L’esperienza di  Khady, leader rete europea contro mutilazioni genitali in Mutilée 

 

 

Editoria

 

 

(Roma). 'Salinde' ovvero “purificazione per accedere alla preghiera”: é una parola africana poco conosciuta in Italia che indica la pratica delle mutilazioni sessuali, una violenza alla quale vengono sottoposte ogni anno tre milioni di donne e bambine in tutto il mondo, al ritmo di una ogni quindici secondi, anche in Italia.

Parla di  tutto questo Khady Koita, la leader di Euronet, un'associazione con base a Bruxelles che lotta contro le mutilazioni genitali femminili, che in “Mutilata” (Cairo Editore) racconta la sua personale vicenda: escissa all'età di 7 anni, sposata a 14 con un cugino più anziano di 20, maltrattata e denigrata dal marito e dalla comunità africana in cui ha vissuto Parigi, fino alla decisione di lottare per riprendere possesso della propria vita e salvare altre bambine e altre donne.

Uno dei fili conduttori del libro é il camminare, che per Khady é anche una metafora della spinta a non arrendersi. “Da quando avevo sette anni ho camminato da Thies (la sua città in Senegal) a New York passando per Roma Parigi e Londra. Non ho mai smesso di camminare, soprattutto dal giorno in cui le nonne sono venute a dirmi: oggi bambina mia ti purifichiamo”, scrive Khady nel suo libro.

Con quella tragica violenza Khady convive da quando era bambina, così come con il dolore e il percorso verso la consapevolezza della brutalità del rito dell’infibulazione che, credenza vuole, aumenti la fertilità femminile, garantendo la purezza e la verginità delle ragazze e la fedeltà delle spose.

“Un vero sopruso aver tenuto le donne africane legate a questo rito – denuncia l’autrice -  che nulla ha assolutamente a che vedere con la religione. La vera ragione di questo atto è soltanto la volontà degli uomini di dominare e il principale obiettivo  della rete di cui faccio parte oggi é quello di informare”. Informare dal punto di vista religioso e mettere a conoscenza tutte le donne delle conseguenze negative, sia mediche che psicologiche, ma anche accendere la speranza affinché le figlie delle donne infibulate non subiscano la stessa violenza.

"Nella lotta contro le mutilazioni, contro i matrimoni forzati abbiamo raggiunti risultati importanti - continua Khady - ma c’é ancora molto da fare". Occorre parlare alle donne, discutere con loro, farle acquistare consapevolezza della violenza insita in tradizioni come l'escissione, perché siano convinte della necessità di bandirla. Occorre sostenere queste donne quando decidono di lottare contro le mutilazione, correndo il rischio di essere escluse dalla loro comunità. Spesso nelle organizzazione non governative, nelle associazioni lavorano "persone che hanno vissuto queste situazione e che quindi hanno bisogno dell'impegno economico delle autorità" per portare avanti la propria missione.

Musulmana e praticante, come ci tiene a precisare, Khady dopo la mutilazione ha dovuto subire un matrimonio combinato e dopo la nascita di cinque figli, è arrivato il tanto sospirato divorzio dal marito e una vita dedicata alla lotta per l'abolizione delle mutilazioni genitali femminili.

"Quando ho deciso di divorziare - prosegue Khady - tutti mi dicevano di tornare con mio marito, che sarebbe stata una vergogna per i miei figli, mi chiedevano come mi sarei giustificata con loro quando sarebbero stati grandi, quando avrebbero capito che avevo portato il loro padre davanti alla giustizia. Quando non pensi più come loro, quando esci dai limiti che loro hanno fissato, a quel punto sei un'esclusa, non fai più parte della comunità".

E sono molte le donne  che hanno paura di questa esclusione, “per questo sopportano e si arrendono - dice Khady - per questo dobbiamo aiutarle a istruirsi, a imparare un mestiere e ad essere indipendenti. Credo che oggi l'educazione, l'istruzione sia l'unica cosa che ci possa salvare. L'ignoranza uccide”.

Dunque,  l'istruzione é 'il senso stesso della vita, il suo motore”. Per questa ragione, sottolinea ancora l’autrice, “tutte le donne dovrebbero potere avere un'istruzione, deve essere una priorità di tutti i governi, perché un domani sarà la nostra sola possibilità per poter rivendicare i nostri diritti e chiedere, dopo l'istruzione, anche la salute, per avere una vita migliore”.

Khady considera il suo libro uno strumento di riflessione e di dialogo, un aiuto per le donne che devono andare avanti nonostante la sofferenza, “devono ingoiare la vergogna – dice -  il pudore e lavorare su se stesse. Ma questo non basta. E’ importante l'aiuto da parte di qualcuno che conosca sia la cultura d'origine che quella d'accoglienza e faccia da ponte tra le due. E’ per questo che é necessario puntare sulle associazioni. E” rassicurante il fatto che in Italia ci sia un apposita legge contro le mutilazioni e spero solo che non rimanga un diritto astratto ma che venga applicata” .

E a proposito dell’Italia, dove Euronet lavora  con varie associazioni - Aidos, Nosotras, Unicef, Idil -  l’attivista senegalese rende noto che nei prossimi mesi la rete si riunirà per esaminare la situazione italiana ed europea ed affrontare i problemi”. Perché è sbagliato pensare che l’infibulazione sia una pratica in uso  solo nei  Paesi meno evoluti, perché viene praticata anche in seno alle comunità di immigrati, verso i quali poco sembrano valere le campagne internazionali che cercano fermarla o almeno di frenarla.

Un solo dato: in una struttura sanitaria di Roma, sono state visitate oltre 5.000 donne con mutilazioni genitali e per 600 di loro si é reso necessario intervenire chirurgicamente per fermare effetti collaterali e complicanze.

Così continua Khady,si arriva al paradosso che “mentre in Africa 'le mutilazioni non sono più un tabù, se ne parla e si lotta per la loro abolizione (vedi l'entrata in vigore, nel novembre scorso, del Protocollo di Maputo, un documento ratificato finora da 17 Paesi, nel quale vengono indicate le misure relative all'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, riaffermando il diritto alla dignità, alla vita, all'integrità e alla sicurezza della persona, all'educazione e alla formazione; o il "Comitato interafricano" che conta 28 comitati nazionali contro le mutilazioni e "diverse associazioni che lavorano sul terreno" nei diversi paesi in cui vengono praticate), in Europa dobbiamo fare un doppio lavoro perché abbiamo la disgrazia di essere donne, nere e immigrate. Una lotta su tutti i fronti, alla quale si aggiunge il timore di essere escluse, di rimanere sole e di essere accusate di rinnegare le nostre culture d'origine”.

Un pericolo che va affrontato in primo luogo con il dialogo, per questo l'informazione e lo scambio delle esperienze è fondamentale, perché oggi - afferma – “nel XXI secolo, certe cose stanno tornando, bisogna stare attenti'. Fra i tanti rischi, c'è anche quello della 'eccezione culturale' proposta da intellettuali che, appellandosi alla protezione culturale, in difesa di tradizioni 'altre', si schierano a favore delle mutilazioni, cercando in alcuni casi addirittura di riabilitarle”.

Khady milita da oltre vent'anni nel GAMS (Gruppo per l'Abolizione delle Mutilazioni Sessuali), un'associazione laica e apolitca di donne africane e francesi che oltre all'escissione si sforza di combattere - attraverso informazione e prevenzione - le pratiche tradizionali nocive, come i matrimoni forzati e/o precoci, le gravidanze ravvicinate. “C'è ancora tanto da fare, é un lavoro enorme, da formiche – conclude - e ha bisogno di una rete di solidarietà e di aiuto per farlo”.

Ne mondo sono 130 milioni le donne che hanno subito la mutilazione genitale, e nonostante le ormai innumerevoli  campagne internazionali di sensibilizzazione, il rituale viene largamente ancora praticato.

Sarà grazie anche alla testimonianza e all’ impegno di Khady e di tante altre donne come lei in Africa e in Europa, che altre donne troveranno la forza e il coraggio dell’impegno per mettere la parola fine a questa violenza.