Una democrazia incompiuta

 

 

Editoria

 

 

 

(Roma) Il volume, curato da Nadia Maria Filippini e Anna Scattigno, procede ad un’analisi della partecipazione politica delle donne in Italia e, con una prospettiva di lunga durata, indaga sulla negazione- esclusione delle donne e sulle forme in cui questa si è declinata, da prima della Repubblica (Prima della Repubblica. Le italiane e l’avventura della cittadinanza- Simonetta Soldani- pp. 41-90) ai giorni nostri (Una democrazia diseguale- pp. 271-312).

I punti focali più evidenti, risultano essere: il legame tra diritti civili e politici con tutte le sue contraddizioni, l’articolazione tra sfera pubblica e privata e la rappresentanza e rappresentazione delle donne. Nel primo saggio, infatti, Simonetta Soldani, nel ripercorre la storia della cittadinanza delle donne, individua la causa principale della loro lunga esclusione nella divisione tra sfera pubblica e privata: la prima riservata ad individui maschili, la seconda gerarchicamente ordinata sotto l’autorità maritale. Nel 1861, infatti, le italiane vengono escluse a priori dai plebisciti chiamati a sanzionare la volontà generale di dar vita ad un Regno d’Italia. Il nuovo regno, di fatto, nasce chiamando a raccolta tutti i maschi, di qualsiasi ceto e condizione escludendo tutte le donne, perché donne. Inoltre, se il Codice del 1865, le considerava “cittadine libere ed eguali nell’ereditare e nel fare testamento, ne faceva però delle persone ampiamente soggette alla potestà del marito, loro unica proiezione pubblica, grazie a norme particolarmente rigide in materia di autorizzazione maritale e di cittadinanza” (P. 66).

Sempre nel 1865, un ruolo determinante nel delineare l’immagine delle donne come soggetti inaffidabili e destinati a vivere sotto tutela, viene giocato dalla legge elettorale amministrativa che stabiliva l’impossibilità di essere elettori, tanto meno eleggibili, per gli analfabeti, le donne, i falliti, i vagabondi ed i detenuti in espiazione di pena (art. 26). Negli anni successivi, continua Soldani, questa condizione di subalternità delle donne, nonostante l’abolizione degli articoli del Codice Civile riguardanti l’autorizzazione maritale e la loro ammissione, a pari titolo degli uomini, in tutte le professioni non coincide con “un’acquisizione cruciale in tema di inclusione attiva delle donne nello Stato”. Ne è testimonianza il susseguirsi di decreti per l’estensione della “capacità elettorale”, che poi si risolverà con un nulla di fatto. Le donne resteranno ancora relegate in una sfera inferiore della società civile, incompatibile con quella pubblica.

A ragione, quindi, Paola Gaiotti De Biase, legge il diritto di voto alle donne in Italia, come un fatto rivoluzionario, “il rovesciamento di un’indiscussa prassi di lunga durata che sanzionava la separatezza fra la vita maschile legata alle relazioni pubbliche, al potere di decisione, alla costruzione della storia e la vita femminile, concentrata sul privato familiare” (P. 93). In sintesi, al termine della guerra, ancor più che nella Resistenza, si presenta per le donne l’occasione di assumersi direttamente nuove responsabilità, dopo secoli di esclusione. Al contempo, la richiesta di partecipazione, preparazione politica, disponibilità di tempo, si intreccia, interferendo, con i tradizionali doveri femminili - cura della famiglia, della casa, ruolo di sostegno, rendendo necessaria inevitabilmente una ridefinizione dei compiti maschili. Proprio la mancanza di questa fase, insieme ad una non meno rilevante costruzione oligarchica (maschile) della politica, è considerata la causa principale dell’attuazione parziale della Costituzione e, quindi, di una cittadinanza debole delle donne. Di particolare interesse è l'analisi di Emma Baeri sul movimento femminista degli anni 70. E' in questi anni, scrive Baeri, che si pone l’accento sulla necessità di ripensare “l’idea di potere, nella costruzione di uno spazio civile da condividere tra uomini e donne” (pp. 131-153).

I collettivi femministi di quel periodo, quindi, guardano con nuova attenzione ai diritti civili, sociali e politici conquistati, e quelli ancora da conquistare, sintomo e simbolo delle emergenti ed impellenti rilevanze politiche.

La seconda parte del volume, invece, pone l'attenzione sull'estraneità delle donne dalla vita pubblica o comunque sulla loro evidente marginalità, una delle questioni attualmente più dibattute e che nel nostro caso, viene inserita al centro delle discussioni sulla cittadinanza, la giustizia e la democrazia.

 Un sistema, che di fatto esclude la maggioranza della popolazione dalle sedi in cui le decisioni vengono assunte- (l'Italia è al 60° posto nel mondo riguardo alla rappresentanza pari al 9.2% nel 2001- p. 304), come può qualificarsi democratico? Come detto in precedenza è questo l’interrogativo più ricorrente. Scrive Lorenza Carlassare se “la democrazia è partecipazione del corpo sociale alle decisioni, come si concilia con essa l'assenza della maggioranza del popolo sovrano dalle sede politiche decisionali?” (p. 288).

Sebbene questa anomalia caratterizzi tutti gli stati europei, l’Italia risulta essere il fanalino di coda, perché negli ultimi anni, la presenza delle donne nelle istituzioni è andata calando (!) ed è in controtendenza rispetto agli altri paesi dell’Unione europea nei quali, invece, si sta avvertendo un miglioramento. Da qui la felice espressione di Chiara Valentini per ciò che riguarda il caso italiano, “democrazia del gambero”.

Infine, in vista di un riequilibrio per un’effettiva parità tra i due sessi, mi è parso molto interessante, nell’ultimo saggio del volume, che il problema della “disparità numerica” sia stato posto in relazione al riconoscimento della differenza nelle istituzioni (p. 304).

In conclusione, Maria Luisa Boccia citando uno scritto di Letizia Gianformaggio afferma: “Presenza non è il mero esserci. Presenza è significare la differenza, non velarla dietro il neutro. (…)Solo il circolo virtuoso di presenza e riconoscimento può portare a visibilità e significazione il fatto che il mondo, in tutte le sue forme, è abitato da donne e uomini. Due sono i soggetti della vita, e non possono essere due i soggetti nella politica”.

(Delt@ Anno VI°, N. 76 del  2 Aprile 2008)                                   Elisa Salvati