(Roma). Ancora troppo poco si conosce – o si vuole conoscere – circa gli anni oscuri della dittatura militare in Argentina. Fu un periodo d’ombra sia per l’oblio (in molti casi l’omertà) che li avvolse e che continua tuttora a trattenerli nella nebbia (frutto, questo, di una dittatura capillare, perfettamente innestata ed organizzata nel paese, che fu capace di controllare fin da subito i mezzi d’informazione e la fuga di notizie), sia per le tinte fosche delle acerrime efferatezze che furono compiute nel percorso di epurazione del paese dagli avversari politici, crimini non meno brutali di quelli dei lager nazisti e di cui pochi sanno, perfino nella stessa nazione argentina. In Italia tutt’oggi vige una generale ignoranza sulle sorti della popolazione argentina nel corso degli anni 1976-1982, ignoranza in gran parte originata dall’atteggiamento ambiguo dell’ambasciata italiana, che, a differenza del coraggioso impegno dimostrato tre anni prima in Cile, non fu in grado di schierarsi nettamente, né di esportare notizie del dramma che l’Argentina stava vivendo al fine di mobilitare proteste, cortei, stimolare idee e iniziative nel nostro paese, come era accaduto rispetto al nuovo governo di Pinochet. Neanche in seguito l’attenzione internazionale migliorò; gli argentini, offesi ulteriormente da un nuovo debolissimo governo che non seppe svincolarsi dalle pressioni dei dittatori militari e che li favorì attraverso leggi di impunità (si tratta delle leggi di “Obbedienza dovuta” e “Punto finale”, che arrivarono nel 1989 a concedere l’indulto a quasi tutti i militari condannati), seppero difendersi con difficoltà e farsi giustizia da soli, ostracizzando con il loro disprezzo i criminali della dittatura dalla società (esercizio autonomo di giustizia meglio noto con il nome di escrace). Fino ad oggi poche voci hanno avuto il coraggio di parlare, di raccontare specificamente delle torture perpetrate ai danni dei prigionieri politici negli anni della dittatura. Insieme al grido delle madri e delle nonne di Plaza de Mayo e a pochi altri casi di disperato coraggio, si accompagna oggi il libro Le reaparecide (tradotte da Fiamma Lolli, ed. Stampa alternativa, Speciale eretica), presentato giovedì 15 settembre alla Casa Internazionale delle Donne. Questo volume è la traduzione italiana di una lunga trascrizione di registrazioni dei colloqui avvenuti tra cinque sequestrate (Munù Actis, Cristina Aldini, Liliana Gardella e Miriam Lewin, entrambe presenti all’incontro di giovedì, ed Elisa Tokar) e sopravvissute al terrorismo di stato in Argentina, che ha raccolto nei campi di sterminio circa 30.000 vittime, di cui poche centinaia sono ancora vive, mentre le altre hanno visto sparire non solo la propria vita ma anche il proprio nome e le proprie tracce. Le autrici, ex desaparecidas, compagne di prigionia nel campo della ESMA (Escuela de Mecanica de la Armada), proprietà della Marina militare, a distanza di anni dalle torture subite, si sono riunite e raccontate tra loro al fine di superare il dolore e non dimenticare ciò che era accaduto a loro e a migliaia di altri e dopo molto tempo, incertezze e paure hanno deciso di pubblicare i loro incontri. Miriam Lewin giovedì ha raccontato la difficoltà di essere donna in una tale prigionia, stato che le esponeva alle sevizie della nudità, della violenza, dell’obbligo all’intimità sessuale con i torturatori: alle prigioniere era applicato un “piano di recupero” dei valori cristiani, volto a riabilitarle al ruolo di madri e mogli della famiglia borghese, piano che comprendeva grottesche violenze fisiche e psicologiche, nelle punizioni corporali che venivano seguite dall’obbligo, una volta violentate e seviziate, di truccarsi, vestirsi, pettinarsi in modo attraente ed elegante, ad incarnazione del perfetto modello di donna concepito dagli aguzzini. 5000 persone sono state incubate nell’ESMA e solo poco più di un centinaio sono sopravvissute, proprio in conseguenza a questo “piano di recupero” che risparmiava vite attraverso un illogico processo. L’Esma, come hanno dichiarato le due autrici presenti all’incontro alla Casa Internazionale, era un convoglio di intelligenze e mano d’opera da sfruttare, che l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera, che concorse al colpo di stato, aveva intenzione di utilizzare per riuscire a diventare il protagonista del regime dittatoriale. Questo libro, che raccoglie lucide verità e sofferenze sepolte, uscito nella sua versione in lingua originale quattro anni fa in Argentina, dopo una difficoltà iniziale all’affermazione, dovuta al fatto innegabile che ciò che si è compiuto nella dittatura militare per gli argentini è ancora argomento tabù, ha avuto un buon successo; nel nostro paese sta conquistando visibilità grazie ad una rete di tam tam tra centri e associazioni e grazie ad alcune reti di informazione. Purtroppo è ancora grande ed importante l’indifferenza da parte del mondo della cultura e dell’informazione riguardo questo argomento, e persino alcuni intellettuali esperti delle questioni dell’America Latina, secondo quanto ha dichiarato la traduttrice Fiamma Lolli, accanita promotrice del libro, hanno dimostrato il loro disinteresse nell’insensibile rifiuto di sponsorizzare il libro perché tali vicissitudini “non fanno notizia”; ma la verità di quei periodi bui si sta lentamente aprendo un varco tra i numerosi che vogliono apprendere, che credono e che, faticosamente, riescono a raggiungere i canali informativi giusti. Come ha affermato Fiamma Lolli in un’espressione conclusiva del suo intervento “Se non ci sono orecchie che ascoltano non ci sono bocche che parlano”, e viceversa. (Delt@ Anno III, n. 181 del 19 settembre 2005) Martina Peloso |