Ad alta voce,contro
il silenzio dell’omertà mafiosa |
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Editoria |
(Milano)Niccolò
Azoti aveva 37 anni quando venne ucciso dalla mafia. Era un giovane
sindacalista che si batteva a favore della riforma agricola in Sicilia. Sua
figlia, Antonina, aveva solo 4 anni. Dopo mezzo secolo quella bambina ha
deciso di riaprire quella ferita, per non rendere vano il sacrificio di suo
padre. Così è nato Ad alta voce - Il riscatto della memoria in terra
di mafia, una memoria autobiografica pubblicata dal giornale di
strada "Terre di Mezzo" nella collana "I diari di Terre/Archivio di Pieve".
L'opera, che ha vinto il premio come miglior diario al concorso
dell'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve S.Stefano, l'11 marzo
verrà presentato all'Istituto Enrico Fermi di Siracusa alle 10.30, e il 14
marzo alle 18, alla libreria Feltrinelli di Palermo. “Ci sono motivi
profondi che risalgono a molto tempo fa, nella decisione di scrivere questo
libro, maturati nel lungo silenzio che mi stava intorno e in cui io stessa,
forse, mi sono autoemarginata. Al tredicesimo anniversario della strage di
Capaci, ho partecipato alla catena umana in memoria del giudice Falcone:
c'erano migliaia di persone che protestavano per la mafia ed ho visto una
società improvvisamente matura, uscita dall'immobilità. Forse proprio questa
partecipazione ha fatto in modo che anch'io aprissi agli altri il mio
dolore. C'era una pedana da dove poter parlare per ricordare Falcone. Mio
marito voleva trattenermi, ma io invece salii e dissi ad alta voce: ‘Anch'io
ho qualcosa da dire, ascoltatemi. La mafia uccide da più di 50 anni. Ha
ucciso un giovane di 37 anni, un sindacalista che si batteva per la riforma
agraria. Si chiamava Niccolò Azoti: io sono sua figlia, e non l'ho
conosciuto’. Ho scritto anche per i miei familiari e per saldare i conti con
i periodi del buio e della luce che hanno segnato la mia vita. La volontà di
scrivere è stata come una luce che apriva uno squarcio verso il riscatto
della memoria di mio padre, dandogli la giustizia che non ha mai avuto. E'
nata anche ‘Non solo Portella’, associazione che ricorda i sindacalisti
uccisi dalla mafia. Nel 1946, nel giro di poche settimane, in Sicilia la
mafia uccise 39 sindacalisti. Soltanto ad anni distanza i loro nomi sono
stati riconosciuti nell'elenco dello Stato dei morti di mafia. I mandanti di
quegli omicidi non sono stati perseguiti, i mandanti nemmeno quando sono
stati individuati. Oggi riesco a guardare una foto di mio padre perchè ho
fatto qualcosa per lui – conclude Antonina Azoti - La gente mi diceva: ‘Se
tuo padre si fosse fatto i fatti suoi, non sarebbe successo’. Da bambina
coltivavo il suo ricordo, insieme ad un poco di risentimento, per le parole
di queste persone che facevano passare la sua morte come un destino
evitabile. Quando poi sono stata in grado di documentarmi e ho capito che
era stato tra i protagonisti del movimento contadino per la liberazione
dalla mafia, ho capito che era morto perchè aveva abbracciato una causa. La
mafia esisteva ed esiste: in Sicilia la magistratura è molto attiva ma
sappiamo che la mafia è infiltrata ovunque. C'è omertà, ma almeno di mafia
si può parlare liberamente: se c'è unione tra i cittadini qualcosa si può
fare, in termini di presa di coscienza”.
(Delt@
Anno III, n. 43 del 28 febbraio 2005)
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