(Roma)
“Rompi una costola a una ragazza e ne ricresceranno dieci”. Con questo
proverbio saudita, con queste parole dure, ma emblematiche, si apre “Non
ho peccato abbastanza”, antologia di poetesse arabe contemporanee
a cura dell’orientalista Valentina Colombo, traduttrice – tra gli
altri – anche del premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz.
“Non ho peccato abbastanza”
ruba il titolo ad una raccolta di versi della poetessa libanese
cristiana Jumana Haddad, ad indicare – provocatoriamente – la viva forza
e la concreta capacità di reazione delle donne arabe, relegate
nell’ombra sia dal mondo islamico, sia dal mondo occidentale, incapace
di guardare oltre un’immagine stereotipa e miope dinnanzi alla smisurata
ricchezza dell’universo femminile nordafricano.
Il grande pregio di questa antologia è la sua capacità di legare insieme
esperienze di vita profondamente diverse: libanesi e siriane, kuwaitiane
e irachene, saudite e tunisine. E, ancora, cattoliche e musulmane.
In una parola: arabe. Accomunate da una sensibilità comune, evocatrici
di Lilith – mitica moglie di Adamo cacciata dal Paradiso e trasformata
in demone notturno dei sogni maschili – queste donne traducono in versi
la loro sfida: la sfida agli occhi degli uomini, ad una società che le
vuole all’angolo, a loro stesse.
Quando si parla di letteratura araba, si parla essenzialmente di poesia.
La lirica è il genere per eccellenza di una lingua incredibilmente
musicale, di una lingua “sottile”, dalle infinite sfumature semantiche,
che suggerisce senza confermare, che dice senza nominare. Una lingua
evocativa che la curatrice Valentina Colombo cerca di rispettare, di non
“tradire”, con la sua traduzione.
Traduzione che, in questo contesto, assume un valore speciale: il
tradurre, il “vertere” è l’unico modo per testimoniare la prepotenza
della voce di queste donne in Paesi, come l’Italia, che non immaginano
neanche la loro esistenza. È l’unico modo per portare agli occhi delle
donne arabe, un esempio concreto di altre donne arabe che, attraverso
una scelta eterea come quella della poesia, hanno apportato un
cambiamento concreto e tangibile alle loro vite. Molte delle poetesse di
questa selezione antologica hanno pagato duramente la scelta di libertà.
Alcune hanno perso la possibilità di allevare i figli; altre hanno perso
il lavoro, altre ancora sono state messe ai margini della vita sociale
quali portatrici di un “cattivo esempio”. Eppure, ciascuna di loro, in
ogni poesia, sembra gridare: “Non ho peccato abbastanza”, non ho lottato
abbastanza contro chi mette mano alla mia libertà, non ho aiutato
abbastanza donne a capire che nessuno può privarle di questo diritto in
nome di un Islam tradito, che nulla ha a che fare con l’Islam dei veri
musulmani.
La presentazione del libro – tenutasi venerdì scorso presso il Centro
Culturale Averroè – si rivela una preziosa occasione per guardare con
occhi nuovi alle potenzialità e, soprattutto, al futuro del mondo arabo,
che appare – inconfutabilmente – donna.
Accompagnate dal suono del liuto Fatima Keshk e la musicoterapista Linda
Bongiovanni leggono una scelta di poesie tratte dall’antologia. La
lettura in lingua araba fa da contrappunto alla lettura in lingua
italiana e, alla comprensione del senso si accompagna la pienezza
evocativa del suono, resa possibile proprio dalla opportunità di
ascoltare i versi originali, così come sono stati pensati, generati e
scritti dalle autrici.
Poesie che affrontano le tematiche più disparate, dalla guerra
all’inquietudine esistenziale, dall’amore alla libertà. Poesie che
testimoniano la vitalità della scena culturale femminile nei Paesi del
mondo arabo, quasi a voler dire – con i versi della poetessa Hamda
Khamis – “ogni poesia è
femmina”.
Piace chiudere questa breve riflessione con la poesia
“Sono una donna” di
Joumana Haddad, che ha espresso la volontà di dedicare questi
versi alla memoria di Hina Saleem:
“Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà fosse una
loro concessione/e ringraziassi e obbedissi./Ma io sono libera prima e
dopo di loro,/con loro e senza di loro/sono libera nella vittoria e
nella sconfitta”.
E, infine, conclude: “Sono una
donna/Credono che la mia libertà sia loro proprietà/e io glielo lascio
credere/ e avvengo”.
(Delt@
Anno V°, N. 238 del 10 dicembre 2007)
Mariacristina Giovannini
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