Seconda edizione per TRA LAVORO E FAMIGLIA. Guida al Testo Unico sulla maternità e paternità”

 

 

Editoria

 

 

(Roma). Tante le presenze registrate lo scorso 3 maggio alla Casa Internazionale delle Donne in occasione della presentazione della seconda edizione del libro di Daniela Belotti  “TRA LAVORO E FAMIGLIA. Guida al Testo Unico sulla maternità e paternità” (C.A.F.I. Editore), dedicato alle nuove generazioni di madri e padri che lavorano e nel contempo si dedicano alla cura dei figli.  L’autrice ha voluto aprire un confronto tra donne di diverse generazioni  e tra donne e uomini sul quesito: “Cociliazione possibile?”.

Si è aperto così un vivo dibattito con numerosi interventi, presentati e coordinati da Irene Giacobbe (Assolei) che ha aperto l’incontro introducendo da subito il tema centrale della GENITORIALITA’ che in questi ultimi tempi è oggetto di rinnovato interesse.

Ad aprire la scaletta è stato proprio l’editore, Aldo Bonforti, che “per la seconda volta ha dato fiducia al lavoro di Daniela” con parole di sentita ammirazioneper aver trattato una non ben conosciuta materia a livello editoriale.

La parola poi a Marina Del Vecchio (Casa Internazionale delle Donne) che ricorda il lavoro proficuo che la Casa sta portando avanti da circa due anni grazie  all’aiuto materiale e immateriale delle Consigliere di Parità della Provincia di Roma  (Daniela Belotti appunto, e Franca Cipriani). Infatti sono state realizzate numerose e interessanti iniziative sia sul tema del bilancio di genere sia su quello della conciliazione. Ed è proprio Marina Del Vecchio a introdurre il file rouge di tutto il dibattito: norme esistenti ma inattuate, ottime leggi ma pratiche quotidiane insoddisfacenti in materia di conciliazione lavoro-famiglia. Le norme ci sono ma non sono conosciute perché c’è poca informazione e diffusione di base.

E fisiologicamente si inserisce l’eccellente intervento tecnico della giuslavorista Gianna Baldoni, che si occupa di diritto del lavoro (dalla parte dei lavoratori) e di temi di genere da circa trent’anni. L’avvocata ha innanzitutto appreazzato il libro di Daniela Belotti perché dal suo punto di vista, tecnico-giuridico, è un testo esaustivo su un tema specifico: il sostegno della maternità e paternità. E poi ha illustrato il suo excursus storico-giuridico sulla normativa che ha portato al “coacervo” di norme attuali che regolano le reponsabilità genitoriali. In primis ha citato ovviamente la Costituzione in cui fin dal ’48 è contenuta la griglia portante della normativa odierna: “i costituenti- a detta di Baldoni- erano persone che “vedevano molto oltre” tant’è che la Costituzione è fin dalla sua nascita “intessuta” di grande modernità. Ci sono sia i principi che regolano la parità uomo-donna sia quelli che tutelano la famiglia, la maternità e la paternità.” Dopo il ‘48 bisogna aspettare le prime norme del centro-sinistra per avere sostegno specifico (’63,’71). E per estendere la tutela anche ai padri e attuare così il principio di parità formale e sostanziale sancito dall’art.3 della Costituzione, invece occorre attendere il ’77 con la prima legge di parità. E’ stato necessario insomma compiere tutti questi “passi graduali” ma nel frattempo si è fatta sempre più densa la griglia di sostegno con “norme, normicine, circolari, circolari interpretative”. Fino ad arrivare alla “prima legge di respiro europeo” del 2000. Nel 2001 si approda alla sistemazione del Testo Unico raccogliendo tutte le norme allora vigenti in materia, fermo restando il continuo aggiornamento legislativo e giurisprudenziale. A oggi insomma si può dire che “di fatto un sostegno della genitorialità è dato a quasi tutte le categorie di lavoratori, escluse le tipologie di lavoro flessibile (CO.CO.CO., CO.CO.PRO.) che restano sostanzialmente prive di cittadinanza”. Attraverso direttive CE e leggi interne il nostro paese si è arricchito di regole che si collocano in un’ “ottica complessiva” (sostegno alla maternità e paternità, attenzione al lavoro di cura, ai tempi di vita, ai diritti di cittadinanza). Purtroppo però, nonostante il nostro avanzamento legislativo, tutte queste norme restano inattuate perché manca un seguito pratico e una cultura idonea a recepirle. Sono insomma “NORME DIMENTICATE”.

La parola è passata poi a una giovane sociologa, Silvia Cataldi, per cui la conciliazione si è realizzata nella figura della madre. Silvia è infatti la prima di cinque figli e la madre ha sempre lavorato. E nonostante i momenti critici è riuscita a conciliare ammirevolmente la vita personale (cinque figli e marito spesso assente per lavoro) con quella lavorativa e a trarre soddisfazione da entrambe. Silvia ha raccontato delle difficoltà incontrate nell’approccio al mondo del lavoro dopo la laurea e il dottorato di ricerca. Difficile la ricerca di un lavoro stabile che la realizzasse veramente, come se “il valore della realizzazione personale e dell’autonomia economica”, che le aveva insegnato la madre, in qualche maniera diventassero fonte di insoddisfazione. Ora invece Silvia ha trovato un lavoro che le piace molto e si è sposata; e nel mettere su famiglia ha cominciato a porsi una domanda fondamentale sulla base di un confronto con l’esperienza materna: “ma noi giovani di adesso  siamo un po’ meno coraggiose delle nostre madri oppure è cambiato un po’ il contesto?”. Dilemma irrisolto che lascia chiaramente spazio a un dibattito.

E’ stata la volta poi di Linda Laura Sabbatini (Istat) che con chiara detreminazione ha ripreso il problema della poca informazione e soprattutto della “lentezza” dei cambiamenti culturali che impedisce un adeguamento delle pratiche alle norme esistenti. Nelle nuove generazioni, sì, “c’è qualcosa in più” ma non è qualcosa di dirompente che può farci dire “è cambiata la cultura nel nostro paese”. Allora dobbiamo allertarci. “Come diamo uno scossone?Quali gli strumenti?”. Deve esserci uno sforzo maggiore perché tutto ciò sia consciuto, perché non è una cosa automatica e scontata. C’è poca informazione. Gli strumenti normativi non sono vicino nè alla portata dei lavoratori e delle lavoratrici. Non hanno innescato “chissà quale cambiamento” e sono tardivi. “Dobbiamo fare i conti con un clima sociale complessivo non favorevole”. Bisogna “costruire una cultura intorno alla legge”; bisogna che questa cultura cresca nel quotidiano tra la gente quanto meno per interrompere la cronicizzazione del problema e ottenere così un “salto visisbile”.

Curiosità ha suscitato ancora la testimonianza di un giovane neopapà avvocato, come simbolo della paternità emergente, Luigi Federici. Per lui la conciliazione è possibile anche se con “piccole rinunce e organizzazioni” tra marito e moglie; perché la conciliazione dipende da “impostazioni mentali”,  semplicemente perché “anche a livello di coppia si tratta di un fatto culturale”. E’ chiaro che a volte si fa riferimento ai genitori e ci si confronta con loro e con quello che sono riusciti a fare; bisogna però in questi casi tenere conto di un contesto notevolmente mutato in cui il divenire continuo reca vantaggi ma produce anche elementi negativi quali la precarietà e la flessibilità. Questo problema deve esser affrontato dal nostro paese che deve dare “certezza e sicurezza” ai suoi cittadini: le norme ci sono ma non sono conosciute adeguatamente dalle istituzioni che devono applicarle.

Altra testimonianza quella di Nadia Cervoni, lavoratrice e madre, che ha ribadito l’esigenza di BUONE PRATICHE e di una corretta applicazione delle nuove e valide norme attuali. E a questo fine ecco un appello alle figure istituzionali, soprattutto alle donne delle istituzioni: che “diano valore al quotidiano”, che partano da qui per ricercare l’applicazione delle norme e garantirne una corretta interpretazione. Si allineerà a questa posizione la Consigliera di Parità effettiva della Provincia di Roma, Franca Cipriani, che ha ammesso l’esigenza di uno “scossone” che parta dalle donne delle istituzioni perchè rappresentino e sostengano temi, valori e battaglie. Devono essere le istituzioni a “martellare” per rimuovere gli ostacoli posti dal sistema. Primo fra questi: la disarmante ignoranza della legge 53 e il concreto problema dei “tempi della città” che porta fisiologicamente al nodo della conciliazione, o meglio della “CONDIVISIONE”. Ma oltre al lavoro di cura che la genitorialità comporta, oggi sempre più è in aumento, grazie all’allungamento della vita media, il lavoro di cura dei genitori anziani e in “questo campo c’è il vuoto totale”. Ci sono dei “paletti legislativi” che solo “sulla carta” assicurano assistenza. La quotidianità diventa composta di: “figli che rimangono a casa sia perché si dilata il tempo di uscita dai nuclei di origine sia per la precarietà del lavoro”; lavoro professionale per una madre che si trova ancora “nel mondo della produzione”; “genitori anziani” e a volte anche malati che “richiedono assistenza”.

Insomma una generazione “sandwich”. Così la definirà più tardi M.Laura Ferrari Ruffino(CORA) ritornando sulla pluralità di problematiche con cui la conciliazione si trova a fare i conti e che promuoverà una “battaglia culturale” e un maggior impegno sui canali comunicativi in modo da abbattere gli stereotipi.

Inusuale e genuino l’intervento dello psicologo Marco Amendola che si dichiara “inconciliante rispetto alla conciliazione”. La testimonianza di Amendola attesta una delle “declinazioni specifiche” che la conciliazione assume: paternità e lavoro flessibile. “Io sono un maledetto CO.CO.CO.” e un papà – ha spiegato - . “Cosa significa essere un CO.CO.CO. e avere una bambina di due anni?”. Significa andare a lavorare dopo tre giorni dalla nascita. E allora bisogna dire basta. “Bisogna cambiare questo Paese!” , ognuno nel suo piccolo, andando a ricercare le basi giuridiche. Ed ecco che a questo proposito si fa riferimento al secondo comma dell’articolo 3 e all’art 36 della Costituzione. “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che[…] impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione […] in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Quindi, fermo restando la validità di un percorso che porti un cambiamento culturale, accanto a questa strada di ampio respiro, “occorre dire basta”, perché nella nostra Costituzione già si parla di rimozione, già c’è una risoluzione che muova dai valori costituenti del nostro Paese.

E’ stata poi la volta di Cecilia D’Elia (Commissione delle Elette Provincia di Roma) che ha introdotto una riflessione duplicità di modelli di conciliazione: modello individuale e modello sociale. “Il percorso dal privato al pubblico ha rimescolato le carte di queste due sfere ma è rimasto a noi singolarmente il problema della conciliazione”, che quindi a livello individuale non è stato risolto. Serve un rilancio del tema nella società perché chi si fa carico del lavoro di cura? Monetizzare tutto (badanti, baby sitter…) fa perdere di vista il problema. “Lo spazio pubblico si deve far cura del privato”. Bisogna far presente questo “problema politico” perché ci sia interazione tra sfera pubblica e sfera privata e si crei uno spazio di CONDIVISIONE.

E dulcis in fundo ecco che timidamente si fa avanti l’autrice. Belotti ci ha tenuto a precisare che nella ricerca del titolo si è chiesta se fosse giusto definire lavoro e famiglia come “mondi separati” dopo tutta la lotta mirata a “riunirli per sentirci persone intere, a tutto campo”. Si è resa conto però che quel “tra” dà la dimensione di questa “transumanza” tra i due termini, dà la dimensione di quello di cui si è parlato nel corso di tutto il dibattito.

Davvero un bell’incontro, che ha reso felice l’autrice, non solo per aver riunito insieme donne e uomini su un argomento tanto dibattuto e sentito, ma soprattutto perché il grande interesse dimostrato rispetto all’argomento dimostra  che “questo non è un tema solo delle donne, è ancora prevalentemente delle donne, è a partire dalle donne,” ma ormai la normativa riguarda anche gli uomini con pari dignità. Infatti all’uomo non si estendono i diritti come si diceva un tempo, ma è anche lui titolare con pari dignità.

E così l’autrice ha ripercorso tutti i punti che l’hanno colpita dei vari interventi arricchendoli con il proprio vissuto.

  • La griglia di sostegno, tutta quella che è la normativa che sfocia nel sociale, nella cultura che sta dietro “questo sociale”, nelle politiche per la famiglia e per gli individui, nella conciliazione.
  • Lo scossone che parta dall’individuo e che adegui l’azione ad un pensiero che sta molto avanti.
  • Le buone pratiche: senza mistificazioni, attraverso l’azione delle istituzioni.
  • I tempi per superare la conflittualità.
  • La bellezza aulica delle norme che restano inattuate. Allora cosa fare? Dire basta oppure diamo strumenti, studiamo, lavoriamoci su.
  • Modelli maschili: socializzare i servizi, delegarli. “Questo però significa impattare con un mondo di persone che fanno il lavoro di cura per mestiere ma che ci insegnano anche come siamo stati e come ci siamo affrancati dall’essere senza però esserci liberati completamente dalle difficoltà familiari”.

“I diritti non devono essere usati per dire che il lavoro viene ostacolato dalla troppa garanzia”: la tutela è ancora necessaria, “non bisogna usarla contro il lavoro ma per il lavoro”.

Una conclusione calda, sentita, emozionante che ha suscitato nel pubblico un energico applauso per una donna che ha saputo offrire a tutti uno spunto di riflessione sulla realtà sociale in cui distrattamente viviamo.

Delt@ Anno IV, n. 96 – 97 del 5 – 6 maggio 3006)                                                 Francesca Belotti