La conciliazione impossibile nel IX rapporto Cisf

 

 

Editoria

 

 

(Roma) Conciliare lavoro e famiglia? Un'impresa complessa, come evidenzia il IX rapporto Cisf sulla famiglia in Italia. Se ne è discusso ieri  mattina al Cnel durante il convegno Famiglia e lavoro dopo la legge Biagi: dal conflitto a nuove sinergie, promosso dal Ministero del Welfare insieme alla Fondazione Marco Biagi e al Cisf - Centro internazionale studi famiglia. “Il conflitto tra famiglia e lavoro sta alla base di moltissimi problemi sociali”, afferma il sociologo Pierpaolo Donati, docente di sociologia della famiglia all’Università di Bologna, precisando: “La mancanza di lavoro per i giovani significa rimandare, o addirittura rinunciare a fare famiglia. La donna che lavora deve spesso rinunciare alla maternità, se non vuole perdere il lavoro. Gli orari e i ritmi di lavoro rendono sempre più difficile trovare il tempo per stare con i figli. Essere buoni lavoratori e genitori assieme diventa un compito impossibile. Spesso assistere una persona debole in famiglia vuol dire rinunciare al lavoro”. Si tratta, quindi, “di creare le condizioni societarie affinché lo spazio per la relazionalità familiare possa essere riconosciuto come necessario e per questo salvaguardato come bene essenziale”, sottolinea Donati. Ma il IX Rapporto denuncia anche 3 ‘derive’ nel modo di interpretare la conciliazione: “la femminilizzazione del problema (formalmente si parla di pari opportunità fra uomo e donna, in realtà le misure sono quasi tutte mirate alle donne); un approccio utilitaristico/produttivistico di stampo lavoristico (lo scopo delle misure conciliative è sempre subordinato all’efficienza e alla competitività dell’azienda); un orientamento individualistico (si tratta di sostenere le libertà e responsabilità degli individui, più che il bene relazionale della famiglia)”.

Il direttore del Cisf, Francesco Belletti, ha parlato di “emergenza Italia: nella conciliazione tra tempi della famiglia e del lavoro siamo indietro rispetto a tutta l’Europa”. Infatti il nostro paese presenta una delle situazioni più problematiche in Europa (con Spagna, Portogallo e Grecia): ha avuto un crollo della natalità (negli ultimi trent’anni) in condizioni di bassa occupazione femminile (ancor oggi, stare a casa non significa poter avere più figli). L’Italia continua ad essere il Paese con il numero più elevato di ‘famiglie vincolate’ nelle loro scelte procreative (meno figli di quelli che desiderano): lo evidenzia il Rapporto Cisf, auspicando sostegni alla natalità e alle pari opportunità, collocando “i sostegni alle scelte di maternità e paternità nel quadro dei sostegni complessivi alla ‘triplice presenza’ di uomini e (soprattutto) donne nei tre ambiti: del lavoro, della propria famiglia e della famiglia dei genitori anziani (o dei figli)”. Vanno anche evitate sia “l’eccessiva rigidità del lavoro” che “l’eccessiva precarietà del lavoro”: il Rapporto presenta una prima valutazione della Legge 30, che puntava a incrementare i tassi di occupazione che vedono oggi gravemente penalizzati i giovani, le donne e gli over 50, collocando al contempo la persona e la famiglia al centro delle politiche sociali e del lavoro. “Rispetto al part-time, oltre che sul piano normativo ed economico, il successo della riforma dipende da un cambiamento anche culturale – evidenzia la ricerca -, cioè dall’instaurarsi della convinzione che questo istituto possa costituire uno strumento utile per affrontare le sfide della competizione e della efficienza nell’organizzazione dei processi produttivi. Il contratto di inserimento al lavoro ha per certi versi cristallizzato la disparità di trattamento economico tra donne e uomini a causa di una reale e radicale debolezza delle donne nel mercato lavorativo italiano”.

“L’Italia è fanalino di coda nell’Unione europea per la fecondità: ormai il secondo figlio si fa raramente. Il part-time è solo una delle soluzioni e ancora poco diffuso; occorre realizzare una ‘conciliazione all’italiana’, valorizzando le strutture, la risorsa nonni e l’accesso al mercato di colf, badanti e baby-sitter”, incalza il demografo Gian Carlo Blangiardo, docente all’Università di Milano-Bicocca, che insiste: “Non guardiamo ai deboli segnali di ripresa nella natalità, dovuti soprattutto agli immigrati. Si diffonde la cosiddetta ‘ultima spiaggia’ delle 35enni, che optano per il figlio unico, perché ‘ora o mai più’. Si tratta di un cambiamento strutturale: paternità e maternità sono faticosamente vissute e recuperate”, ha osservato Blangiardo, ricordando che “la presenza dei figli penalizza il lavoro femminile: per le donne il problema principale è il tempo”. In sintesi, “manca una cultura che dia valore alla riproduzione e alla famiglia. Aiutarle significa garantire il futuro anche delle imprese. Quindi, oltre al cambiamento culturale, è necessario un maggiore impegno delle aziende e degli imprenditori per fronteggiare questa crisi, perché anche per loro si tratta di un investimento sul futuro”. Tuttavia – ha concluso il demografo – “nonostante il deficit storico in termini strutturali, il valore della famiglia tiene ancora nel nostro paese più che negli altri Stati dell’Unione europea: una risorsa su cui far leva”.