Il velo di Draupadi  

 

 

Editoria

 

 

(Roma) Martedì 15 marzo, a Roma in piazza Campitelli 3, presso il Centro di Studi italo- francesi dell’Università di Roma Tre, è stato presentato il libro di Ananda Devi Il velo di Draupadi (Edizioni Lavoro 2004), il primo romanzo mauriziano tradotto in italiano. Ananda Devi è un’autrice mauriziana che ha scelto la lingua francese per la sua scrittura, appartenente all’universo della francofonia dell’Oceano Indiano che, da circa un secolo, ha consolidato un’autonomia di espressione, di produzione letteraria autonoma, indipendente dall’immaginario costruito nel mondo letterario francese relativamente alle isole che compongono l’arcipelago delle Mauritius. “Parlare oggi della letteratura delle Mauritius - spiega la professoressa Valeria Pompeiano - indurrebbe a correre il rischio di un esotismo moderno indotto dalla cultura del turismo di massa. Ci si aspetterebbe, infatti, qualcosa di già preconfezionato, di una letteratura idilliaca. Scartiamo a priori questo tipo di tentazione e ricordiamo che queste isole portano il carico, dal ‘500 al ‘900, di essere stati luoghi poco conosciuti, luoghi di incontro tra l’Europa l’Asia e l’Africa. In queste isole convergono i colonialismi di tante nazioni europee, le immigrazioni di schiavi dall’Africa, l’immigrazione dall’India a partire dal 1830 di persone che vanno a cercare fortuna in queste terre. Gli immigrati indiani non arrivano come schiavi, ma le loro condizioni non sono tanto migliori rispetto a quelle dei neri; nel corso del tempo la loro condizione si va modificando, l’accesso, o meglio l’approssimarsi, ai luoghi del potere economico e culturale è reso più facile per ragioni culturali diverse di quelle che gli ex immigrati africani avevano avuto fin dall’inizio. Accanto a questi c’è una presenza molto forte di cinesi che hanno occupato i luoghi del commercio”. La letteratura mauriziana del ‘900 manifesta dunque fortemente l’elaborazione di un distacco dalla cultura d’origine, quella prima dell’immigrazione, con l’incontro con le altre culture nell’isola.    In linea generale la letteratura mauriziana si è caratterizzata per tre aspetti: una grandissima esplosione poetica; una presenza molto forte, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo, di scrittrici di narrativa; una scrittura dell’esilio, scrittura di mauriziani trapiantati in Africa e in Europa che evocheranno questa isola natale come un paradiso perduto o come una prigione perduta a seconda dei casi. In questo caso ci troviamo di fronte ad una scrittrice di origine indiana che ha scelto di ripercorrere l’origine più profonda della sua cultura d’origine per approdare alla conquista della propria identità femminile di donna e di donna che scrive. “Ananda Devi è indubbiamente una delle voci più coerenti dell’attuale panorama letterario mauriziano, ricco fin dagli anni ’80 di narrazioni femminili originali che, pur riflettendo le diversità culturali risultanti dalle numerose migrazioni storiche nell’isola, tendono tutte a una stessa decostruzione dell’egemonia patriarcale…- si legge nell’introduzione di Marie Josè Hoyet - …i romanzi, tutti ambientati nell’isola natale e incentrati su enigmatiche figure di donne, si presentano come infinite e riuscite variazioni di uno stesso tema, quello del destino avverso che occorre fronteggiare per tentare di invertirne il corso…Il velo di Draupadi segna una prima fase importante nell’evoluzione della scrittura di Ananda Devi, nella quale si delinea una figura di donna esemplare, in bilico tra estraneità e appartenenza, che in una situazione di crisi inizia a osservare ‘clinicamente’ se stessa e la sua comunità per trarre il bilancio della propria esistenza”. Anjali, la protagonista femminile del romanzo, è un personaggio conflittuale, sopraffatta dalla malattia del figlio, della quale la famiglia del marito la ritiene responsabile, accetta il tradizionale rituale del fuoco per trovare la remissione. Sarà proprio questo elemento materno a farle ripercorrere la religione rifiutata per liberarsi definitivamente di essa e trovare la propria identità di donna. “Figura nuova nella letteratura mauriziana, sta a incarnare un’autentica modernità non tanto perché è colta e consapevole, ma perché riesce a trasformare il buco nero della disperazione in cui è sprofondata in una spirale di rabbia da cui trae la forza per sfidare l’intera comunità”, continua Hoyet nella sua introduzione. Un romanzo che è un percorso di acquisizione di identità, un percorso che, letto attraverso la cultura originaria dell’autrice, è purificazione, conoscenza della cultura indiana più antica che prevede un unico percorso possibile, l’unico che vale la pena di affrontare e che porta e comporta l’intima conoscenza di sé. “Per pervenire a questo occorre un lungo percorso di purificazione, per giungere ad una gioiosa conquista del “vuoto”. Il vuoto – continua  Pompeiano- in questo caso così moderno, così affrancato, così femminile nella scrittura di Ananda Devi, significa purificazione dai legami culturali famigliari e religiosi, conquista di una conoscenza di sé e quindi di radicamento nella propria realtà, nell’isola natale…ecco che l’isola e la donna diventano il luogo di una conquista vera”. Il velo di Draupadi ripercorre, in maniera originalissima, tutte le fasi che la scrittura femminile ha compiuto per emergere come scrittura identitaria. C’è la nozione del tempo, che non viene più inteso come  il tempo del romanzo di avventura, ma è la conquista di un tempo ciclico che va all’indietro per poter trovare un punto di partenza e poter avviarsi verso un nuovo avvenire. C’è il tema del doppio: la protagonista è perennemente di fronte a un doppio. Il doppio fantasmatico di Vasanti, una cugina di Anjali morta in preda alla follia per aver mal gestito e mal vissuto lo stesso rito di purificazione che deve affrontare la nostra giovane donna attraverso il passaggio sul fuoco. Un fantasma da superare appunto e per farlo Anjali si sottopone a tutta la preparazione che la sua tradizione vuole che lei si imponga per affrontare questa cerimonia. Il secondo doppio è anch’esso femminile, si tratta di Fatmah un personaggio interessante, appena sfiorato perché rappresenta un punto d’arrivo. Fatmah è una donna che non ha figli, che non ha una famiglia ed è completamente estranea ad ogni realtà socio culturale nell’ambito della comunità indiana; è una donna liberata che paga il prezzo di questa libertà con una solitudine che apparentemente sembrerebbe terribile ma che, in realtà, agli occhi di Anjali si rivela l’unica libertà femminile vissuta gioiosamente. A queste donne vengono accostati i personaggi maschili che risultano depotenziati e sviliti. E’ depotenziato il fratello di Anjali, il quale, vittima della volontà della madre, perde qualsiasi capacità di intervento nel corso della narrazione. E poi c’è il marito della protagonista, un anti-eroe moderno perfettamente integrato nella società economica del suo tempo, il cui unico obiettivo è quello di far carriera a tutti i costi, un uomo che non si fa scrupoli e che si ricorda e si avvicina alla moglie solo nel momento in cui Anjali accetta di sottoporsi a questo rito antichissimo che la famiglia di lui le chiede di affrontare. La forza della letteratura  e la presa di coscienza dell’identità femminile nella scrittura si coniugano con la forza della conoscenza e della coscienza di sé che è il messaggio più antico di cui la cultura indiana si fa portatrice.

(Delt@ Anno III, n. 59-60  del 18-19  marzo 2005)                                                                                                Elisabetta Scarascia