(Roma).
Un viaggio: occasione o pretesto? Poco
importa, l’importante è decidere di intraprenderlo. Non importa se si è da
sole o insieme ad altre, se si è giovani o passati i quaranta, l’importante
è farlo.
Così Akhila, protagonista del libro “Cuccette per signora” di Anita Nair (Ed.
Neri Pozza, tradotta magistralmente da Francesca Diano), comincia ad
esistere da qual momento, da quella decisione; prima no, la sua vita non le
apparteneva.
“Ma quella mattina, quando si svegliò, destata da una mosca meschina con le
ali garzate e l'agile corpo nero, una mosca errabonda e irrequieta, che
ronzando le aleggiava sul viso, Akhila percepì dentro di sé una singolare
sensazione vagabonda. Conseguenza del sogno della notte precedente pensò. La
mosca le si posò sulla fronte per un impercettibile istante, sfregandosi
energicamente le zampine. E' quel che usano fare sempre le mosche; caricano
e scaricano malattie e disperazione. Ma questa, da poco cresciuta, non aveva
nulla di cui liberarsi, se non germi di irrequietudine. Akhila la scacciò
con un gesto del braccio, ma la mosca aveva compiuto la missione che s'era
prefissa. Nel rosso flusso del sangue e di pensieri le si insinuò un
groviglio di desideri simili a tarli, finché Akhila avvertì una gran voglia
di salire su un treno. Di partire. Di andare da qualche parte che non fosse
ancorata alla terra come questa città di Bangalore. Magari alla fine del
mondo. Del suo mondo, almeno. Kanyakumari.”
Akhila ha 45 anni, ma solo ora apre gli occhi sul mondo e su se stessa.
Il romanzo ha inizio con questa decisione determinata – a lungo maturata o
del tutto instintiva? Non lo sappiamo – partire.
Il resto scorre inevitabilmente, come la carrozza del treno sulla quale
Akhila viaggia insieme ad altre cinque compagne. Nemmeno la meta è
importante, né per lei, né per le altre.
Tempo e luogo non contano. Infatti, il passato di ognuna di loro – donne di
diversa età e condizione accomunate dalla loro origine, l’India – si
intreccia con le speranze di ognuna.
Storie raccontate nel buio e nel silenzio della notte, interrotte di tanto
in tanto da improvvisi lampi di luce e frastuoni di voci (dove siamo? E’ la
stazione di…?). Storie di sempre. Storie di tutte.
Come l’autrice, una giovane scrittrice - che ha esordito un paio di anni fa
con il romanzo “Un uomo migliore” – afferma in un’intervista: “ In India è
difficile vivere per le donne. Ma quali donne non dicono lo stesso per quel
che le riguarda, siano esse africane, cinesi e finanche europee?”.
Anche Akhila e le sue compagne pensano questo. E’ il ruolo che la tradizione
dà loro nella società, è l’insegnamento ricevuto dalle loro madri, è la
mancanza di autostima che le fa sentire dipendenti, indifese, non
autosufficienti.
La questione, che è di Akhila, ma che in quel viaggio, in quella notte, in
quel luogo viene posta e diventa di tutte, è se una donna senza un uomo può
essere felice.
Cioè se, senza un padre, un compagno, un fratello una donna può realizzare
se stessa e i suoi sogni.
La risposta non si trova, o forse sì, nel libro, che con uno stile dolce,
sofferto, a tratti poetico, indaga l’animo della protagonista e disegna una
condizione universale.
(Delt@
Anno III, n. 61 del 21 marzo
2005)
Nena
|