Un po’ di tempo per me. Ritrovare se stessi, vivere meglio 

 

 

Editoria

 

 

(Roma). Cos’è davvero il tempo per sé? E vale la pena cercarlo? La risposta di Marina Piazza, autrice di ‘Un po’ di tempo per me. Ritrovare se stessi, vivere meglio’  è ovviamente sì, meno ovvii sono alcuni risvolti e una carica politica sottolineata dalla presentazione alla Casa Internazionale delle Donne di Roma giovedì 6 ottobre e dagli appassionati interventi delle astanti.

Un po’ di tempo per me non è solo un’acuta analisi sociologica, ma soprattutto una collezione di narrazioni, da quelle raccolte in lunghi mesi di interviste a donne, alle quelle letterarie e filosofiche di autori e autrici come Duras, Woolf, Calvino e Foucault.

L’immagine (dello psicologo indiano Khan) del ‘campo coltivato a maggese in quiete ricettiva’ ben illustra la condizione del tempo per sé. Il tempo per sé non è definito da ciò che si fa, ma da ‘come’ lo si fa: dal grado di consapevolezza rispetto a ciò che si fa, e al proprio essere nel mondo. Passeggiare nella natura, andare al parrucchiere, leggere un libro, riflettere in solitudine. Ma anche lavorare, abbandonarsi alla memoria di un momento passato, cucinare da sole. Tutto questo, o nulla di tutto questo, può essere tempo per sé. L’importante è che sia tempo non vessato dall’obbligatorietà (né tantomeno dominato dalle imposizioni dell’industria del consumo culturale – per questo ‘tempo per sé’ non coincide necessariamente con ‘tempo libero’).

Il tempo per sé è completamente soggettivo: è diverso a seconda della persona, della fase della vita, del modello di relazioni sociali e lavorative entro cui si vive. E, non casualmente, quello che viviamo al giorno d’oggi pone problemi tali per cui riflettere sul tempo per sé acquista la rilevanza di un atto politico: questa nostra epoca così centrata sulla brevità e sulla frenesia del fare non fa che accentuare la sensazione di essere gettate nel mondo, in un universo di significati prefabbricati del senso comune: l’esperienza diretta si atrofizza, così come la capacità di uscire dall’ovvio.

Il tempo per sé sono i momenti in cui succede il contrario di tutto questo: è il tempo dell’essere, in cui si costruisce una pienezza, una soggettività, spiazzando la routine e la quotidianità con atti creativi di consapevolezza. È un tempo di piacere e di libertà dal senso di colpa. Può essere il tempo delle lotte femministe, come hanno testimoniato diversi degli interventi delle presenti, quello della consapevolezza e della presenza a se stesse. O quello con vissuto con i figli: non, si badi bene, il ‘tempo obbligatorio e adultizzato’, scomposto e adattato ai ritmi frenetici dei genitori, bensì il vero tempo dei bambini, della loro meraviglia e della loro lentezza. Con un certo suo stupore, afferma Piazza, nessuna delle donne da lei intervistate ha citato la sessualità come opportunità di tempo per sé: rientra forse nelle maglie dell’ovvio, o dell’obbligatorio…

Perché una tematica come questa è frequentata molto di più dal pensiero femminile che da quello maschile? Perché le donne da sempre hanno dovuto cercare uno spazio, una camera di compensazione in cui coltivare e ritrovare la propria pienezza in libertà dai condizionamenti. Problema che si ripropone drammaticamente in una società come quella attuale, in cui le donne, ‘costrette al successo’ su entrambi i piani della realizzazione familiare e lavorativa, rischiano di perdere completamente la percezione stessa del diritto a un tempo per sé. Nonostante l’emancipazione, le donne tendono comunque a rimanere prigioniere del modello oblativo del sacrificio e della cura dell’altro cui sono sempre state consacrate, e non riescono a liberarsi dal senso di colpa per la sola eventualità di non essere sempre, interamente, a disposizione degli altri.

Dunque per questo tempo occorre lottare. Contro un modello sociale che ci vorrebbe meri esecutori continui, quasi che il non essere impegnati in qualche attività di produzione e consumo spalanchi le porte ad un orribile vuoto, il tempo per sé è davvero necessario come forma di resistenza politica: analizzare la propria esperienza e trasformarla in vissuto, recuperando la capacità di sentirsi dentro le cose, di aprirsi agli altri, di non subire il terrore del vuoto e della solitudine, di agire insieme. È  chiaro che questo tempo così prezioso non ci è dato: è un’abilità da coltivare, e per cui lottare.

(Delt@  Anno III, n. 199 del 10 ottobre 2005)                                                                                              Laura Cocciolo