Non dire il mio nome: Il talento di Paola Presciuttini

 

 

Editoria

 

 

(Roma). Capita talvolta che nel mercato dell’editoria, che impone generalmente agli scrittori ritmi accelerati e nettamente antitetici alla tranquilla e libera elaborazione di idee di qualità, che tendono a spegnere nell’omologazione anche il romanziere più abile, riesca a farsi spazio un’anomalia, una penna diversa, dalla grafia nuova e dinamica, finalmente non commerciale.

E’ il caso, questo, della toscana Paola Presciuttini, che ha presentato al Centro Femminista Separatista Lesbico della Casa Internazionale il suo ultimo raro romanzo Non dire il mio nome, Ed. Meridiano Zero, Padova 2004. Già in lavori precedenti la scrittrice ha dato prova di grande bravura e originalità: il suo esordio fu nel 1994 con il romanzo Occhi di grano, poi venne Comparse nel ’99 in seguito a numerosi studi su testi di filosofia e antropologia della differenza a cui la scrittrice si aprì nell’osservazione e nella partecipazione a gruppi femminili, di cui anche il libro parla, focalizzandosi su generazioni di donne contadine del meridione, libro che ebbe un grande consenso dalla critica ma non dal pubblico (come lei stessa ha affermato), successivamente fu la volta del racconto breve, formula a cui si dedicò sia per la raccolta Tuttestorie, sia infine per l’edizione del fortunato Principesse azzurre del precedente anno.

Non dire il mio nome, con cui sigla definitivamente la sua rara bravura, è la storia di una giovane proveniente da una situazione familiare difficile: all’interno di una famiglia apparentemente normale, si consuma il dramma di un padre che abusa fisicamente di lei, con la silente complicità di una madre autoritaria e perentoria, che continuamente nega carezze, baci, palesi manifestazioni d’affetto e che dunque non permette, con il suo atteggiamento, il compiersi di quel fondamentale rapporto di identificazione e confronto che ogni essere umano mette inconsciamente in atto con il genitore del suo stesso sesso e che servirà allo sviluppo della propria sessualità. La giovane protagonista, che trae continuamente ispirazione dagli intrepidi personaggi dei romanzi classici che avidamente consuma, a 17 anni fugge da casa per sottrarsi alla violenza paterna e per liberarsi da un destino deludente e prestabilito e, fuori dalle mura domestiche, avrà modo di stabilire un contatto con altre donne, altre “madri”, attraverso cui scopre vecchi e nuovi segni del suo corpo, impara ad ascoltarlo anche e soprattutto nelle sue pulsioni sessuali e finalmente, in quello che sarà il percorso della scoperta della propria identità, rinasce forte della convinzione del suo essere sana e normale nel suo lesbismo e che le ferite che l’avevano mortificata sono frutto solo di una società patriarcale che impone l’eterosessualità a tutti i costi. Questa favolosa rinascita prevede anche un nuovo “autobattesimo”: nel rifiuto del nome impostole dalla madre, la ragazza decide di rinominarsi, quando incontrerà quella che sarà la sua compagna, al momento di presentarsi; sarà un nome maschile, “Pedro” (si tratta di un’ennesima prova di acume e di gusto da parte dell’autrice), che trae ispirazione da un noto regista, a caratterizzarla fino alla fine del libro. Nota originale del romanzo è anche la formula adottata: è, per la maggior parte del tempo, un quaderno a parlare, il diario che  la protagonista scrive alla zia materna, per giustificarle la sua fuga da casa; una prova ambiziosa, secondo Cutrufelli, quella di realizzare un romanzo in seconda persona, che rischia di appiattire, annoiare e sottrarre dinamicità alla storia. La singolare e nuova temporalità del romanzo si snoda tra un tempo presente della stesura da parte della protagonista della propria storia sul quaderno, il passato degli abusi infantili, della famiglia e della sua terra natale, mondo dal quale dipenderà sempre affettivamente (Pedro non negherà mai la sua vita precedente e ciò si dimostrerà condizione essenziale per un superamento ed una crescita maturi), e il passato remoto della vita di donne della madre e della zia, con le quali riuscirà in età adulta a ristabilire una corrispondenza silenziosa e consapevole di affetto e comprensiva solidarietà.

Non dire il mio nome è in sé un atipico “romanzo di formazione” sull’elaborazione cosciente dei propri desideri ed il conseguimento della matura consapevolezza di una sessualità lesbica: una vera rarità nell’argomento trattato e nella tipologia narrativa adottata, nel panorama letterario italiano e straniero. Paola Presciuttini, in questo suo ultimo romanzo, si è messa sulle tracce delle linee della storia collettiva di due generazioni successive di donne, intrecciando il tempo individuale della protagonista a quello pubblico politico fuori da sé, ma fondamentale per la coscienza e la formazione di ognuna e quindi interiorizzato ed intimizzato. Se ne trae il disegno vero-fittizio di un mondo di donne, reso con una cifra stilistica particolarissima, che ci auguriamo possa avere la meritata visibilità e superare ogni ritrosia pregiudiziale e purtroppo perfino “razzistica” di pubblico. 

(Delt@ Anno III, n. 200 dell’11 ottobre 2005)                                                                                                  Martina Peloso