(Roma)
Anche attraverso la trasmissione del cognome secondo la tradizione
patrilineare si veicola e si perpetua la cultura patriarcale: «l’obbligo
di trasmissione del cognome paterno tramanda alle nuove generazioni un
sentire sociale e un’identità modellati sull’importanza primaria del
maschile. È certo, infatti, che il modo di utilizzare i simboli e le
parole plasma il nostro immaginario, le nostre capacità percettive,
cognitive e relazionali». Per questo motivo
Vania Valentini,
ripercorrendo brevemente le fasi storiche della trasmissione del
cognome, dalle origini fino alle attuali proposte e disegni di legge di
modifica del sistema di trasmissione del cognome in Italia - e gettando
uno sguardo all’esempio di altri Paesi europei che hanno tentato di
creare norme regolatrici del fenomeno che non fossero discriminatorie-
lancia una propria proposta: quella del cognome patriarcale,
contrapposto a quello patriarcale, «ormai logoro, senza futuro, ma con
un fardello pesante». Attraverso il metodo di trasmissione proposto da
Valentini nel suo libro Il
cognome pariarcale, Edizioni Thyrus, 2007, alle donne sarebbe
permesso «di conoscere le proprie origini come figlie ma anche di
partecipare attivamente alla costruzione del lignaggio come madri».
L’idea è quella di far partecipare in modo veramente paritario madri e
padri alla costruzione dell’identità del figlio, attraverso la
rappresentazione simbolica di entrambi nel cognome. Discostandosi dalle
proposte di legge finora avanzate in parlamento, Valentini intende
riaffermare l’applicazione corretta del principio di uguaglianza più
volte affermato nella nostra Costituzione e in particolare di quello
dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, peraltro sancito anche
nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei
confronti della donna, del 1979 - resa esecutiva in Italia con legge 14
marzo 1985, n. 132 – e nella Risoluzione (78)37 dell’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d’Europa del 1978. Sebbene con la riforma del
diritto di famiglia del 1975, il modello gerarchico previsto dal Codice
Civile del 1942 sia stato sostituito da una comunità fondata
sull’uguaglianza dei componenti, sia per quanto riguarda i rapporti tra
i coniugi, sia quello tra genitori e figli, risulta evidente dalle
implicazioni pratiche e giuridiche della trasmissione del nome che il
ruolo materno, nonostante l’effettiva importanza lungo tutta la vita
della prole, viene relegato a rango secondario in ragione di una
concezione patriarcale che contrasta con i principi di uguaglianza
sanciti dalla Costituzione e a dispetto dei cambiamenti sociali avvenuti
negli ultimi decenni.
La richiesta di trasmissione del cognome su base paritaria è la
richiesta di raggiungere maggiore rilevanza della donna
nell’individuazione delle origini familiari ma anche nella società
allargata. Anche da questo, secondo l’autrice, passa la possibilità di
avere, nella vita sociale, un maggior peso del femminile che non si
traduca solo in una presenza numerica.
(Delt@
Anno V°, N. 209 del 15 ottobre 2007)
Silvia De Silvestri |