Soltanto una vita

 

 

Editoria

 

 

(Roma)- Lunedì 12 settembre, nell’ambito della Festa nazionale di Liberazione (ex Mercati Generali), entro lo spazio Odradek, è stato presentato, discusso, letto il libro di Laura Lombardo Radice e Chiara Ingrao, Soltanto una vita, edito da Baldini Castaldi Dalai, 2005, dedicato ai temi della politica, della libertà, della memoria e dell’identità. Relatrici presenti al dibattito oltre l’autrice, Chiara Ingrao, figlia di Laura Lombardo Radice, sua biografa e narratrice privilegiata, Linda Santilli, coordinatrice dell’incontro e rappresentante del Forum delle donne PRC, Livia Turco (DS) ed Elettra Deiana (PRC). Apre la discussione Linda Santilli presentando il libro come un percorso storico di ampie dimensioni e ricco di una ricostruzione dettagliata di un pezzo della storia d’Italia rivissuta e ripercorsa attraverso gli occhi di una donna, Laura. Soltanto una vita, infatti è un racconto di esistenza a due voci, un diaologo di confronto tra due generazioni diverse, tra due donne, una madre e una figlia che entrano in comunicazione e costruiscono un modo differente di essere vicine, il libro è anche una miscellanea di eventi, immagini, fatti privati e pubblici, scene di vita quotidiana e di politica, all’interno della quale una voce narrante, quella di Chiara figlia racconta e riporta la vicenda della madre, Laura, ricostruendone le vicende umane e storiche, gli anni della giovinezza e la sua formazione culturale, l’impegno come donna antifascista e militante attiva nel Partito comunista, il lavoro come professoressa e tutte le diverse attività svolte con e a favore delle donne prima nel Comitato di assistenza e poi nella sede dell’Udi (unione donne italiane). 

Linda Santilli lo descrive come un libro di storia, ma di una storia particolare, letta e raccontata dal punto di vista di una donna, nel pieno di un disordine epocale al cui centro vi erano gli anni della guerra, le fasi del fascismo, l’avvento della democrazia fin al periodo turbinoso del 68’. Laura, militante del Partito Comunista, attraversa questi anni di scompiglio, di violenza, di vicende terribili e di morti, affidandosi alla sua forza di donna consapevole degli ideali in cui credeva, forte di un impegno assunto a partire dalla sua professione di insegnante che si sente in dovere di trasmettere un nuovo modo di essere e di re-esistere. La scuola per questa donna, diventa il luogo privilegiato della sua vita e della sua politica. La sua vita, una vita fondata sulle relazioni, sull’importanza e il senso profondo rivestito dalle relazioni e sulla necessità e volontà di farne una dimensione collettiva su cui costruire la propria esistenza. Sono amicizie, sostiene Linda Santilli, che nascono dalla sete di cultura, prima ancora che da ideali politici, dal coraggio di diffondere una cultura e un messaggio politico completamente oscurato e proibito dalla dittatura del tempo. La scuola, vista in questa prospettiva, diventa per lei un campo di battaglia dove coltivare idee e pensieri riconosciuti attraverso il continuo dialogo tra lei e le nuove generazioni. Questo amava fare Laura, dialogare con i suoi ragazzi, portare la sua resistenza al fascismo nel concreto dell’esperienza quotidiana, supportando il peso e la sfida di chi vuole realizzare a tutti i costi i suoi sogni nella democrazia e nel perseguimento di un impegno politico totalizzante, presente in tutti i suoi aspetti, calato nel pieno di una modalità d’essere che nel partito trova tutto il senso dell’agire e della propria vita. Da qui la sua estrema e forse inconsapevole capacità di districarsi continuamente tra sfera pubblica e privata, là dove il privato voleva dire portare avanti il progetto di una famiglia amata e voluta, cinque figli, un marito e se stessa in tutto il resto. Molti sono gli elementi di attualità in questo teso, precisa Linda Santilli, uno di questi va trovato nella sua modalità di autonarrazione corale nella quale è interessante scoprire come lei non sia la sola figura emergente della narrazione, accanto a lei spiccano figure altrettanto importanti quali i suoi cari e chiunque l’abbia amata. In questo modo la memoria entra nel presente, una donna viene tratteggiata grazie ai pensieri di una figlia che la fa rivivere e questa stessa figlia viene riconosciuta dalla madre nel suo essere donna. Si crea in questo modo una sorta di ‘pedagogia della reciprocità’ in cui la figlia si pone come insegnante verso la madre e la narrazione tra queste due donne trova il suo filo di continuità. Livia Turco, la seconda delle relatrici che prende parola, ci consegna la suggestione che una tale raccolta di materiali così disparati come articoli, scritti vari e lettere può suggerire, come pagine di una ricostruzione storica tra le più nuove che ci siano e coincidenti tra l’altro, con la storia di una donna vissuta così tanto intensamente da spingere chiunque vi entri a scoprire qualcosa di suo. Ci sono riflessioni sulla vita che vanno infatti al di là della sua biografia. Chiara in questo ha il grande merito di riconoscere autorità alle donne attraverso il riconoscimento dell’autorità di sua madre. In tal senso acquistano importanza le ‘radici’ di Laura, il suo essere stata una donna di rottura, riformista, ma sempre legata alle sue ‘radici’, intimamente fedele ai suoi ideali. In questo si avverte la nostalgia di un mondo che non c’è più, di un modo di essere della politica, di essere intellettuali, di essere uomini e donne che non è più. La nostalgia che viene da un grande attaccamento ai valori e quindi la fiducia che ad essa è profondamente legata. Livia Turco si sofferma su due aspetti politici rilevanti, il primo è nel cuore stesso del fare politica per Laura, nella rivendicazione della sua esperienza di militanza di base, la famiglia, il lavoro, il legame politico con le donne, l’Udi, etc., che la Turco definisce l’espressione più autentica di un modo di essere della politica. Il secondo aspetto, nel suo modo di essere una ‘donna libera’, in quell’idea di libertà femminile che rappresenta l’altra dimensione della modernità. Il filo conduttore che unisce tutto è la capacità di costruire relazioni umane. Nodo centrale di questo percorso di ricostruzione è l’investimento che Laura mette in tutto ciò che la caratterizza e che la vede partecipe attiva della politica dentro e fuori il suo confine quotidiano. È un segno di modernità anche il senso di essenzialità della politica vissuta come cura delle relazioni, un segno che Livia Turco propone di adottare oggi nel bisogno estremo di trovare altri modi di convivenza possibile. Elettra Deiana, terza relatrice della serata, espone le sue considerazioni tornando a parlare della modalità di costruzione del testo e della sua natura dialogica. Una natura sicuramente intrisa e costruita sulla difficoltà e complessità di un dialogo tra una madre e una figlia, alle prese l’una con l’altra in una sorta di corpo a corpo fra due generazioni diverse. Una natura che svela e cela allo stesso tempo gli aspetti più reconditi di un confronto/scontro inevitabilmente mai del tutto esplicitato e privo di conflitto tra due soggetti quali una madre e una figlia dirimpetto l’una all’altra. Chiara è una femminista dichiarata. Laura, sua madre, lo è meno nel senso che vive l’ambiguità di non definirsi femminista là dove avverte qualche ostilità per uno stucchevole femminile da cui si distanzia in quanto dimensione femminile rimpicciolita entro uno specifico. E allo stesso tempo vive il peso e il condizionamento di una cultura che non è attraversata da quella libertà ma bisognosa al contempo di averla. Tra Chiara che scrive e Laura c’è però un filo di continuità. È la pratica della relazione, già sopra menzionata, che va al di là di qualsiasi appartenenza politica, che trova radici in quel partire da sé che nella storia sociale, politica, nelle narrazioni delle donne continua ad essere un elemento preponderante e fondamentale. È  l’elemento che da concretezza ad un agire politico e ad un modo di fare politica. L’esistenza di Laura letta nella sua miriade di intrecci e rapporti affettivi ed amicali, in questo andirivieni costante di condivisioni, di esperienze individuali e singolari, costruisce quell’epopea delle relazioni che la politica ufficiale (quella degli uomini) non dice. I punti più alti di trasformazione della politica delle donne presentano il segno di questa aderenza alla realtà, nella pratica, nel prendere in mano ‘le cose’, cambiarle per trasformarle. Ne viene fuori un grande affresco, conclude Elettra Deiana, una grande epopea della memoria, ma fuori da ogni retorica, da ogni ufficialità o celebrazione. Una memoria come continuo intreccio tra storia privata e pubblica. Prende corpo la resistenza non violenta delle donne romane. Approccio di nuovo femminile, la resistenza come ce la consegnano queste donne, una lotta quotidiana contro la fame, la violenza, i soprusi, un resistere che parte da sé, dalla vita, dalle necessità, stridentemente in contrasto con la vulgata ufficiale della resistenza che definì partigiani sono i combattenti, coloro che presero le armi. L’altra resistenza, quella che qui ci viene offerta, è la resistenza intesa come reticolato di esperienze singolari e collettive, è uno dei risultati più straordinari di civilizzazione delle relazioni sociali.

Chiude l’incontro l’autrice del libro, Chiara Ingrao, spiegando una delle ragioni cha l’hanno spinta a scrivere un libro del genere nel desiderio di continuare a tenere vivo un dialogo con sua madre e frugando tra le cose preziose di una persona cara, riscoprire un modo nuovo di dialogare con il passato, con una parola che può tornare a vivere e con una storia che ci appartiene e di cui dobbiamo riappropriarci, il lavoro importante della memoria a questo serve, dargli senso significa anche riuscire a farlo insieme, dando valore e riconoscimento ai singoli percorsi, alle singole scelte: ‘Riraccontarsi dentro dei percorsi personali’, afferma Chiara, ‘non pretende di dare delle risposte, ma riapre una porta che troppo frettolosamente è stata chiusa’.

(Delt@ Anno III, n. 178 del 15 settembre 2005)                                                                                            Antonella Petricone