Come lo fanno le ragazze?  

 

 

Editoria

 

 

(Roma). “Come vivono la sessualità e il piacere le figlie e le nipoti di quelle donne che hanno fatto o attraversato il '68, il femminismo, gli anni della rivoluzione sessuale, e si sono trovate, grazie a quelle conquiste, con l'emancipazione in tasca e un corpo liberato? Come lo usano questo corpo?”. Questi sono gli interrogativi che si è posti la giornalista di Rai Tre Ilda Bartoloni nella raccolta di storie di vita di giovani donne tra i 17 e i 34 anni, pubblicate nel libro Come Lo Fanno Le Ragazze, edito da Baldini Castoldi Dalai.

La storia di vita come strumento di approccio antropologico garantisce una particolare obbiettività nel riportare il vissuto dell’intervistata, sia attraverso la voce sia attraverso il non detto. Il racconto di sé delle intervistate svela le grandi contraddizioni ancora in atto nella nostra società, quanto tutto non è stato risolto con l’appropriazione del proprio corpo da parte delle donne. Dalle interviste emerge come diffusamente le donne di oggi abbiano consapevolezza del loro corpo, della raggiunta parità sessuale nei termini di intraprendenza e di ricerca del piacere personale, della caduta dei tabù circa l’orgasmo vaginale e clitorideo, dell’abitudine alla vita da single. L’autrice del libro constata quindi come le donne-figlie delle “rivoluzionarie” del ’68 onorano la propria identità femminile onorando il proprio piacere. Ma le conquiste non sono finite, anzi! A postilla delle storie di vita ci sono gli interventi di femministe che hanno in prima linea vissuto e fatto il ’68, tra cui la testimonianza della parlamentare di Rifondazione Comunista Elettra Deiana, intervenuta con Bianca Berlinguer, giornalista del TG3 e Curzio Maltese, giornalista di Repubblica, alla presentazione del libro a Roma il 13 aprile. Una riflessione tra tutte è sulla non completa liberazione del corpo femminile dall’oppressione maschile, soprattutto dai forti poteri in mano agli uomini, Chiesa e religione in primis. Elettra Deiana denuncia il pericolo che il corpo femminile sia un “deposito inerme”, dopo lo stravolgimento degli stereotipi del post-femminismo, essendosi interrotto il dialogo e l’interazione con l’uomo, premessa indiscutibile del raggiungimento di un partenariato creativo. L’egemonia femminile nel campo dei rapporti interpersonali sta creando una regressione maschile che rischia, a sua volta, di banalizzare e rendere sterile la conquista identitaria del corpo delle donne.

“Ancora sul corpo femminile si sta combattendo una guerra di potere e di controllo, sottolinea Curzio Maltese, dalla quale dipende molto del futuro delle istituzioni iper-maschili religiose. Controllare il corpo della donna attraverso leggi che limitano le scelte in fatto di maternità è vitale alla sopravvivenza fisica della chiesa cattolica”. Un po’ è come dire che tra le lenzuola ci fanno fare quello che vogliamo ma in ambito sociale non abbiamo la stessa libertà di scelta e di arbitrio. Ciò che in Italia sta avvenendo nel dibattito sulla fecondazione assistita, oppure negli Usa riguardo all’aborto, è illuminante su quanto ancora c’è da fare per un ulteriore salto qualitativo in ambito antropologico e sociale. Oggi viviamo la contraddizione interna della dualità maschilista “puttane-spose”: la soddisfazione sessuale della donna è diventata priorità anche per l’uomo (i 30 e più modi di farci godere delle patinate riviste per soli uomini!) ma poi fuori dal letto? Nessuna pietà per le donne che non riescono ad avere figli naturalmente, per le donne che sono costrette a scegliere tra il lavoro e la maternità, per la non assistenza ai figli delle madri che lavorano. Le spose rimangano spose e madri senza consapevolezza, come denunciava Pasolini alla fine del suo documentario “Comizi d’amore”, precedente alle leggi sul divorzio e sull’aborto. 

Un dato importante è che questa generazione di donne è la prima che mette al primo posto tra le priorità della vita il lavoro, e la conseguente realizzazione sociale. Se da una parte commenta Ilda Bartoloni questo è conseguente all’avvenuta indipendenza della donna dall’uomo (“20 anni fa una donna che voleva fare la giornalista si sposava un giornalista, se voleva fare l’avvocato si sposava un avvocato…”), dall’altra denuncia che la precarietà in campo lavorativo determina questa come preoccupazione primaria.

L’autrice afferma, in conclusione, come “accanto a una spregiudicatezza narrante, che sembra riflettere la liberazione del corpo femminile, è un universo «altro» ad affiorare, più intimo, capace di una freschezza e di un'innocenza quasi paradossali; una femminilità dove la conquista del piacere incede ancora tra paure e pudori, segreti e sogni, che ci parlano nell'indimenticabile voce di queste giovani donne”.


(Delt@ Anno III, n. 85-86 del 15-16 aprile 2005)                                                                                                Anna Gloria Capodieci