“Mi vedevo riflessa nel suo specchio”, di Luisella Brusa  

 

 

Editoria

 

 

(Milano)Presso La libreria delle Donne in Via Pietro Calvi a Milano è in vendita il testo di Luisella Brusa “Mi vedevo riflessa nel suo specchio”. L’autrice ha presentato personalmente il testo che ha aperto il ciclo di incontri Tra il matricidio e il monumento alla madre: la politica delle donne, nel quale si cerca di esplorare il senso e la complessità della relazione tra donne ed in particolare della relazione madre/figlia.

Mi ci è voluto un po’ per dipanare le complesse trame del libro e della conferenza, entrambi posti su un piano fortemente introspettivo e psicanalitico, terreno a me non così famigliare. Tuttavia cercherò di trasmettervi i punti focali della tesi di Brusa, che si rifa alle teorie di Freud e Lacan.

Quasi ogni donna infatti è invischiata in un magma emotivo di dipendenza, in bilico tra autorità e potere nelle relazioni con la madre e le altre donne, nelle quali spesso ricompare il fantasma della madre e quello che Brusa chiama oscuro materno. Madre a cui più a te si è data, più tu vorresti dare, tentando invano di ristabilire gli equilibri, di riporre nel mezzo, proprio lì, alla giusta altezza quell’ago della bilancia, che a volte pende troppo verso di lei per il suo eccessivo donarsi o verso di te, figlia quando l’intento è liberarsi dai sensi di colpa cui la materna italianità costringe.

Molte di voi ricorderanno come, nell’adolescenza, il tentativo di cercare una qualunque espressione di se stesse al di fuori del rapporto col femminile di tipo materno, vissuto come inglobante, veniva sentito come tradimento, come tentativo "colpevole" di nominare la necessita' della distinzione

Che caso…..alla conferenza si è parlato del rapporto con la madre proprio quando il mio essere si trovava a ricucire antiche ferite, di cui neanche io razionalmente mi spiegavo, e a ricominciare da un nuovo punto di partenza il dialogo con mia madre, intriso di protezione, dipendenza, consigli, severità, autorità, gioco, leggerezza, cibo, cibo, cibo….ad appagare la sua sete infinita di amore, che forse vuole amore? Chi lo sa? Quando sarò madre anch’io lo capirò. Mi sono sempre chiesta se anch’io cadrò in questi tranelli di materna italianità, se ci cadono anche le altre mamme europee..e come sarà il rapporto con mamma quando io sarò mamma.

Scrivo alla mia anima più cara in questo momento di questa coincidenza karmica; mi risponde per sms “Vedi che la strada è sempre pronta a mostrarsi basta avere okki(e orekkie) per vederla e non cadere”. Eh sì perché come molte donne, l’emotivo travalica il nostro razionale e in un batter d’ali l’equilibrio interiore è perduto.

Spesso noi donne ci troviamo a confrontarci e a lottare con l'autorità di donne che stimiamo e che per certi aspetti temiamo, nelle quali riviviamo il conflitto materno. Occorre riconoscerlo e andare oltre, verso uno scambio che arricchisca entrambe.

Se questo non succede e non si riesce piu' a portare tutte noi stesse nella relazione, perche' c'è il timore del rifiuto dell'altra donna, e' probabile che si abbia a che fare con l'assoluto materno e nei conflitti tra donne irrisolti spesso si nasconde questo oscuro materno. Si rivive la madre onnipotente dell'infanzia, che aveva un potere immenso proprio perche' si trattava di un potere legato all'amore, alla sopravvivenza, all'origine.

Per affrontare e risolvere questo nodo e' fondamentale trovare donne con cui scambiare queste sensazioni e darsi forza reciprocamente.

Brusa spiega bene questo oscuro materno, come successivo ad una fase di idealizzazione ed é un oscuro composto di due versanti: un amore particolarmente forte e intenso (l'amore di una ricerca che scruta l'altra per trovare nell'altra qualcosa di se stessa), talmente forte che è subito pronto a virare in invidia, odio, rancore. E' un amore instabile, è un amore/odio non ben separati, molto prossimi, che scivolano molto facilmente nell'uno e nell'altro, dando luogo a una relazione di devastazione che spesso troviamo nei rapporti tra donne, tra madre e figlia in particolare, rapporti che si trascinano anche per tutta la vita in una sofferenza estrema: amore e sofferenza, rivendicazione e odio.

C'è da un lato devastazione e dall'altro rapimento, nel senso dell'adorazione estatica e muta dell'una per l'altra. E' un tipo di relazione specificamente femminile, non c'è nulla di analogo nei rapporti con gli uomini.

Vale la pena riportare le parole di Brusa per spiegare meglio il concetto ed il contenuto del suo libro: “La lotta per il prestigio fra gli uomini si svolge in un terreno organizzato, in un calcolo di punti e di tacche che deciderà alle fine il vincitore. Non ci sono equivalenti nei rapporti femminili e questa mancanza di misurabilità rende infinita, senza limiti e senza argini questa relazione. Ciò che mi ha interrogata è da dove viene questo tipo di odio/amore, come mai si dà questo nelle relazioni tra donne, tra madre figlia e tra figlia madre.

La risposta freudiana è nota: la bambina esce dall'Edipo con l'invidia del pene e la conseguenza nel rapporto con la madre è il rancore per non averla dotata di questo organo così valorizzato. La visione di Freud è complessa, ma sulla femminilità questa è la sua tesi, tutta dentro il sistema di rappresentazione edipico e la formazione della soggettività data dall'Edipo, con il padre edipico e la madre edipica.

L'idea che io sostengo nel libro - appoggiandomi su Lacan - è che questa devastazione non venga dall'Edipo. Si tratta di una tesi che valorizza la relazione marde/figlia per vedere che cosa dice in positivo della femminilità. La posizione freudiana chiude il discorso: la femminilità è qualcosa che manca e dunque ne consegue invidia e rancore. Se, al contrario, consideriamo la femminilità come qualcosa non definito dall'Edipo, diventa una posizione soggettiva non esaurita dalla posizione edipica (ossia della donna come mancante del pene).

A partire da questa lettura abbiamo la possibilità di leggere la devastazione e il rapimento in tutt'altri termini. Se l'uomo è interamente definito - nella sua virilità - dal fallo, la lotta di prestigio e identità si gioca sulla misura del fallo e dei suoi equivalenti (successo, carriera, macchine e donne, ndr). La donna - questa è la tesi nota di Lacan - non è interamente definita dal fallo: può averci a che fare (come con tutti gli equivalenti fallici - potere, conquista, carriera, figli e uomini, ndr), ma non interamente. Il fallo non le dà un'identità come donna. Non è "più donna" perché ha più successo o carriera, quindi il fallo dà un'identità come soggetto, ma non come soggetto femminile. Ciò che la rende donna è situato al di là del fallo e di là dell'Edipo, al di là del padre. Non viene dal padre un'indicazione su cosa significhi essere donna. Come donna - presa per se stessa e non a confronto con l'uomo - non le manca niente. Sul suo corpo il godimento - che è uno dei tratti essenziali per definire la soggettività in psicoanalisi - non si iscrive come perdita, o nell'alternanza fallica che definisce il godimento per l'uomo. Per la donna il godimento si esprime come un supplemento, un qualche cosa in più che non si condensa in un organo, che è diffuso, che non si iscrive in un organo preciso il quale ha anche una funzione significante come il fallo.

Non si iscrive in un organo che sarebbe simmetrico del fallo, la "falla". Non c'è la falla che darebbe un'identificazione sessuale in un organo preciso, significante, che è quello che il fallo fa per la virilità.

Inoltre, il fatto che il fallo si condensi in un organo e passi a significante dà un rapporto particolare con la parola: il fatto che il fallo abbia una funzione significante permette al godimento fallico di passare integralmente e automaticamente nella parola e nella scrittura. Questo non avviene dal lato femminile ed è una cosa che le donne sanno bene.

E’ che il noto disprezzo e rancore per la madre venga dal fatto che la figlia le imputa la responsabilità di questa impossibilità. Il figlio maschio non ha questo problema e quindi può amare la madre senza rancore. La figlia imputa alla madre di non essere un padre, di non fare la funzione equivalente di un padre. Solo che questo non è una colpa della madre, è un dato di struttura della femminilità ed è contemporaneamente il suo valore incalcolabile: essere altro o altra dall'ordine simbolico organizzato in senso fallico, essere il punto di fuga dell'ordine simbolico organizzato in senso fallico, che apre a qualche cosa di non ordinato ma che ha la forma dell'infinito.“

La donna in questo modo si colloca al di là della presa del simbolico sul reale, al di là del potere di dominazione, di coincidenza delle parole con le cose (che avviene dentro l'ordine simbolico).
Si apre direttamente al reale, dove non ci sono parole date, un simbolo virile, ma solo un piano immaginario. E’ il vuoto a livello del simbolico che produce il risucchio sul piano immaginario, dove c'è una relazione allo specchio (io sono te e tu sei me) con una conseguente perdita di sé.

Dunque è una prossimità maggiore con il reale pulsante al di là dell'organizzazione simbolica, punto particolarmente prossimo alla vita, che non ha forma, sul quale la madre non trasmette un nome che risolva la questione e verso il quale ciascuna deve trovare un modo singolare di averci a che fare, per renderlo vivibile.

Questo reale pulsante non ha la forma precostituita del fallo, non ha una modalità di godimento precostitutita. Il fatto che la madre non sia un padre e non funzioni analogamente a lui nella trasmissione, permette che resti vivo e pulsante questo punto esterno al simbolico che con la sua sussistenza relativizza l'ordine simbolico perché lo decompleta. Se il simbolico potesse coprire interamente il reale sarebbe la fine della differenza. E questo punto esterno all'ordine simbolico, non riassorbibile, che preserva una differenza inconciliabile, affinché possa essere vivibile, necessita di invenzioni particolari e non ripetibili da parte di ciascuna donna. Non c'è un know-how, un modo di fare prefigurato. Ci sono delle testimonianze e parecchio lavoro di invenzione, che ruota intorno alla scrittura intesa come uso particolare della parola, per coglierne quel versante esposto sul reale (pensiamo a scrittrici come Woolf, Duras, Lispector), che gioca sulla parola della lingua materna intrisa e prossima a un godimento non organizzato, quella che lavora non sul senso ma su suono e omofonia, per dire qualcosa dell'indicibile che il simbolico tout court tradisce. E questo luogo, la Libreria, ha fatto e fa questo lavoro.

L'altra via è la mistica, nel senso in cui lavora Luisa Muraro, che è rapporto diretto con l'altro mancante. Non con l'altro dell'ordine e della legge, ma dell'amore, l'altro che manca di qualcosa. La mistica è un modo di rapportarsi con questo al di là dell'ordine e della legge, con parole per dire l'indicibile di un esperienza d'amore con un altro particolare, un altro mancante. L'amore è una delle modalità per eccellenza delle donne per trattare questa apertura sull'infinito.

Riporto un commento di Sara Gandini della libreria delle donne:

Il pensiero della differenza ha nominato la relazione con la madre come una risorsa fondamentale, sostenendo che per una donna il momento piu' significativo in cui si gioca qualcosa della sua identita' e liberta' e' costituito dalla relazione genealogica con la madre. Non ha rinunciato quindi alla relazione con la madre, nonostante i conflitti, ma ha continuato ad investire, raccontando il sapere, l'intelligenza che viene dalla relazione con la madre. Far riferimento alle genealogie femminili ha voluto dire cominciare a parlare della disparita' nei rapporti fra donne e di autorita' femminile.

In questo contesto noi potremmo tentare di capire come la psicanalisi potrebbe tematizzare la relazione con la madre, nella crisi del patriarcato, e come tradurre il Il movimento delle donne si e' sviluppato con un importante contributo della psicanalisi, da Irigarai al gruppo "Psicanalise et Politique".

La pratica dell'autocoscienza e soprattutto quella dell'inconscio devono molto alla psicanalisi. Quando e' scoppiato il '68 c'erano psicanalisti come Facchinelli che hanno tentato di capire come legare l'agire politico alla pratica psicanalitica, sarebbe interessante capire se, dopo i cambiamenti arrivati con il femminismo, la psicanalisi, la Brusa riesce a trovare una strada stimolante in questa direzione. Probabilmente non è facile far dialogare due percorsi che hanno pratiche e discorsi differenti, anche se la pratica della relazione duale e il valore dello scambio di parola sono aspetti che mettono in risonanza la politica delle donne con la psicoanalisi.

Secondo Brusa c'e' la devastazione ogni volta che la relazione tra donne oltrepassa una certa soglia, la distanza data dalla presenza di un terzo (uomo, padre, od obiettivo) che organizza il desiderio. Ci si attende un riconoscimento che sanzioni un godimento. Una sanzione che lo riconosca e lo introduca nel mondo degli scambi possibili.

Indubbiamente la funzione del terzo non implica il ritorno all'autorita' patriarcale, e neppure deve essere assimilato automaticamente al principio maschile, e quindi al padre, alla legge. Il terzo dovrebbe esser essere inteso come un differenziatore deputato ad evitare la confusione di identita', sarebbe un mediatore che dovrebbe impedire il dominio di una persona su un'altra.

Probabilmente sa tratta del vissuto conflittuale della figlia rispetto ad una madre che sfugge, che non si comprende, nel senso proprio di averla in mano. Il mondo entra a mettere distanza, a creare uno spazio che rende la madre altro da se' e permette alla figlia di trovare quella differenza che orienta il desiderio.

 

Il libro della Brusa è stato presentato nel ciclo di incontri intitolati “Tra il matricidio e il monumento alla madre”,in quanto il matricidio innanzitutto richiama la cultura patriarcale, il fatto che a fondamento della nostra civiltà sta un matricidio impunito. Irigaray sostiene che il patriarcato deriva dal matricidio e dall'assunzione progressiva del maschile a simbolo universale, a unica forma di mediazione (pensiamo al fatto elementare del genere nella lingua italiana).

In Sessi e Genealogie scrive: "Oreste uccide la madre perché lo esige l'impero del Dio Padre e lo esige il suo appropriarsi delle potenze arcaiche della madre terra".

Ma in un certo senso anche il monumento alla madre sta dentro la cultura patriarcale, nel senso che il posto della madre è l'unico davvero legittimo per la donna all'interno del patriarcato.

Però negli anni Settanta alcuni collettivi femministi operano un radicale spostamento di paradigma: non solo valorizzano la differenza femminile, ma mettono al centro il rapporto con la madre, luogo dell'origine e contemporaneamente di una censura che non ha permesso la libera significazione di sé.
Si sottraggono in questo modo alla relazione di produzione e riproduzione patriarcali, per cercare un ordine simbolico che permetta di dare un senso al proprio essere donna e consenta di stabilire relazioni libere tra donne e con l'altro sesso. Alcune (e Luisa Muraro tra queste) l'hanno chiamato ordine simbolico della madre, e hanno parlato di lingua materna, la lingua che viene trasmessa e insegnata dalla madre.
Le pratiche politiche che maturano nel femminismo della differenza (non solo italiano), partono da due punti fondamentali:
1) c'è la valorizzazione della differenza femminile (pensiamo a Carla Lonzi e il suo gruppo Rivolta e al gruppo DEMAU)


2) c'è la valorizzazione della relazione materna

3) a questo punto la mossa delle francesi (Irigaray e Psychanalyse et Politique) e delle italiane è stata l'apertura alle genealogie femminili e alla figura materna.

A partire da questi presupposti la pratica politica della differenza si basa sulla relazione privilegiata tra donne, e l'immaginario fa riferimento alla figura simbolica della madre (parlo di immaginario perché la figura della madre simbolica è ripresa - nel Catalogo giallo - da Gertrude Stein, che parla in questi termini di una femminista dell'800. Quella della madre simbolica è una figura che non appartiene all'ordine della necessità ma a un immaginario vasto, anche religioso, ma anche le madres argentine ecc).
In questo modo, una soggettività femminile non asservita e intensa si alimenta, prende forza e consapevolezza dai rapporti tra donne, e la differenza si pensa secondo una dimensione orizzontale e verticale insieme. A questa forza le donne della nostra generazione non possono rinunciare. Non possiamo più fare a meno del potenziamento d'essere inaugurato dal femminismo, e sappiamo bene da dove ha preso origine.

Per noi (e non solo) ha un senso ritornare a mettere al centro il rapporto con la madre, perché l'irrinunciabile libertà arrivata fino a noi dallo spostamento operato dal pensiero della differenza presenta lati d'ombra troppo spesso elusi da una retorica trionfalistica.”

La lettura di questo libro ha sicuramente significato per me fare luce sul perché di alcuni conflitti, spesso acri, dolorosi e devastanti, che ho vissuto in prima persona con mia madre e che quotidianamente vivo in maniera intima, e che mi consumano, o più aperta e liberatoria.

Sicuramente vedo quella di Brusa un’ipotesi ed un’angolatura personale del problema, se pur ben articolata e scientificamente credibile, rimane il fatto del perché abbia utilizzato un metro di paragone tutto al maschile: Freud e l’Edipo.

Tuttavia ascoltando e leggendo le parole di Brusa mi sono prefigurata l’immagine di una donna devastata dalla sofferenza del senso di colpa, un’immagine pessimista, debole, non una donna in grado di trionfare su questi tranelli dell’essere. Sicuramente una via d’uscita ce la dà, ma rimane molto nascosta dietro il dramma, perchè forse non è così facile, né è facile cambiare il rapporto madre-figlia.

La madre dovrebbe smettere l’eccesso di preoccupazione ed iniziare ad occuparsi e a trovare nuove forme di dialogo, più vere e più mature; la figlia schermarsi da questo eccesso di protezione soffocante a volte, e a volte lasciarsi fare, in un tacito accordo di amore e comunque prendere coscienza della differenza genetica tra lei ed il maschio che le genera questo vuoto simbolico, questo oscuro materno.

(Delt@ Anno IV, n. 69 del 30 marzo 2006)                                   Valeria Cazzaniga