familiari e costanti, innescando un processo osmotico nuovo tra la cornice principale e le storie raccontate. Importante variatio rispetto al modulo boccacciano destabilizza il senso d’orientamento del lettore fino a fargli sorgere dei dubbi sull’identità dei protagonisti stessi, forse ectoplasmi a loro volta.

L’intento espresso dall’autrice era quello di dar vita ad un romanzo  a più strati attraverso il recupero di un genere desueto: il gotico e il noir. A questa intenzione, come notava Elisa Mondello, risponde una scrittura che s’attiene sapientemente ai diversi stili letterari (oltre al noir di base, esistono anche una matrice autobiografica, la maniera trobadorica, il genere della fiaba, del romanzo di consumo…) senza il rischio di manifestarsi in toni kitsch ed eclettici. Al disegno s’attiene anche un’affascinante possibilità di  assumere prospettive e punti di vista diversi: secondo la Professoressa Mondello sono tre i soggetti fondamentali, un io omodiegetico (Olga, la protagonista), la voce della scrittrice che compare con l’esperienza di numerosi esercizi di scrittura nelle opere passate (l’amore per la formula diaristica, i sensibili connotati della letteratura al femminile con i tipici elementi della passione, della ricerca sul proprio corpo, della paura del sogno, della tenerezza dei sentimenti) e infine il lettore che, nell’ampia libertà di scelta che gli è offerta, è chiamato a scegliere e intraprendere una delle possibili avventure a disposizione, un personale sentiero emozionale, come ha indicato Elisa Mondello, sino a diventare un “attante” a sua volta.

Nel piacere euristico della lettura, come giustamente affermava Elio Pecora, è facile in questo romanzo abbandonarsi ad una sorprendente ricchezza di umori: pagine ironiche, romantiche, malinconiche, inquietanti ampliano enormemente il respiro dell’opera, che in questo introduce in se’un ulteriore elemento di variatio rispetto al modello del Decameron, avvicinandosi forse (con le dovute peculiarità e differenze) più all’aspirazione della Commedia dantesca di abbracciare il reale dell’emozionalità umana nella sua interezza. Per questo, come hanno riconosciuto i relatori, si tratta di un’opera completa e conclusa in se stessa, circolare nellla forma ed estremamente esauriente.

Come la vita quotidiana dei personaggi principali s’intromette e interrompe le narrazioni dei fantasmi nella realistica estemporaneità di battute, commenti, risate e melodie di chitarra introducendo un rapporto di comunicazione e scambio continui tra la cornice e le storie, così è possibile dilatare questo paradigma alla nostra realtà: secondo le parole di Elio Pecora, se nel momento della fruizione del romanzo è consentito partecipare al loro mondo, nella realtà quotidiana, anche dopo l’interruzione della lettura, è facile portare i personaggi con se’ e avvertire la loro presenza, in una continua rottura di limiti di una storia che non ha più confini vergini.

Ha attitudine ad esondare da se’, “care presenze”: è un parto di donna, mimesi del femminile che si sdoppia guardandosi dall’esterno, che materializza davanti ai suoi occhi ciò che concepisce e tracima dal suo corpo.          

 (Delt@ Anno III, n. 41 – 42 del 25 – 26 febbraio 2005)                                                                                                     Martina Peloso