SPECIALE GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA ALLE DONNE

 

Approfondimenti

 

 

25 Novembre 2008. Le donne non si toccano nemmeno con un fiore…

(Roma) Sarà il manifesto contestato, “Donna crocifissa”, della campagna nazionale antistupri di 'Telefono Donna', che ritrae una donna seminuda, il corpo coperto soltanto da un lenzuolo bianco, e con sotto le braccia due cuscini, a rappresentare il braccio orizzontale della croce, (evidente rimando alla sofferenza di Cristo), a comparire, ancora questa mattina sulle pagine di quotidiani, riviste e siti web - nonostante la decisione del Comune di Milano, di bloccarne l'affissione - per celebrare il 25 Novembre, Giornata Internazionale contro la violenza alle donne (il 25 novembre 1960 furono violentate e uccise le sorelle Mirabal, paladine della lotta di liberazione della Repubblica Dominicana dalla dittatura e da allora simbolo internazionale della lotta per l'eliminazione della violenza contro le donne). Una violenza che per molte donne è ancora il pane quotidiano - per parafrasare lo slogan scelto per il terzo anno consecutivo dall'associazione Linea Rosa di Ravenna, assieme alle associazioni Demetra-Donne in Aiuto di Lugo e SOS Donna di Faenza, per la campagna di sensibilizzazione su tutto il territorio provinciale (l'iniziativa prevede la realizzazione di sacchetti per il pane che denunciano il fenomeno della violenza sulle donne) - come dimostra l’episodio terribile, l'ennesimo omicidio, ieri, di una persona trans a Roma, a testimonianza, ancora una volta, “del clima di intolleranza verso le persone transgender, che nei mesi scorsi - denuncia Arcigay Roma - sono divenute, spesso, un bersaglio, anche nella capitale, dove la piaga degli omicidi delle persone gay e trans è allarmante”. “Serve una politica nuova, che coinvolga tutte le istituzioni, di inclusione e valorizzazione delle diversità, anche e soprattutto verso chi già, spesso, è costretta a vivere ai margini della società o viene sfruttata. Bisogna partire da un tema fondamentale: l'accesso al lavoro per le persone trans".

Serve una politica nuova, lo ripetiamo, e serve subito, perché gridano vendetta le 6,743 milioni di donne da 16 a 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita (il 31,9% della classe di età considerata). 5 milioni sono le donne che hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%). Circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). Sono 2,077 milioni donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), terrorizzate dai partner al momento della separazione o dopo che si erano lasciate (il 18,8% del totale). Mentre sono 7,134 milioni le donne che hanno subito o subiscono violenza psicologica: le forme più diffuse sono l`isolamento o il tentativo di isolamento (46,7%), il controllo (40,7%), la violenza economica (30,7%) e la svalorizzazione (23,8%), seguono le intimidazioni nel 7,8% dei casi.

Per ricordarlo, l’Associazione 'Donne in rete', ha inviato al Governo e a tutti i/le Parlamentari italian* una lettera aperta ("Lettera aperta al Governo, ai Senatori, e ai Deputati del Parlamento Italiano") per chiedere l'immediata approvazione di una legge che rafforzi le tutele verso le donne, vittime ogni giorno di violenze ed aggressioni. “Oggi - recita la lettera - si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. In occasione di questo importante appuntamento chiediamo che venga accelerato l'iter di approvazione della legge per rafforzare le tutele penali e sociali nei confronti delle donne che ogni giorno subiscono violenze e aggressioni, spesso in ambiente familiare". E' necessaria, prosegue il documento firmato da Rosaria Iardino, Presidente di "donneinrete.net e da Paola Concia, Commissione Giustizia della Camera, "una legge che dia certezza di diritto a tutte le vittime di un fenomeno purtroppo in continua crescita e che, secondo le stime più recenti dell'Istat, indica in 14 milioni il numero di donne italiane che hanno subito almeno una volta nella vita, atti di violenza fisica, sessuale o psicologica. Un dramma che solo in meno del 10% dei casi ha trovato pubblicità attraverso una denuncia alle Autorità e che nel 75% dei casi ha visto come artefice della violenza un familiare o un conoscente della vittima". Purtroppo, ricorda la lettera, la scorsa legislatura si è chiusa senza che il Parlamento riuscisse ad approvare una legge che contribuisse a fermare questa piaga. "Per questo "Donne in Rete" chiede che non sia vanificato tempo prezioso e che il Parlamento giunga quanto prima al varo di una legge che tuteli le donne nella loro dignità e nella loro vita".

Legiferare subito significa quanto prima ridurre i rischi che colpiscono le donne, significa evitare un male che riguarda tutte e tutti, una violazione dei diritti umani terribile e vergognosa. Significa, ancora, far sentire alle tante, ancora troppe donne che subiscono e che sono sopraffatte dalla violenza, che nessuna sarà mai più sola.

“Da mesi – ricorda Dorina Bianchi (Pd) - si parla di una nuova legge che dia aspra battaglia a questo male, attraverso la previsione del reato di stalking e rafforzando, nell'organizzazione e nei finanziamenti, i centri antiviolenza presenti sul territorio italiano che specialmente al Sud non riescono a offrire l'assistenza necessaria a causa dei pochi fondi a disposizione".

Ma, "Tagliare 20 milioni di euro dal piano antiviolenza, come ha fatto questo Governo per darli all'Ici significa non avere a cuore questo problema", aggiunge Walter Veltroni, segretario del  Partito democratico, schierato in una "battaglia legislativa contro la solitudine delle donne", un argomento che secondo Veltroni non vede il governo particolarmente impegnato. "Per noi questa è una parte importante per affermare un modello sociale di diritti diverso. Dobbiamo avere coraggio, anche di restare in minoranza", ha spiega ieri chiudendo il convegno del Pd 'Non da sola' e ricordando la mozione presentata dai democratici alla Camera per chiedere fondi a favore del piano antiviolenza sulle donne.

La mozione, presentata in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, che ha tra gli altri firmatari oltre il segretario del Pd Walter Veltroni, i vertici del gruppo parlamentare alla Camera Antonello Soro, Marina Sereni e Gianclaudio Bressa, chiede al governo di rifinanziare il piano di azione del Dipartimento pari opportunità mirato alla realizzazione di case rifugio, centri antiviolenza, associazioni femminili e misure a tutela delle vittime di violenza. "Chiediamo anche al governo -si legge nella mozione- la presentazione di un Piano d'azione per i diritti delle donne, contro le molestie per motivi di orientamento sessuale o religioso, per differenti abilità, razza e religione. In particolare l'esecutivo si impegni a stanziare per il Piano 20 milioni di euro nel 2009 e alla sua implementazione pari a 40 milioni di euro per il 2010 e a 60 milioni per il 2011. Solo così sarà possibile la realizzazione di azioni, campagne informative, misure a tutela delle vittime e attività di recupero".

"La drammatica realtà che molte donne vivono rende necessario un urgente intervento. "Nei prossimi mesi - lancia l’allarme il Pd - centinaia, migliaia di donne perderanno il lavoro, la maggior parte un lavoro precario, una situazione di solitudine e povertà che sta a monte e a valle della violenza sulle donne".

Un legame denunciato anche dalla sezione italiana di Amnesty International, che, in occasione della Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza sulle donne, lancia una campagna in favore delle donne colpite da Hiv/Aids in Sudafrica. "Quello del Sudafrica è un tragico esempio del legame tra povertà e violenza" ha spiegato Erika Bernacchi, responsabile del Coordinamento Donne della Sezione Italiana di Amnesty International. "Se è vero che la violenza contro le donne colpisce donne di ogni etnia, età e classe sociale, tuttavia povertà e violenza sono fattori che si influenzano e si rafforzano a vicenda" ha aggiunto. In Sudafrica, dove vivono cinque milioni e mezzo di persone colpite da Hiv/Aids, il più alto numero al mondo, e con il 55 % dei contagi che riguarda le donne, la percentuale di donne tra i poveri e i disoccupati è altissima e la povertà svolge una funzione di barriera all'accesso ai servizi sanitari per quelle contagiate nelle aree rurali del paese, a causa delle distanze e dei costi di trasporto. Allo stesso tempo, il Sudafrica presenta elevati livelli di violenza sessuale e di altre forme di violenza legate al genere.

Ma "Le violenze e i soprusi non riguardano solo 'mondi' lontani o estranei a noi. I guasti di una mentalità maschilista, forme di prepotenza e oppressione, molestie e violenze contro le donne, stupri e omicidi, si consumano anche in Europa e nel nostro Paese, ricorda Barbara Pollastrini (Pd), in una lettera inviata al Presidente della Camera Gianfranco Fini, sottolineando come “la violenza si consuma nel silenzio delle case, al riparo di famiglie,’rispettabili' o nel circuito affettivo delle vittime".

"Come Lei sa - prosegue Pollastrini nella lettera - è proprio il carattere altamente drammatico di questa emergenza ad aver spinto le Nazioni Unite a parlare per la prima volta di una nuova fattispecie di reato denominato 'femminicidio'. Sulla base di queste considerazioni Pollastrini chiede al Presidente della Camera di convocare (si tratterebbe di “un atto importante ma insieme dovuto dal Parlamento nell'anno del sessantesimo della Costituzione italiana e nel sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani") una seduta specifica della Camera dedicata ai diritti umani delle donne e ai programmi contro ogni forma di intimidazione e di violenza. “Una giornata dei nostri lavori nel corso della quale sia possibile l'esame di una Mozione parlamentare presentata dal gruppo del Pd così come eventualmente da altri gruppi". "Il tema dei diritti umani delle donne -conclude Pollastrini - è 'centrale' per il profilo democratico e la convivenza del futuro, per la stessa crescita economica e sociale del mondo in cui viviamo…

Restando in tema di diritti umani, e in particolare di diritti umani delle donne, proprio ieri, il Comune di Firenze, durante un consiglio comunale straordinario, ha consegnato il “Giglio D’Oro” (riconoscimento assegnato a donne che hanno speso la loro vita in difesa dei diritti umani e delle violenze di genere) a Marisela Ortiz Rivera, psicologa e insegnante, tra le fondatrici nel 2001, dell'associazione umanitaria"Nuestras Hijas de regreso a casa", (che le nostre figlie ritornino a casa) in difesa dei parenti delle vittime di Ciudad Juarez in Messico. “Consegno idealmente questo riconoscimento alle madri di Ciudad Juarez affinché tutte le lacrime non siano state versate invano. In memoria di tutte le donne e i bambini assassinati, grazie davvero”, ha detto Rivera, che con la sua associazione si batte da anni per denunciare il perpetrarsi dei crimini nella città messicana, in cui dal 1993 a oggi si registrano 1000 donne scomparse di cui 500 ritrovate dopo essere state violentate e torturate. Per la sua opera di denuncia dell'omertà' della gente e la corruzione delle istituzioni, Rivera ha subito minacce, intimidazioni e attentati, ma ha portato all’attenzione mondiale i crimini e gli abusi in atto a Ciudad Juarez, crimini e abusi per i quali è stato coniato il termine femminicidio…

 

 Femminicidio: una piaga mondiale: Un termine che indica la violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale, rivolta contro la donna “perché donna”. La deputata e sociologa messicana Marcela Lagarde l’ha definito l'atto di assassinare una donna, solo per il fatto della sua appartenenza al sesso femminile. Lagarde sostiene che la categoria femminicidio è parte del bagaglio teorico femminista introdotto dalla statunitense Diana Russel e Hill Radford, che nel libro The Politics of Woman Killing (Twayne Publishers New York, 1992) hanno parlato di  femicide che, tradotto nella nostra lingua significa assassinio di donne. Tuttavia, per segnare una differenza con quel termine, Lagarde scelse la voce femminicidio, per parlare di genocidio contro le donne. Andrea Dworkin, femminista americana, ha usato il termine gynocide per descrivere la violenza sistematica perpetrata, fino a provocarne la morte, dal genere maschile su quello femminile. La sociologa Daniela Danna scrive che la rigida separazione tra i sessi con la prescrizione della subordinazione del sesso femminile a quello maschile è la radice della violenza che l’autrice chiama ginocida.

Il femminicidio è una forma di violenza di genere che sottende torture, mutilazioni, abusi, violenza sessuale, in altre parole tutte quelle violenze, fisiche, psicologiche,  sociali, economiche rivolte contro la donna e volte al suo annientamento, psichico o morale e fisico. Violenze che hanno entità diverse ma che sono accomunate tutte dal fatto di puntare, a una diminuzione del valore fisico o morale della donna.

 La violenza di genere si identifica con il femminicidio perché è ogni violenza rivolta contro la donna in quanto donna che va a colpirla personalmente.  La giurista Barbara Spinelli nel suo libro “Femminicidio” preferisce parlare di femminicidio piuttosto che di violenza di genere proprio per il fatto che femminicidio ha un valore simbolico più ampio ed è di maggiore impatto anche nei confronti dell’opinione pubblica. Soprattutto, col termine femminicidio si mette in risalto la matrice comune che hanno tutti i tipi di violenza di genere: il fatto di essere rivolti contro la donna e di avere un fine distruttivo nei suoi confronti. Il concetto di femminicidio non è stato raccolto da nessuna legislazione ancora, ad eccezione del Guatemala, ma si impiega negli ambiti accademici e del movimento femminista, perché è “più politico, poiché non include solo l'aggressore individuale ma ricorre all'esistenza di una struttura statale e giudiziaria che avalla questi crimini”. Il femminicidio è un ‘omicidio’ di Stato.   

Molte studiose e attiviste hanno parlato anche di hidden genercide, “genercidio nascosto”, per il numero di donne demograficamente scomparse che è paragonabile a un olocausto che si ripete ciclicamente. Ogni 4 anni nel mondo muore, un numero di donne paragonabile alle vittime dell’olocausto; con la differenza che per tali vittime sono stati cercati dei colpevoli, le donne invece muoiono in un silenzio assordante. Non un tribunale speciale, in Cina ad esempio per giudicare migliaia e migliaia di feti femmina abortiti o gli stupri di guerra che si ripetono continuamente in Africa.

 

Il femminicidio: Alcuni dati nel mondo

 

Secondo il Consiglio d’Europa la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni in tutto il mondo: prima del cancro o degli incidenti stradali è la violenza a uccidere.  In Europa il fenomeno è assolutamente trasversale per ceti sociali e livello di istruzione. Gli uxoricidi sono soprattutto compagni e mariti, che raramente soffrono di disturbi psichiatrici, sono cioè capaci di intendere e di volere, e molto raramente assumono sostanze stupefacenti.  L’unico dato che li accomuna è l’impunità.

In Svezia il numero di donne uccise è aumentato a livello esponenziale dal 2003, dal 2001 in Spagna e in Francia ogni 4 giorni una donna muore per mano del marito e del compagno. In Usa il femmicidio è causa di morte di giovani donne tra i 14 e i 25 anni. In Canada, grazie al sito web “Women Make Movies”, si è giunti a conoscenza di un documentario che denuncia pubblicamente la sparizione e l'assassinio oltre 500 donne indigene negli ultimi 30 anni. Il film si intitola Finding Dawn ed è stato realizzato da Christine Welsh. Il titolo riprende il nome di Dawn Crey, la 23esima vittima riconosciuta grazie al DNA nella più grande indagine sugli omicidi seriali in Canada svoltasi fra il 2002 e il 2004. Il film si concentra su questo e altri episodi, documentando e denunciando la sostanziale indifferenza delle autorità di fronte a omicidi e sparizioni di donne indigene canadesi, oltre che sulla difficile battaglia delle famiglie per ottenere giustizia.

In Ucraina, dei 1008 omicidi l’anno, la maggior parte delle vittime sono donne. In Russia, più di 14 mila donne vengono ammazzate ogni anno dai loro mariti o membri della famiglia (Special Rapporteur on Violence Against Women). Delitti di onore persistono in Albania, Afghanistan, Turchia (Amnesty International and the Special Rapporteur on Violence against Women). Organizzazioni non governative hanno documentato dozzine di crimini d’onore l’anno. Un report di Amnesty International ha stimato che in Turchia nel 2003, di 70 casi di femmicidi ben 40 hanno avuto come motivazione “l’onore”. Gli assassini per la maggior parte dei casi sono giovani componenti della famiglia, cugini o fratelli, che eseguono il crimine dopo un consiglio di famiglia. In alcune regioni della Turchia, elevatissimo è il numero dei suicidi di giovani che preferiscono sfuggire alle tradizioni culturali con la morte.

 

Il femminicidio in America Latina.

 

In tutta l’America Centrale, la violenza contro le donne è oggi un problema epidemico. 

Le aggressioni per motivo di genere sono molto estese, sopratutto in Messico, nel Salvador e in Guatemala, dove, dal 1999 sono stati commessi 4 mila assassini di donne. Tra le cause: la violenza familiare, gli assalti in strada, le vendette personali. In tutti casi è implicato il machismo. Degli uxoricidi solo il 20% è arrivato ai tribunali; il 3% ha ricevuto una sentenza di condanna.

Nel 2007 si sono registrati 538 assassini, e nel 2008, solo nella capitale, la “Procura dei Delitti contro la Vita” ha registrato un totale di 58 femminicidi  per asfissia e strangolamento.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU, è arrivata alla conclusione che il femminicidio in Guatemala ha oltrepassato ampiamente il caso di Juárez, a dispetto del quale era passato quasi inosservato. Il 7 maggio del 2007, è stata promulgata la legge contro il femminicidio e altre forme di violenza contro le donne che include ogni tipo di discriminazione sessuale, economica e psicologica. La legge condanna dai 25 ai 50 anni chi ammazza le donne. L’approvazione della normativa ha rappresentato un trionfo per le deputate guatemalteche, poiché punisce ogni atto di violenza contro le donne, sessuale, economico, sociale, culturale da 5 agli 8 anni di prigione. Fino a questo momento, la verità e che solo 5 casi sono stati denunciati al Ministero.  Regna purtroppo ancora l’impunità. L’80% dei casi non ha ottenuto giustizia. Jeannette Carrillo, presidente dell’Inamu de Costa Rica, ha dichiarato che i poteri giudiziari e gli agenti di polizia obbligano le vittime a non denunciare, colpevolizzandole e negando loro sicurezza. Complici di tale violenza machista i mezzi di comunicazione. Non tutti i casi di femminicidio e femicidio sono stati trattati dai quotidiani, solo quelli più brutali ed efferati. La tendenza dei giornali è di trattare la notizia come un evento di cronaca nera, o di crimini passionali, quella, cioè, di impressionare e suggestionare, senza far riflettere sulla reale causa degli omicidi. La  parola femminicidio non è mai adottata dagli/dalle operatori/trici della comunicazione.

 

In El Salvador è la Procura per la Difesa dei  Diritti Umani a rendere noti i 257 casi di donne uccise. Una violenza che si scatena soprattutto in famiglia – sostiene Rocío García, presidente dell’Instituto Nacional de las Mujeres de México (Inmujeres) – e la violenza familiare appare un fenomeno difficile  da combattere visto che non esistono leggi che proteggono la vita delle donne. In Uruguay e in Cile si sono registrate  rispettivamente 40 morti violente di donne uccise per mano di mariti e compagni.

 

In Colombia, il fenomeno del femminicidio ha interessato soprattutto le donne Wayuu. Ben oltre 250 sono state uccise negli ultimi anni per aver difeso il loro territorio e i loro diritti. In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, le donne wayuu hanno deciso di lanciare una carovana che diventa parte del movimento indigeno colombiano. Un movimento che per la prima volta mette in difficoltà la politica repressiva del presidente Alvaro Uribe Velez. La marcia porta con sé anche il messaggio centrale della difesa di quello che le donne Wayuu chiamano «Wounmainkat», la Nostra Terra, per richiamare l’attenzione non solo sulle violazioni dei diritti umani, ma anche sulla violenza delle multinazionali e dei paramilitari contro il territorio con lo scopo di dar vita a megaprogetti e sfruttamento delle risorse. Una denuncia forte e diretta verso i protagonisti di questa violenza e verso un regime politico che garantisce impunità ai carnefici. Una Carovana per Wounmainkat che attraverserà i municipi di Burroni, Dibulla, Rioacha, Uribia per ritornare a Maicao, dove saranno presentate due relazioni, una sul Territorio e un’altra sui diritti umani. Alla fine della giornata del 25 novembre ci sarà un dibattito con la delegazione di donne indigene del Cauca, la regione del paese da cui è partita la mobilitazione indigena e dove più radicate sono le pratiche di resistenza e di autogoverno del movimento. Una campagna dunque per l’abolizione di tutte le forme di violenza contro la “nostra Terra” che resiste e si oppone alla pubblicità mediatica che alcune multinazionali realizzano con differenti mezzi. “Nella loro pubblicità queste multinazionali promuovono il progresso e lo sviluppo, così come il loro impegno nel rispetto dell’ecosistema e verso i popoli indigeni che abitano la Guajira da millenni, cosa che contraddice palesemente la realtà dei fatti, in un territorio dove gli unici giganti siamo noi donne Wayuu”, sottolinea Karmen Boscan, la leader della forza delle donne Wayuu che ha promosso la marcia.

 

Drammatica è anche la situazione in Honduras, Paese in cui, oltre ai fenomeni di violenza e abuso sessuale, in un anno più di 600 donne sono state assassinate. Dati riportati nello speciale dell’agenzia stampa di genere Cimacnoticias da Marcia Facusse Andonie, presidente della commissione de la Familia y Niñez del Congreso Nacional de la República de Honduras, la quale ha dichiarato come il femminicidio ha rivestito nell’agenda politica del Paese uno dei tanti problemi e non il problema prioritario. Lo si è affrontato, per Facusse, da parte dei maggiori esponenti del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, in maniera superficiale visto che gli autori di tali delitti sono ancora oggi impuniti. “Insieme all'istituto de le Mujeres de Honduras – ha dichiarato – stiamo cercando di sradicare il problema attraverso iniziative di legge finalizzate al cambiamento del Codice Penale con il fine di colpire duramente gli autori dei delitti”.

 

 In Messico, soprattutto per quanto riguarda Juarez, la città maledetta conosciuta dal mondo per i suoi femminicidi, assurti agli onori della cronaca, grazie a diverse pubblicazioni (si veda ad esempio Il deserto delle morti silenziose. I femminicidi di Juárez) o a film-denuncia come "Bordertown”, patrocinato da Amnesty International e diretto da Gregory Nava, o al più recente documentario "Bajo Juarez" che presenta le testimonianze di un giornalista, di alcuni parenti delle vittime e di lavoratori migranti che denunciano, al  oltre ai casi di violenza domestica, di recente sono stati segnalati nuovamente i ritrovamenti  dei corpi di alcune donne assassinate. Almeno tre, che vanno ad aggiungersi alle circa 50 donne assassinate solo quest’anno.

A denunciarlo, ancora una volta, l’Associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa, le cui attiviste, preoccupate dal silenzio dell’opinione pubblica, sostengono che il fenomeno del femmicidio interessi sempre meno la società, da sempre sorda a questa emergenza e sulla quale invece le istituzioni continuano a minimizzare non dando riposte efficaci per arrestare la strage di donne che continua a consumarsi nell’indifferenza del Paese.

Le donne sono sole in questa battaglia che purtroppo, registrando un crescendo di episodi tragici, è ormai permanente. Luz Esthela Castro, direttora del Centro dei  Derechos Humanos para las Mujeres en Chihuahua e avvocata dell'organizzazione Nuestras Hijas, lamenta la superficialità con la quale si è affrontato il tema del femminicidio, motivo per il quale ha sollecitato nel 2007 l'eurodeputato Raúl Romeva a visitare Ciudad Juárez e Chihuahua. Romeva è stato l'unico, secondo Castro, che abbia mostrato una sensibilità sincera.

L’eurodeputato ha promosso lo scorso anno una risoluzione sul tema del femminicidio al  Parlamento Europeo, grazie a  documentazioni dettagliate specialmente riguardo agli episodi registrati a  El Paso, città di frontiera con gli Stai Uniti, e esponendo una dura critica al governo messicano sulle mancate risposte al dramma o sulla mancanza di capacità o volontà di comprenderne le ragioni. In seguito alle continue minacce di morte che ha subito Luz Esthela Castro - Romeva ha interceduto presso il Premier Felipe Calderón affinché l'attivista fosse munita di  una scorta.

I tristemente noti casi di violenza di genere a Città Juárez e Chihuahua, hanno travalicato i confini nazionali con la loro lunga storia fatta di discriminazione, di giustizia sorda e del tutto inefficiente, di falsi testimoni, minacce ai famigliari delle vittime e associazioni per i diritti umani che le sostengono nella loro incessante ricerca di verità e giustizia.

Lo scorso ottobre è approdata al Parlamento Europeo, grazie a una relazione del Centro Diritti  Umani delle Donne (CEDEHM), con sede a Chihuahua, consegnata da Luce Esthela Castro, direttora del CEDEHM e   avvocata dell'organizzazione “Giustizia per le Nostre Figlie”, che tra dicembre e gennaio prossimo presenterà alla Commissione Interamericana per i Diritti umani (CIDH), congiuntamente alla Commissione Messicana di Difesa e Promozione dei Diritti umani, il caso di David Culli, reo confesso di un femminicidio. 

Le avvocate del CEDEHM, Alma Gómez Caballero e Luce Castro Rodríguez sono le autrici di una relazione che consta di 43 pagine ed è patrocinata da Amnesty International.  Il documento espone la situazione della violenza di genere a Juarez, ormai nota a livello mondiale per gli assassini di donne e bambine dal 1993 a oggi. Eppure – evidenziano le due avvocate – ancora oggi il femminicidio non è considerato una violazione dei diritti umani poiché ancora le indagini sono scarse, gli omicidi sono quasi del tutto rimasti senza colpevole, né mai si è pensato ad alcuna forma di risarcimento per i famigliari delle vittime.

La violenza e la discriminazione contro le donne sono ancora accettate come "atti naturali" dagli operatori di giustizia, senza contare che i vari Dipartimenti pubblici archiviano subito i casi senza indagare a fondo. Basti pensare che, dei 12 casi di omicidi di genere trattati dalla magistratura nel 2007, 10 sono rimasti senza colpevole.

 La speciale squadra nata con l’intento di identificare i resti delle vittime rinvenute nei territori di Juárez come di Chihuahua, è riuscita, finora, a identificare solo 26 desaparecide.  

Castro e Gómez nella loro relazione offrono testimonianze approfondite rispetto al tema della violenza di genere nei due territori presi in esame, denunciando come l’entrata in vigore del Nuovo Sistema di Giustizia Penale abbia reso ancora più vulnerabili i diritti umani delle donne privilegiando molto spesso la conciliazione e gli accordi riparatori tra famigliari delle vittime e aggressori.  "Gli avanzamenti contenuti nella legislazione sul tema dei diritti umani delle donne sono lettera morta", non ci sono case di accoglienza istituzionali che aiutino le donne vittime di violenza, ma solo due centri nati grazie ad associazioni civili che navigano in cattive acque a causa degli scarsi finanziamenti, mentre la prima legge sulla violenza non ha prodotto finora sviluppi positivi. La relazione documenta, inoltre, numerosi casi di violenza di genere indagati dal CEDEHM, e denuncia come alle vittime di violenza sessuale, minori soprattutto, venga negato anche il diritto all’aborto.

 

Sempre in Messico, il 52% delle studentesse delle scuole superiori è oggetto di violenza verbale, molestie, atti di bullismo e violenza sessuale da parte del personale docente e non docente. I dati sono stati evidenziati dalla ricerca “Indagine sulla violenza nelle scuole superiori e il rapporto tra docenti e studenti sulla promozione dei diritti umani e parità”, coordinata da Gloria Ramírez, la quale precisa che il 43 % delle adolescenti che studia negli istituti di scuola superiore hanno denunciato atti di molestie, violenza verbale da parte degli insegnati, mentre un altro 9% ha rivelato di aver negoziato sesso in cambio della promozione. Lo studio, edito dall’Unesco e dalla UNAM (Diritti umani dell'Università Nazionale Autonoma del Messico), evidenzia ancora che il 18% delle adolescenti intervistate è stata molestata sessualmente dai docenti, che, sono anche gli autori, nel 23% dei casi, di molestie sessuali. Preoccupante è anche il fatto che molte delle studentesse hanno dichiarato di essere state molestate nei paraggi delle scuole anche da parte di poliziotti e personale scolastico, che, oltre alle aggressioni verbali le ha derubate di soldi e cellulari in risposta alle loro proteste.

L’analisi, che ha riguardato 18 plessi scolastici e studentesse dai 15 ai 22 anni, ha evidenziato, inoltre, come in ben 14 istituti sia più alta la percentuale di studenti maschi rispetto a quella femminile, a causa di materie scolastiche pensate più per gli uomini (materie tecniche quali meccanica industriale, elettronica, informatica, ecc.). Il 48% delle ragazze, ancora, non ha accesso a tutti i corsi né a strumenti adeguati di studio. Solo in 4 istituti la percentuale di iscritte è più alta a causa dei corsi offerti: lavoro sociale, segretaria esecutiva bilingue, laboratorista clinico, infermeria e informatica.  La conclusione cui giunge il Centro Nazionale di Valutazione (Ceneval), è il fatto che gli/le iscritti/e alle scuole tecniche hanno minori opportunità di accesso all’università: 9 studenti su 10 non sono ammessi.

 

E’ “femminicidio” anche in  Italia

 

Il 31% degli omicidi volontari in Italia avviene tra le mura domestiche. Secondo il rapporto Eures presentato a gennaio 2008 e relativo all’anno 2006, i delitti compiuti all’interno delle mura domestiche sono al primo posto.  Ne uccide più la famiglia che la mafia.  Il fenomeno continua a caratterizzare soprattutto il nord (94 vittime, pari al 48%). Segue il Sud con 62 vittime e il centro con 39 vittime. Una ricerca  sulla stampa italiana nel 2007 mostra ancora una volta che l’uccisione di donne avviene soprattutto per mano di familiari e partner e che i media amplificano o minimizzano i casi in base all’etnia e all’identità della vittima. I numeri parlano da soli: 107 donne uccise nel 2007, 19 nel gennaio 2008 per un totale di 126 femminicidi commessi, di cui 6 duplici omicidi.

Molto spesso si dimentica di sottolineare che “le donne straniere sono sempre più spesso vittime di soprusi e di violenze", come denuncia Souad Sbai, presidente dell`Associazione Acmid-Donna Onlus e deputata del Pdl, convinta che un dialogo costruttivo possa rappresentare l'anello di congiunzione tra le diverse culture, e per questo segnaliamo l’interessante serie di incontri internazionali, workshop, e dibattiti che si svolgeranno a partire da oggi e fino al 3 dicembre presso il Centro culturale Averroè di Roma, dove si parlerà di lotta contro la violenza sulle donne. "La nostra iniziativa punta ad accrescere la loro consapevolezza e a facilitare i processi di autodeterminazione, anche attraverso un percorso culturale" spiega Sbai, secondo cui "è importante inoltre diffondere tra le donne arabe la legge sullo stalking promossa dal Ministero Pari Opportunità.

 

Comunque, per tornare a quanto dicevamo prima, sia che si tratta di violenza contro donne italiane, sia straniere, l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica su questi fatti è assai mutevole. I casi che fanno audience, eclatanti, capaci di catturare l’attenzione del pubblico, vengono riportati, trasmessi, analizzati da telegiornali e talk show fino alla nausea, diventando puri eventi mediatici. Come riporta S. J. Grana, i femminicidi sono ignorati o sensazionalizzati a seconda della razza, classe e capacità di attrarre della vittima. Il fatto che sia una donna, una ragazza, a essere stata uccisa perde di senso, valore e misura. E poi sono tanti, troppi i casi di omicidi di donne che passano inosservati, o quasi, perché migranti o prostitute. All’opposto, i casi di donne italiane uccise da stranieri hanno ben maggiore evidenza. Così nel senso comune passa un messaggio inverso rispetto alla realtà: è, infatti, molto più frequente che un uomo italiano uccida una donna straniera che il caso opposto. Proprio per ovviare alla mancanza o distorsione dei dati, la “Casa delle Donne per non subire violenza” di Bologna ha affidato a Sonia Giari uno studio sul femminicidio, basato sugli articoli pubblicati sulla stampa italiana nell’anno 2007, che è stato diffuso in questi giorni con il titolo La mattanza e che è pubblicato sul nostro sito www.deltanews.it.

 

Lo studio elenca puntualmente tutti i casi di uccisione di donne dagli undici anni in su per motivi misogini o sessisti, quindi con esclusione dei delitti con movente mafioso o a scopo di rapina, includendo invece quelli commessi dai partner o dagli ex, da parenti, amici, conoscenti, vicini di casa, e quelli in cui l’omicida era un cliente, nel caso di prostitute, ma anche di attività commerciali in cui l’omicidio è scaturito a seguito di una lite.

L’analisi dei casi conferma quello che già si conosce, ma che i media spesso nascondono all’opinione pubblica. Il 35% degli assassini (o presunti tali, dato che si tratta di indagini o processi non ancora conclusi) è il legittimo consorte della donna uccisa, mentre nel 15% dei casi è un ex (marito o fidanzato). Complessivamente i tre quarti delle donne sono uccise da un familiare (comprendendo in questa categoria anche fidanzati o conviventi). Tutti uccidono per i motivi arcaici di sempre: il 25% in seguito a una lite, il 16% perché non accetta la separazione, l’8% per gelosia. Solo un femminicidio su otto in Italia, circa uno al mese, è commesso da sconosciuti. Le vittime straniere sono il 28%, ma ben una donna uccisa su dieci è di nazionalità romena. Tra gli assassini, il 70% è italiano e il 16% è straniero (il restante 13% è sconosciuto). Rispetto all’analoga ricerca condotta l’anno precedente da Cristina Karadole, oltre al leggero aumento dei casi (sette in più) che conferma la tendenza alla stabilità o addirittura alla crescita del fenomeno, si registra qualche variazione rispetto ai moventi: calano gli omicidi dovuti a separazioni, ma aumentano quelli dovuti a conflittualità, con familiari o conoscenti, e quelli il cui movente è sconosciuto, che nella maggioranza sono avvenuti in famiglie in cui a detta di tutti non vi erano problemi.

Inoltre nel 2007 vi è stato un significativo aumento degli omicidi di donne affette da malattia, nella maggioranza dei casi anziane allo stadio terminale di patologie come l’Alzheimer, quindi un tema legato alla solitudine, alla fatica della cura e alle carenze dei servizi sociali. Non si rilevano mutamenti riguardo alla nazionalità, a riprova, commenta l’autrice, che “ogni richiamo allo “straniero che uccide le nostre donne” è puramente fallace, e ha l’unico scopo di fomentare la massa verso un capro espiatorio rassicurante per la società in quanto non appartenente ad essa, al di fuori di essa”.

Per quanto riguarda  il ritratto degli uxoricidi  si rimanda all’identikit tracciato da Alessandra Bramanti – psicologa e criminologa clinica del Fatebenefratelli di Milano – co-autrice del libro “Riflessioni sulla violenza domestica per il medico di famiglia e altri” (Pacini editore).Un libro che ha il merito di tracciare i profili di chi si macchia di delitti contro le donne. Amici (23,5%), colleghi e datori di lavoro (15,3%) sono i principali autori dei tentativi di violenza: solo il 18,3% delle vittime, infatti, è stata aggredita da un estraneo.

 

Femminicidi nel 2008

 

Anno 2008

Donna uccisa

il.....................a................................da: 

2 gennaio - Milano............................figlio

8 gennaio - Pisa............................... sconosciuti

9 gennaio - foggia............................convivente

11 gennaio - Garbagnate......................marito

25 gennaio - Bergamo......................... sconosciuto

30 gennaio - Cosenza-Campo rom..........sconosciuti

31 gennaio - Padova........................... marito

1 febbraio - Viterbo........................... amante

5 febbraio - Castellammare di Stabia... marito

21 febbraio - Napoli............................marito

23 febbraio - Pistoia...........................protettore

24 febbraio - Lucera............................vicino di casa

27 febbraio - Benevento......................sconosciuto

29 febbraio - bari............................... marito

8  marzo - Isernia..........................amico

10  marzo - Taranto..........................marito

10  marzo - Taranto..........................padre

10  marzo - Taranto..........................padre

16  marzo - cuneo............................conoscente

17  marzo - Savona........................... figlio

17  marzo - Savona........................... ex fidanzato

21  marzo - Lecco..............................figlio

23  marzo - Torino............................. sconosciuto

23  marzo - Livorno............................sconosciuto

25  marzo - Ferrara............................sconosciuto

27  marzo - Nuoro............................. sconosciuti

30  marzo - Sezze............................. convivente

9  aprile - Roma..............................marito

16  aprile - Salerno........................... fratello

19  aprile - Perugia........................... sconosciuto

21  aprile - Pistoia............................sconosciuto

25  aprile - Monterone....................... racket

25  aprile - Monterone....................... racket

26  aprile - Verona............................ amico del marito

29  aprile - Foligno............................ padrone di casa

7 maggio - Genova.............................protettore

8 maggio - Milano..............................sconosciuto

13 maggio - Niscemi...........................amici

14 maggio - Rimini..............................ex fidanzato

17 maggio - bari..................................marito

21 maggio - Napoli...............................figlio

25 maggio - lago d'Iseo........................marito

26 maggio - Mantova...........................sconosciuto

30 maggio - Piacenza..........................sconosciuto

4 giugno - Vicenza...........................   marito

6 giugno - Milano............................    convivente

8 giugno - Rimini..............................  nipote

10 giugno - Bergamo......................... conoscente

 6  luglio - Perugia............................  sconosciuto

15  luglio - Prato................................ marito

16  luglio - Genova..............................conoscente

13  luglio - Grosseto............................sconosciuto

17  luglio - Senigallia...........................ex marito

25  luglio - Bergamo............................ex fidanzato

31  luglio - Scicli..................................marito

2 agosto - Canosa di puglia................marito

2 agosto - Canosa di puglia.................genero

18 agosto - Genova.............................convivente

20 agosto - Parma................................marito

20 agosto - Parma................................padre

21 agosto - Arezzo...............................convivente

23 agosto - Luzzara..............................convivente

29 agosto - Fano...................................ex convivente

3 settembre - Ravenna..........................sconosciuto

5 settembre - Sardegna..........................sconosciuto

9 settembre - prov. Torino.......................padre

12settembre - Pisa...................................sconosciuto

14settembre - Bari....................................figlio

17settembre - Bergamo........................... ex marito

17settembre - Bergamo.............................ex marito dell'amica

18settembre - Lecco..................................convivente

18settembre - Roma..................................fratello

20settembre - Montebello Jonico.................marito

22settembre - Napoli.................................marito

27settembre - Ferrara.................................figlio

1 ottobre - Foligno...............................ex convivente

2 ottobre - Trapani...............................sconosciuto

6 ottobre - Spoleto...............................ex convivente

7 ottobre - Reggio Calabria.....................sconosciuto

 9 ottobre - Bovalino...............................conoscente

16 ottobre - Campobasso..........................marito

17 ottobre - Alassio.................................sconosciuto

19 ottobre - Foresto Sparso.......................ex fidanzato

20 ottobre - Reggio Calabria.......................datore di lavoro

23 ottobre - Caserta.................................marito

17 novembre - Cattolica.............................marito

 

In Sicilia, dove ogni 36 giorni è uccisa una donna, secondo i dati dell'Osservatorio di genere di Arcidonna, che ha rielaborato le statistiche di un'indagine condotta a livello nazionale, partirà da Niscemi (Caltanissetta), oggi martedì 25 novembre dalle 9,30 campagna contro il femminicidio e la violenza di genere lanciata dall’UDI, la “Staffetta di donne contro la violenza sulle donne”. Niscemi è stata scelta per i drammatici eventi che hanno portato alla morte di Lorena, e, dopo aver percorso tutta l’Italia, si concluderà il 25 novembre del 2009 a Brescia dove è stata assassinata Hiina.

 Simbolo e testimone della Staffetta è un’anfora con due manici (omaggio a Marija Gimbutas)

che due donne daranno ad altre due delle città successive. Il gesto di “portare insieme” vuole significare l’importanza della relazione e della solidarietà. Sarà un modo di dire a tutti forte e chiaro che tu, io, noi siamo unite e diciamo basta alla violenza. Possono aderire alla Staffetta donne singole e associazioni di donne compresi i coordinamenti femminili dei sindacati. L’Anfora verrà consegnata da due donne dell’ UDI di Roma a due donne dell’UDI di Niscemi.

Per 365 attraverso l'anfora, le donne del paese parleranno e affideranno le une alle altre i loro messaggi e i loro progetti di salvezza, per vincere sul dolore e sul silenzio complice, e anche per rendere noti i numeri della violenza regione per regione.

In Sicilia il 40 per cento degli omicidi di donne commessi nell'Isola nel 2007 è avvenuto in provincia di Catania. Seguono le province di Palermo e Trapani (20 per cento), Siracusa e Agrigento (10 per cento).

«Si tratta di una vera e propria mattanza – afferma Valeria Ajovalsit, presidente di Arcidonna – che si consuma prevalentemente all'interno della più importante istituzione sociale, la famiglia». Già, perché andando a guardare agli autori degli omicidi commessi sul suolo nazionale – sottolinea Arcidonna - si scopre che nella stragrande maggioranza a commetterli sono proprio i familiari della vittima (in Sicilia la quota di omicidi in famiglia raggiunge il 70 per cento). Nel 58,9 per cento dei casi si tratta di mariti, fidanzati o ex partner, nel 17,4 gli autori sono figli, padri, nonni e nipoti.

I dati nazionali mostrano quanto sia poco fondato anche il tanto sbandierato "pericolo immigrazione": nell'81,6 per cento degli omicidi commessi tra il gennaio 2007 e il gennaio 2008, infatti, l'assassino è di nazionalità italiana. Di 126 delitti, sono venti quelli commessi da stranieri. Nell'Isola, gli autori dei delitti sono tutti italiani. «Contro questa mattanza occorre agire subito – continua Ajovalasit – Bisogna promuovere adeguate azioni di informazione e formazione rivolte alle scuole e alle famiglie, come la recente campagna contro gli stereotipi di genere lanciata da Arcidonna (www.nonpensareasessounico.it). Ma è necessario anche che il governo nazionale approvi al più presto una legge sistemica contro le violenze di genere che agisca al contempo sulla prevenzione e sulla certezza della pena».

 

La violenza è una minaccia contro lo sviluppo, la pace e la sicurezza mondiali

 

Basta guardare al caso della Repubblica  Democrática del Congo, dove da anni uno dei metodi bellici utilizzati nella lotta fratricida fra governanti e ribelli è stato l'uso sistematico delle violenze sessuali. Stando alle cifre del piano d'azione umanitario 2008, sono stati oltre 30.000 gli stupri perpetrati nel 2007 in Congo. Non semplici violenze sessuali, ma una sorta di morte fisica e civile, con danni permanenti indotti dalle sevizie fisiche e psicologiche, gravidanze indesiderate dovute ai rapporti forzati e conseguente allontanamento delle donne dalle loro comunità. Ma la violenza sessuale commessa dalle forze di sicurezza dello Stato non si limita alle zone di conflitto armato a est del Paese. Da gennaio a settembre sono 3.500 i casi accertati, 400 al mese, e di sicuro è solo la punta di un iceberg poiché rare sono le denunce; ma con l’intensificarsi dei combattimenti, si sono moltiplicati: "Nel contesto attuale - si legge in un comunicato emesso a Ginevra - decine di migliaia di donne e ragazze sono a rischio in un Paese dove lo stupro è da tempo un'arma da guerra". Intanto le organizzazioni umanitarie accusano sia i ribelli Tutsi che le milizie filo-governative Mai Mai di crimini di guerra; ma puntano l'indice anche contro i Caschi Blu accusandoli di non essere in grado di difendere i civili. Almeno un centinaio dei quali, denunciano ancora, sono morti nel corso dei combattimenti. Ma è la cifra accertata, perché gli orrori non sempre si scoprono: chissà quanti eccidi sono sepolti nella giungla. Come quello emerso di recente nel microscopico villaggio di Kinenje, dove sono stati rinvenuti almeno una ventina (ma altre fonti parlano di 50) di civili trucidati brutalmente. Pare sia stata opera dei ribelli, che di lì avevano scacciato i Mai Mai e forse volevano 'punire' i loro supposti complici. Christiana Ruggeri, in un’intervista andata in onda su Tg2 dossier Storie, ha riportato il commento del direttore della Caritas Congo, Bruno Miteyo, che accusa i caschi blu non solo di non fermare le violenze, ma di “voltarsi dall’altra parte” quando queste riguardano le donne. Nel paese devastato dagli scontri tra esercito governativo e ribelli nella provincia del Nord Kivu, denuncia Miteyo, “È inammissibile che le violenze sulle donne avvengano davanti agli occhi dei caschi blu”, cui chiediamo di essere sinceri e impegnati. Non ci interessa che le Nazioni Unite inviino altri rinforzi: in Congo sta avvenendo quello che i vescovi definiscono 'un genocidio silenzioso', un'eliminazione sistematica di donne e bambini". Per il direttore della Caritas "non è un caso che la guerra corra lungo il confine orientale, nella zona mineraria del nord Kivu: il conflitto nasce per interessi economici, dove ci sono il koltan, il gas, l'oro". L'obiettivo degli stranieri è dunque "facile da comprendere", ha continuato, "per questo sta avvenendo un piano sistematico di frammentazione del Paese".

Il Congo dal 2006, ha una nuova legge contro la violenza sessuale che introduce pene per i criminali e aiuti per le vittime. Según Zita Kavungirwa, del Caucus de Mujeres por la Paz nella città congolese di Bukavu, rende noto che “le donne si sono unite affinché nella Costituzione si riconoscesse la violenza contro il genere femminile. Le giornaliste congolesi si sono aggiunte alla lotta.

La Asociación de Mujeres de Medios de Comunicación de la provincia de Kivu Sur, AFEM, utilizza la radio como il canale più  potente. Jolly Kamuntu, giurista e giornalista di AFEM y de Radio Maendaleo, spiega  “quello di cui siamo venute a conoscenza come giornaliste e che donne venivano violate in presenza dei loro uomini. Gli uomini gli dicevano “venite a vedere cosa facciamo alle vostre donne se il vostro governo non cambia”. Gli uomini rimanevano lì incapaci di agire e dopo la violazione ripudiavano le loro mogli. Come donne intanto possiamo ribellarci e ai microfoni gridare quello che è accaduto alle nostre compagne. “Uscire dal femminicidio si può. A Ciudad Juárez paradigma del femminicidio, grazie a organizzazioni e associazioni la denuncia ha avuto risonanza nel mondo, la violenza è diventata un fenomeno visibile.( Fonte Cimac)

 

Restiamo sempre in Africa e citiamo ancora il caso dello Zimbabwe, ricordando le storie della brutalità delle milizie che violentano ragazze e incendiano le case dei sostenitori dell’Mdc. Storie raccolte da un gruppo di attiviste per i diritti umani, che vogliono assicurare alla giustizia i responsabili delle violenze, denunciandoli alla Corte penale internazionale.  Finora, un solo uomo è finito in carcere per gli stupri avvenuti nel corso degli ultimi mesi. È stato condannato a 22 anni nella città di Masvingo, nello Zimbabwe sud-occidentale. La violenza sessuale viene utilizzata sistematicamente nei conflitti come strumento di annichilimento della parte avversa. I corpi delle donne – in tutto il mondo – sono considerati un bottino di guerra.

Di seguito pubblichiamo testimonianze raccolte dall’Associazione “Sopravvissute allo stupro dello Zimbabwe”, fondata dalla nota attivista locale Betty Makoni.

“Sono stata violentata da quattro miliziani dello Zanu Pf, di notte, proprio fuori dalla loro sede, durante le elezioni. Mi hanno stuprata a turno, accusandomi di sostenere l’opposizione, dc [Movimento per il cambiamento democratico]”, ha raccontato

“Hanno minacciato di morte me e la mia famiglia, quindi non ho avuto altra scelta che cedere alle loro richieste», ha aggiunto. Il podere di famiglia di Moyana è stato distrutto e il bestiame ucciso, per «punire» la presunta appartenenza politica della donna.

Un’altra donna, la 53enne Sophie Makore, di Hurungwe, nel nord del paese, spiega di aver perso ogni speranza dopo la terribile esperienza subita per mano di alcuni attivisti dello Zanu Pf. Qualche mese fa, gli uomini delle milizie le hanno riservato lo stesso destino. Come nel caso di Moyana, gli stupratori le hanno detto di averla punita perché sosteneva il partito d’opposizione.

Le testimonianze di Moyana e Makore sono solo due dei tanti racconti di donne delle zone rurali dello Zimbabwe di fatti avvenuti durante il sanguinoso e controverso secondo turno delle elezioni presidenziali, lo scorso giugno. A una donna dello Zimbabwe orientale, un medico ha prelevato 250 millilitri di liquido seminale, dopo che era stata vittima di violenza sessuale di gruppo per tre giorni consecutivi.

Lo Zimbabwe non ha firmato la Convenzione della Corte penale internazionale, così nei casi di impunità ci saranno altre possibilità di perseguirli, per esempio chiedendo il deferimento al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Se il Consiglio di sicurezza dell’Onu concorderà all’unanimità sulla gravità dei casi, attiverà processi contro i funzionari governativi dello Zimbabwe.

«È assai spiacevole che i processi giuridici siano lenti, ma le donne vogliono portare i loro casi in tribunale, qualunque siano i tempi», ha commentato Donovan. Secondo gli attivisti, è fondamentale che i casi siano portati davanti a una corte, in modo da ripristinare i diritti delle donne in un Paese che si è impegnato a raggiungere il terzo Obiettivo di sviluppo del millennio, che prevede la parità fra uomo e donna. Netsai Mushonga, coordinatrice della Coalizione delle donne dello Zimbabwe, ritiene che queste violenze sancite dallo Stato ostacolino gli sforzi della nazione verso l’empowerment femminile. “La realtà nel nostro Paese è quella di una totale mancanza di considerazione nei confronti delle donne. I nostri leader [che hanno legittimato le violenze] dovrebbero essere richiamati al loro dovere” ha osservato.

Le istanze delle organizzazioni per i diritti dello Zimbabwe hanno trovato il sostegno di diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani. Il mese scorso, Amnesty International ha chiesto giustizia per tutti i responsabili delle violenze autorizzate dallo Stato in Zimbabwe, lamentando un aumento delle violazioni dei diritti umani che restano impunite. Un’altra importante organizzazione di difesa dei diritti umani, Human Rights Watch, ha riportato un aumento delle violenze sporadiche, sulla scia dell’attuale stallo nella definizione di un governo di unità nazionale tra Zanu Pf e Mdc.

(fonte Carta)

 

L'appello del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon

 

"Occorre fare di più per dare esecuzione alle leggi esistenti e combattere l'impunità; bisogna combattere atteggiamenti che tendono a perdonare, tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne".

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon invita oggi la comunità internazionale ad "aumentare gli stanziamenti finanziari a sostegno delle vittime e delle donne sopravvissute alla violenza". "Ho una ferma determinazione a moltiplicare tali sforzi" assicura annunciando una "Campagna globale 'UNiTI per porre fine alla violenza contro le donne', che punta a aumentare il livello di consapevolezza pubblica, nonché la volontà politica e le risorse a disposizione, oltre che a creare un ambiente propizio a trarre pieno profitto dagli impegni politici esistenti".

Il quadro è allarmante: "Ovunque nel mondo - spiega Ban - in paesi ricchi e poveri, le donne sono sottoposte a sevizie, percosse, stupri, assassini, e sono vittime del traffico di esseri umani”. Si tratta di "violazioni dei diritti umani che vanno ben oltre il danno individuale, perché rappresentano una minaccia a sviluppo, pace e sicurezza di intere società". "Dovunque le donne sono a rischio, ma quante tra loro vivono in società alle prese con conflitti armati fronteggiano pericoli ancora maggiori" avverte il numero uno dell’ONU.

"In presenza di conflitti sempre più complessi - sottolinea Ban - anche il modello di violenza sessuale si è evoluto. Ora le donne non sono più solamente in pericolo durante il periodo del conflitto; la possibilità di essere aggredite da eserciti, milizie, ribelli, criminali, perfino polizia, è la stessa in fasi di maggiore calma". E’ il caso della travagliata provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo - come accennavamo sopra - dove le vittime sono talvolta sottoposte a mutilazione genitale" riferisce Ban, secondo cui "ancora più preoccupante è l'età di molte vittime". "Il 50 % delle giovani donne in certe aree violente di Haiti è rimasto vittima di stupri o attacchi a scopo sessuale. Una su tre, tra le poche tra loro che cercano giustizia, ha meno di tredici anni - denuncia il segretario generale dell'Onu - In Liberia, nel corso di un mese particolarmente violento, all'inizio dell'anno, la maggioranza delle vittime di stupri denunciati aveva meno di dodici anni, e alcune di loro non arrivava ancora a cinque anni". La situazione è tanto più preoccupante, se si pensa che "questi esempi vengono da paesi nei quali esiste una presenza di forze di pace delle Nazioni Unite". Grazie alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1820, adottata lo scorso giugno, l'utilizzo della violenza sessuale come strumento di tattica bellica è ora riconosciuto come una questione relativa a pace e sicurezza internazionali. "In base alla risoluzione, le missioni di pace, in particolare quelle il cui mandato si estende alla protezione dei civili, devono ora includere la tutela di donne e bambini da ogni forma di violenza nei loro rapporti periodici sulle situazioni conflittuali – ricorda ancora Ban - La risoluzione 1820 dà anche mandato di attuare la politica di tolleranza zero in materia di sfruttamento sessuale da parte del personale Onu della missione, e fa appello ai paesi che forniscono truppe e polizia affinché siano pienamente responsabili in casi di violenza".

 

E’ invece l’Ifad  - Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo - a lanciare l’allarme sulle aree rurali, dove "Le donne delle comunità povere sono particolarmente soggette alla violenza, violenza che viene esercitata sotto diverse forme: abusi sessuali e fisici tra le mura domestiche, stupri, diffusione di Hiv-Aids, pratiche tradizionali, come la mutilazione genitale, e il traffico di esseri umani".

 “Lanciando lo 'Unite to End Violence against Women, 2008-2015', a New York lo scorso febbraio – informa in un comunicato l’Ifad -  il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha chiamato le Nazioni Unite a accrescere la consapevolezza, la volontà politica e le risorse necessarie per prevenire e combattere la violenza contro donne e ragazze in tutto il mondo. Nelle comunità povere delle aree rurali le donne sono una fonte vitale per la sopravvivenza delle famiglie povere. La perpetuazione di qualsiasi forma di violenza contro queste donne causa maggiori danni, ostacolando lo sviluppo e aumentando la povertà. L'accesso a educazione, cure mediche, credito e potere decisionale, rende le donne meno vulnerabili. "Per ridurre i rischi, aumentare la sicurezza e incoraggiare una maggiore consapevolezza una prima soluzione può essere offerta anche attraverso misure semplici, ma molto utili" secondo gli esperti del Fondo dell'Onu.

Per citare alcuni esempi: L'Ifad e il governo canadese hanno firmato un accordo per un dono pari a 1 milione di dollari canadesi a favore di progetti che mirino a offrire alle donne povere delle aree rurali la possibilità di ridurre la loro vulnerabilità all'Hiv-Aids - The Legal Empowerment of Women Programme (Lewi).

 

In Burundi, dopo 12 anni di guerra civile in cui molte donne sono state uccise, stuprate o sono rimaste vedove, il ritorno degli espatriati sta creando tensioni nelle comunità. Un progetto del programma Lewi mira a risolvere questi conflitti, a fornire assistenza legale a donne, ragazze e orfani e preparare figure para-legali che possano assistere la popolazione nella risoluzione del conflitto.

 

In India, nello stato del Chhattisgarh, gran parte delle tribù non riconosce il diritto delle donne a ereditare e alcune sono anche contrarie a che le donne lavorino nelle piantagioni di riso, principale coltivazione, o a che costruiscano case; in questo modo le donne vengono private della possibilità di guadagnare e di costruirsi un riparo. Il programma Lewi sosterrà corsi di alfabetizzazione, anche di tipo legale, nonché programmi di assistenza legale per le donne. Tra i suoi strumenti innovativi c'è il Kalajatha (teatro di strada) che può portare il messaggio in modo efficace e divertente in centinaia di villaggi.

 

In Malawi, il programma Lewi si concentrerà sui diritti legali e di proprietà che discriminano le donne, che, negate delle risorse, spesso si trovano in situazioni a rischio. Per ridurre la violenza contro le donne è necessario formarle alla vita professionale, per quanto riguarda le attività remunerative, come anche a quella sociale. Funzionari governativi, organizzazioni internazionali, il settore privato e le organizzazioni non governative si sono incontrati la scorsa settimana ad Addis Abeba, per la sesta sessione del Forum per lo Sviluppo dell'Africa promosso dalla Commissione Economica delle Nazioni Unite per l`Africa (Uneca) e dall'Unione Africana (Ua) - ECA-AU African Development Forum. Il focus di questo anno era rendere le donne più forti e porre fine alla violenza contro le donne in Africa. "La necessità di eliminare la violenza contro le donne è alla base di ciò che facciamo insieme a e per le donne africane attraverso i programmi che Ifad sostiene" ha dichiarato Maria Hartl, consigliera tecnico dell'Ifad per le pari opportunità e l'equità sociale, che era presente al Forum.

 

Quel che è certo, è che "La responsabilità di contribuire a porre fine alla violenza contro le donne - comunque - incombe su tutti noi, donne e uomini, soldati e operatori di pace, cittadini e governanti – ammonisce Ban - Gli Stati devono onorare il proprio impegno a prevenire la violenza, consegnare i responsabili alla giustizia e risarcire le vittime. E ognuno di noi - conclude - ha il compito di diffondere questo messaggio in famiglia, nei luoghi di lavoro, nelle comunità, come contributo alla lotta per far cessare la violenza contro le donne".

 

Alcune buone pratiche a livello locale nel corso del  2008 per combattere la violenza contro le donne

 

Dal 1960, il 25 novembre è il simbolo della tenace lotta contro la violenza sulle donne in tutto il mondo. Ricorda l’impegno politico delle sorelle Mirabal e la loro truce uccisione ad opera di uomini del regime domenicano di Trujilo. Mostra il volto di un mondo prigioniero della violenza contro le donne. Lo mostra anche a chi non usa gli occhi per vedere.

 

Questo 25 novembre sarà ancora possibile ribadire che la violenza alle donne si può contrastare.

Il 2008 è stato un anno ricco di eventi riguardanti il contrasto alla violenza di genere.

 

Ma cosa è accaduto in Italia a livello locale? Quali sono state le iniziative delle regioni, delle province e dei comuni d’Italia?  Risulta evidente, a un primo sguardo, l’importanza accordata, dagli enti locali, al rafforzamento e alla creazione di luoghi deputati all’aiuto materiale, legale e psicologico delle donne che hanno subito violenza. Attraverso questi luoghi – i centri antiviolenza – si tenta anche il reinserimento delle donne nel contesto sociale e lavorativo, al fine di permettere loro il ritorno ad una vita “normale”. L’attivazione del numero di pubblica utilità 1522, per segnalare episodi di violenza, è un altro strumento molto utilizzato nei vari livelli territoriali. Crescono i corsi per preparare adeguatamente quelle categorie professionali a contatto con le vittime di violenza, dalle forze dell’ordine agli operatori sociosanitari. Ci piace infine segnalare, come augurio di una capillare diffusione foriera di risultati positivi nel lungo periodo, la diffusione crescente di conferenze, convegni, seminari e lezioni sul tema della violenza sulle donne. Timidamente si rafforza l’idea dell’importanza del contrasto di una cultura malata, ma ben radicata, che costituisce l’humus della discriminazione dei soggetti di sesso femminile. Si inizia a percepire la necessità di intervenire su una corretta educazione, rispettosa delle differenze di genere, a partire dall’infanzia, attraverso lezioni e progetti che coinvolgano insegnanti e studenti.

 

Vediamo allora, attraverso una breve carrellata, le maggiori iniziative e azioni intraprese

 

In FRIULI, la  Provincia di Gorizia, grazie ad una convezione con altri soggetti pubblici e privati, ha attivato un servizio di accoglienza, di residenzialità temporanea e di emergenza a favore delle donne in situazione di maltrattamento e di rischio. Il servizio prevede l’accoglienza in uno degli alloggi messi a disposizione dall’Ater per un periodo non superiore a sei mesi, rinnovabile una sola volta. È inoltre garantito  un supporto operativo/organizzativo per l’allontanamento dal nucleo originario, l’affiancamento di operatori qualificati e supporti di consulenza psicologica e legale. Questo progetto insieme gode della collaborazione del  settore dei Servizi sociali dei Comuni dell’Ambito distrettuale dell’Alto e del Basso isontino, l’Asl Isontina, l’Ater di Gorizia e le associazioni di volontariato "Da donna a donna" e “Sos Rosa”.

 

In VALLE D’AOSTA, il Comune di Aosta ha firmato un protocollo  d’Intesa con il Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il protocollo ha istituito la Rete nazionale Antiviolenza in venti città italiane, denominate "Territori Pilota" (tra cui Aosta) quale azione per il contrasto al fenomeno della violenza verso le donne e per il sostegno alle vittime di violenza intra ed extra familiare. Il 'piano operativo' prevede l'attivazione del numero di pubblica utilità '1522' e la sperimentazione di un ulteriore specifico intervento di integrazione con le attività di "call center", di presa in carico della chiamata e suo trasferimento diretto al servizio deputato sul territorio.

 

In PIEMONTE, a livello regionale è stato predisposto un intervento organico e integrato per contrastare la violenza contro le donne. Si tratta del “Piano regionale per la prevenzione della violenza contro le donne e il sostegno alle vittime”, con l’obiettivo di contrastare una delle più preoccupanti emergenze sociali, ma anche di prevenire il fenomeno, combattendone le radici più profonde e, infine, monitorare quella che è una realtà prevalentemente sommersa. Il Piano intende essere uno strumento di indirizzo che offra alle istituzioni e all’associazionismo piemontese un quadro di riferimento chiaro e definito per le proprie attività. Tra i destinatari del Piano contro la Violenza figurano: Enti Locali, Consorzi Socio-Assistenziali, Aziende Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere, Ordini Professionali, Organismi Giudiziari, Forze dell'Ordine (Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia Municipale), Organizzazioni senza scopo di lucro, Centri antiviolenza, Scuole, Università ed Enti di Formazione. A beneficiare del piano sono quindi donne italiane e migranti vittime di violenza familiare ed extrafamiliare,bambini/e vittime di violenza assistita, donne italiane e migranti vittime di violenza sui luoghi di lavoro, donne italiane e migranti vittime di mutilazioni genitali, donne vittime di tratta, donne vittime di matrimoni forzati e persone vittime di violenza basata sul diverso orientamento sessuale. Il Piano avrà durata fino al 2010 e prevede una valutazione complessiva annuale delle attività sviluppate, per verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi, anche al fine di riprogrammarne le attività. Peraltro, di recente, sono stati trasferiti alle province della Regione Piemonte 700 mila euro per l’attuazione – relativa all’anno 2008 – del Piano Regionale contro la Violenza sulle Donne.

La Regione Piemonte ha anche approvato la proposta di legge che istituisce un fondo di solidarietà per fornire il patrocinio legale alle donne vittime di violenza e di maltrattamenti. Il provvedimento stanzia un milione di euro l’anno per il biennio 2008 e 2009 per coprire le spese di assistenza legale o costituzione di parte civile per tutelare i diritti e la dignità delle donne vittime. L’intento della legge è fornire un aiuto concreto alle vittime di violenza non solo nell’eventuale percorso in sede giudiziaria ma anche a sostegno dei costi di assistenza legale che le vittime potrebbero dover affrontare, ad esempio, per giungere a una controversia giudiziaria. La legge prevede anche la stipula di una convenzione tra Regione e Ordini degli avvocati dei Fori piemontesi per predisporre e rendere accessibile un elenco di avvocati con esperienza e formazione continua specifica nel settore.

La Provincia di Torino, su proposta della Commissione Pari Opportunità, ha infine approvato la proposta di legge regionale per l’istituzione dei centri e case sicure per le donne vittime di violenza. Una scelta di civiltà per contrastare un problema mondiale che si annida nel desiderio di controllo e di dominio sessuale, culturale, sociale ed economico degli uomini sulle donne. Un impegno anche fisicamente visibile, attraverso un luogo pubblico dove le vittime non solo possano rifugiarsi, bensì riprendere le fila della propria esistenza, libere di sceglierla al riparo da paure e violenze.

 

In LIGURIA, la giunta regionale ha approvato recentemente uno stanziamento di 500 mila euro che si aggiunge a quello di pari entità già stanziato nel 2007 per far sì che ogni Provincia ligure possa dotarsi di un proprio centro anti-violenza e organizzi una serie di attivita' per favorire il reinserimento delle donne vittime di abusi, anche prevedendo la costruzione di case rifugio. L’impegno della giunta sulla problematica della violenza sulle donne è, d’altra parte, molto sentita: nel 2007 era stata approvata una legge specifica contro la violenza, erano state stanziate risorse e era stato avviato un apposito osservatorio regionale.

A livello provinciale, la Provincia di Imperia  ha favorito la creazione di un centro antiviolenza. Obiettivo è di assicurare alle donne che subiscono atti di violenza il diritto a un sostegno per consentire loro di recuperare e rafforzare la propria autonomia materiale e psicologica, la propria integrità fisica e la dignità. Il nuovo centro creato è volto a fornire assistenza, supporto e informazione a favore delle donne e dei minori vittime di violenza.

La Provincia di Savona ha invece firmato con ASL2 Savonese, Opere Sociali di Ns Signora di Misericordia di Savona, Associazione Telefono Donna e Associazione Ipotesi, un protocollo d’intesa in merito al progetto di interventi di prevenzione della violenza di genere e di misure a sostegno delle donne e dei minori vittime di violenza. 125mila euro i fondi stanziati. In Provincia verrà presto attivato il Centro Anti-violenza presso la sede provinciale, con un ampliamento dei locali dedicati - attualmente già in fase di ristrutturazione - migliorando così l’attività di Telefono Donna in materia di sportello e accoglienza. Oltre ai 125 mila euro l’ assessorato alle pari opportunità della Regione Liguria ha confermato l’arrivo di altri 106 mila euro da destinare ad interventi di prevenzione della violenza sulle donne e minori e per implementare progetti già esistenti.

 

L’EMILIA-ROMAGNA, punta ad aiutare le donne vittime di violenza attraverso il lavoro e l’autonomia economica. Lavoro e formazione in sostanza, in collaborazione con l'attivita' dei Servizi di supporto e accoglienza. "L'impegno prosegue anche nella nuova programmazione 2007/2013 delle risorse del Fse" spiega l'assessora alla Formazione, Lavoro e Pari Opportunità Paola Manzini, ricordando che "nel corso del 2008 la Regione ha emesso un bando per progetti da finanziarsi con le risorse dell'asse Inclusione Sociale del 'Por Fse'. Nel bando era prevista una specifica azione per sostenere percorsi formativi e di accompagnamento rivolti a donne in condizioni di svantaggio e per favorirne l'inclusione lavorativa". Tra i progetti approvati, due sono specificamente rivolti a vittime di violenza: il progetto 'Chance - Rete per l'inclusione', collegato al progetto regionale di contrasto al traffico di esseri umani e 'Una rete regionale a supporto dell'inclusione lavorativa delle donne vittime di violenza' per donne accolte in centri antiviolenza. Tali progetti si svilupperanno per tutto il 2009.

Il progetto 'Chance' offre percorsi individualizzati per donne vittime della tratta finalizzati ad aiutare le donne sia a superare le condizioni di emarginazione che la logica degli interventi di tipo assistenziale a favore di una logica occupazionale e lavorativa che risponda alle esigenze di autonomizzazione. Tali obiettivi saranno perseguiti attraverso la realizzazione di attività di accompagnamento individualizzate quali: laboratori di recupero motivazionale, laboratori di alfabetizzazione, percorsi di transizione al lavoro. Per il progetto sono stati stanziati 300.000 euro e si prevede la partecipazione di almeno 111 donne.

Il progetto 'Una rete regionale…', finanziato con 251.000 euro, intende promuovere e facilitare l'inserimento sociale e lavorativo delle donne che hanno subito violenza fisica, sessuale, psicologica, accolte nei centri antiviolenza o inserite in percorsi di protezione sociale. Infine a luglio 2008 è stato siglato un accordo di collaborazione con la Romania, sottoscritto anche dal Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero del lavoro, della salute e delle Politiche sociali e da altre regioni italiane, finalizzato a collaborare nella lotta alla tratta di esseri umani. Obiettivi principali del progetto sono: la prevenzione del fenomeno e sensibilizzazione; l'inclusione sociale e lavorativa delle vittime, attraverso l'attivazione di percorsi personalizzati, scambio di esperienze e costituzione di una rete tra tutte le autorità coinvolte, sia italiane che romene. 

Sempre in Emilia, il Comune di Bologna (quale Coordinatore), Assessorato Scuola, Formazione e Politiche delle Differenze, in collaborazione con l’Associazione Casa delle donne per non subire violenza Onlus (quale partner), ha partecipato al Programma Daphne 2006 della Commissione Europea con un proprio progetto intitolato MUVI (Men who Use Violence In Intimate relationships – Sviluppare strategie di intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità. Le attività si sono sviluppate con caratteristiche analoghe in 3 città europee: Bologna, Barcellona, Atene e erano comprensive di: - attività ricerca/azione - l’apertura di un sito web e di un questionario on line sui temi della violenza muviproject.eu - incontri di formazione diretti a operatici e operatori di diversi ambiti e settori competenti ad intervenire sul problema della violenza contro le donne, in particolare da partner ed ex partner. La ricerca/azione è stata rivolta principalmente a professionisti pubblici e privati, che per ragioni di lavoro possono entrare in contatto con la tematica della violenza domestica, ad  associazioni di donne che lavorano con donne che subiscono violenza e a donne e uomini coinvolti in attività politico culturali che mettono a tema la questione del genere e della violenza. La seconda fase dell’indagine ha previsto 6 focus groups diretti ad approfondire aspetti diversi dello stesso tema, affrontando ad esempio il problema della violenza dal punto di vista degli uomini che la usano e quindi su come e cosa sia appropriato fare quando si ha contatto con un aggressore.

Il Comune di Bologna, il Comune di Forlì e il Comune di Cesena poi in accordo con le Ausl di Bologna e Rimini, l'Alma Mater, l'Ufficio scolastico provinciale di Bologna, l'Ordine dei medici di Bologna, diverse associazioni femminili e la Procura e Questura di Bologna, le due Prefetture di Bologna e Forlì - Cesena e l'Ausl forlivese - grazie a un finanziamento governativo unito ai fondi stanziati dai tre comuni interessati al progetto e alle due Asl di Bologna e Rimini (187.000 euro in totale) hanno realizzato l’Osservatorio sulle violenze di genere. Un’iniziativa tesa a rafforzare la formazione, intesa anche come aggiornamento professionale reciproco tra gli operatori in campo: scuola, università, servizi sociali, forze dell'ordine e associazioni.

In Provincia di Parma è stato, infine, presentato il vademecum "Quando una donna che ha subito violenza chiede aiuto", realizzato dalla provincia nella duplice versione per operatori e cittadini. Una guida tradotta dall’italiano in quattro lingue (inglese, francese, russo, arabo) per riconoscere e trattare adeguatamente i casi di violenza sulle donne, e corredata anche di indirizzi e numeri di telefono utili sia alle donne bisognose di assistenza, sia a chi fosse interessato a offrire aiuto. Il vademecum è infatti il frutto di un percorso di formazione congiunto promosso dall'ente di piazzale della Pace, condotto dall'associazione Linea Rosa di Ravenna, in collaborazione con 40 tra membri delle forze dell'ordine, dipendenti dei servizi sociali della Provincia e dei Comuni parmensi, dell'Ausl e dell'ospedale Maggiore.

Il Comune di Modena e il Comune di Carpi – in collaborazione con l'Ausl di Modena, l'ente Modena Formazione e le associazioni Casa delle donne contro la violenza e Gruppo donne e giustizia – sono stati i beneficiari dei 150mila euro elargiti tramite il bando promosso dal Dipartimento della Presidenza del consiglio dei ministri per la chiusura delle iniziative del 2007, anno europeo delle pari opportunità, a supporto della Rete contro la violenza alle donne. Le risorse statali sono state finalizzate, in particolare, all'attivazione di un gruppo stabile di coordinamento che si occupi di gestire la rete di servizi a sostegno delle donne oltre a monitorare le iniziative proposte. Prevista, inoltre, la messa a punto di procedure e strumenti per riconoscere i cosiddetti 'eventi sentinella', che segnalano un disagio crescente in un territorio ben delineato, e garantire risposte nei casi di emergenza-urgenza.

 

In TOSCANA le iniziative a favore del contrasto alla violenza di genere sono molteplici e già ben avviate sul territorio. Oltre alla legge regionale del 2007 'Norme contro la violenza di genere'  è stato creato ancor prima, nel 2006, un Tavolo di lavoro permanente del governo regionale per contrastare ed eliminare la violenza su donne e bambini, il cui primo obiettivo è quello di effettuare un'analisi approfondita del fenomeno e una ricognizione delle esperienze territoriali più significative, per far emergere, valorizzare e sostenere le 'buone pratiche' attivate in quasi tutte le Province, in molti Comuni, dalle associazioni di volontariato, nelle aziende sanitarie, nella scuola e nell'Università'. Ricordiamo che il Tavolo di lavoro regionale è partner istituzionale del progetto ''Fili e trame'', finanziato dal Dipartimento diritti e Pari Opportunità del consiglio dei ministri.

Un altro progetto nazionale cui partecipa la Toscana è il Progetto Arianna, che prevede la gestione del servizio di accoglienza telefonica 1522 per un primo aiuto alle donne in difficoltà e a rischio di violenza e abuso.

La Regione Toscana e il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità della Presidenza del consiglio dei ministri hanno firmato un protocollo quadro “per la sperimentazione di una strategia di supporto alle reti antiviolenza”, mirato a diffondere al massimo la conoscenza del numero telefonico 1522, che aiuta le donne vittime di violenza, e a inserire enti locali e centri antiviolenza toscani nel progetto nazionale “Arianna” che punta alla costituzione di una vera e propria rete nazionale antiviolenza. In base al protocollo, il tavolo permanente di lavoro contro la  violenza su donne e bambini diventerà il referente toscano della Rete nazionale antiviolenza, con la possibilità di promuovere e coinvolgere enti locali e centri antiviolenza toscani nelle attività di sperimentazione delle nuove attività previste dal progetto nazionale.

La Provincia di Lucca ha inaugurato il 2008 con il progetto di una rete territoriale antiviolenza che, attraverso un tavolo di concertazione, permetta a tutte le realtà presenti sul territorio, agli organismi e agli enti impegnati a combattere il fenomeno della violenza sulle donne, dando vita ad azioni integrate, che risultano essere quelle maggiormente efficaci. Partecipano a questa rete Prefettura, Comuni della Provincia, Ce.I.S, associazioni femminili e altre operanti nel settore, Aziende sanitarie locali n. 2 e n. 12, scuole superiori e forze dell'ordine. Proprio la partecipazione di polizia e carabinieri assume particolare rilievo, poiché offre alla Rete la possibilità di dare risposte ancora più forti e tempestive a questa problematica. La realizzazione della Rete non è, però, il solo fiore all’occhiello per la Provincia, che ha presentato un altro protocollo di intesa, quello su ''Interventi su prostituzione e tratta nel territorio della provincia di Lucca'', relativo al progetto ''Con Anna'', promosso da alcuni anni dall'amministrazione provinciale, assieme al Ce.I.S e al Comune di Viareggio e al quale, da quest'anno, hanno aderito anche la Questura di Lucca, i Comuni di Altopascio, Capannori, di Castelnuovo Garfagnana e le Aziende sanitarie locali 2 e 12. Da quando è nato nel 2004, il progetto ''Con Anna'' ha preso in carico 93 persone, di cui 73 donne, 7 uomini, 4 minori e 9 transgender.

 

In ABRUZZO, le Province di Chieti, L’Aquila, Pescara e Teramo, in collaborazione con l’Associazione “Ananke”, hanno presentato il progetto T.E.R.R.A. (Trasferibilità di Esperienze e Relazioni di Reti Antiviolenza nelle Province Abruzzesi), il cui scopo è quello di creare una rete che coinvolga le istituzioni provinciali, il privato, il mondo del sociale e le forze dell'ordine, in azioni di prevenzione e contrasto alla violenza, puntando essenzialmente a migliorare la comprensione del fenomeno della violenza di genere da parte degli operatori dei servizi, accrescendone competenze e conoscenze; costruire connessioni stabili e formalizzate tra enti ed associazioni del territorio, in contrasto ad una  prevalenza di reti "naturali" fra gli operatori, caratterizzate da legami deboli che non implicano un impegno istituzionale ed alcuna garanzia di continuità; garantire omogeneità nelle procedure operative, che ottimizzi le risorse e superi la settorialità degli interventi prospettando una risposta non frammentata; elaborare strumenti condivisi di rilevazione, che permettano uniformità nella raccolta dei dati qualitativi e quantitativi sul fenomeno di genere a livello interprovinciale, per la promozione di una adeguata programmazione degli interventi. Beneficiari del progetto, della durata di 15 mesi,  operatori dei servizi ubicati nelle Province di Pescara, Teramo, Chieti e L'Aquila che di norma offrono aiuto e sostegno, per trattare e favorire l'uscita dal ciclo della violenza intrafamiliare ed extrafamiliare, cioè i Centri anti-violenza, le case rifugio, gli organismi no-profit dediti alle categorie di utenti a maggior rischio di esclusione sociale, le associazioni di donne, gli organismi/strutture di assistenza psicologica e assistenza legale, i servizi sociali comunali e provinciali, i servizi ASL con particolare riferimento ai Consultori, i commissariati di Polizia e le stazioni dei Carabinieri, servizi di orientamento ed inserimento lavorativo. La Regione Abruzzo ha inoltre dato vita al progetto sperimentale “Combattere la violenza alle donne. L.eA. Lavoro ed Accoglienza” attraverso cui la regione ha avviato il processo di conoscenza e di promozione di politiche volte ad adeguare le competenze a livello locale e dei servizi specializzati nel merito della presa in carico delle donne vittime di violenza, ponendo in essere le premesse per lo sviluppo di azioni in tema di prevenzione e contrasto della violenza di genere, in termini di sviluppo di servizi e di reti, di formazione agli operatori, di messa a punto di strumenti di facilitazione per l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza.

In Provincia di Chieti, poi, per promuovere azioni a contrasto della violenza sul territorio provinciale sono sorti Centri Antiviolenza come il Consultorio Alfa di Chieti Scalo, del Comune di Vasto e la Sezione femminile della Croce Rossa di Chieti “Non tacere” del “Progetto vita” Onlus di Lanciano, dove collaborano figure professionali che possono prendere in carico le vittime di ogni forma di violenza ed aiutarle ad intraprendere un percorso personale per uscire dal disagio.

 

In UMBRIA, la giunta regionale su proposta dell'assessore alle Politiche sociali Damiano Stufara, per contrastare il fenomeno del maltrattamento e degli abusi sessuali, fisici e psicologici sulle donne, ha approvato il progetto “Mai Più violenze-Mille Azioni e Interventi Per Impedire Ulteriori violenze”, unico in Italia, perché sperimenta un nuovo modello di intervento per fronteggiare situazioni drammatiche che colpiscono le donne non solo fuori, ma anche e soprattutto tra le mura domestiche. E’ stata quindi costituita l'Associazione temporanea di scopo (Ats) di cui è capofila la Regione Umbria rappresentata dall'assessore Damiano Stufara, con il compito di gestire il progetto definendone modalità e tempistica. Oltre che dalla Regione, l’Ats è costituita da 36 soci membri tra cui enti locali, Asl, associazioni, consorzi e singole cooperative.

Il progetto, partendo dalle buone esperienze già esistenti in materia, punta sulla prevenzione e la sensibilizzazione della comunità per evitare situazioni gravi e irreparabili.

Tra le azioni previste, l'attivazione di un tavolo di confronto e di studio con lo scopo di concordare un programma, una mappatura dei servizi esistenti, l'attivazione di seminari di studio e approfondimento per gli addetti ai lavori sui temi della violenza di genere e la creazione della cosiddetta 'Rete delle Reti' contro la violenza che prevede la promozione e implementazione a partire dagli uffici della Cittadinanza, della pratica del lavoro sociale di rete, la sensibilizzazione dei cittadini.

 

Nel LAZIO, la Regione è sempre più attiva nel contrasto alla violenza sulle donne, a cominciare dalla proposta di legge regionale di contrasto dello stalking firmata da Claudio Bucci (Sdi) che si articola in tre punti: l’istituzione presso le Asl di appositi servizi anti-stalking; la nascita di un osservatorio regionale per monitorare il fenomeno; la stipula di protocolli di intesa con autorità giudiziaria e forze di sicurezza per definire insieme strumenti di contrasto. La Regione ha individuato come ulteriori misure necessarie l’estensione e il potenziamento della rete dei centri antiviolenza  nelle province del Lazio, oltre che interventi nelle scuole per diffondere una cultura contro ogni forma di violenza (bullismo, molestie e abusi).

 

Il Comune di Roma devolverà proprio oggi, in occasione della 'Giornata mondiale contro la violenza sulle donne', fondi straordinari per sostenere l'associazione 'Comunità' Papa Giovanni XXIII' e la Caritas diocesana di Roma impegnate nelle attività a favore delle donne vittime del racket della prostituzione. "In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne abbiamo scelto di dare un aiuto concreto a importanti realtà, come la comunità Giovanni XXIII e la Caritas, che aiutano e sostengono le donne vittime della tratta", dichiara Lavinia Mennuni, consigliere del Pdl in Campidoglio e delegata del sindaco di Roma per le Pari opportunità e per i rapporti con il mondo cattolico. "Difatti, dopo i risultati positivi registrati in seguito all'applicazione dell'ordinanza antiprostituzione voluta dal sindaco Alemanno - aggiunge - abbiamo ritenuto necessario destinare un contributo a istituti religiosi che si occupano del sostegno e dell'allontanamento delle donne dalla strada". "Si tratta di un primo passo - prosegue la consigliera del Pdl - verso l'attuazione di una politica volta da un lato a ridurre, attraverso interventi specifici, il fenomeno della prostituzione; dall'altro, a tutelare in modo effettivo le donne vittime del racket  e a contrastare situazioni di disuguaglianza, abuso e pregiudizio. Molto spesso si tratta purtroppo di minorenni o ragazze madri che non hanno la libertà di determinare la propria vita, ma che sono costrette alla prostituzione. Quello di oggi - conclude Mennuni - vuole essere l'avvio di un percorso che deve mirare a una successiva reintegrazione di queste donne oggi emarginate, a rischio di malattie e di soprusi  di ogni genere". 

 

Sempre il Comune di Roma, l’assessorato alle Politiche Sociali – in collaborazione con l'assessorato alle Pari opportunità e in coordinamento con la Croce Rossa provinciale – ha promosso una serie di corsi di formazione sulla violenza sessuale e domestica contro le donne. I corsi, rivolti a operatrici e operatori sanitari quali medici, infermieri, ostetriche saranno articolati in una giornata di presentazione aperta a tutti i partecipanti e, successivamente, in tre moduli da due giornate che si svolgeranno a maggio, giugno e settembre. Nell'ambito dei corsi, con l'aiuto di esperti/e e con un confronto diretto tra gli operatori, si affronteranno temi quali l'epidemiologia del fenomeno della violenza intrafamiliare e sessuale, lo svolgimento del triage in pronto soccorso, l'identificazione e le metodologie dell'accoglienza alla donna vittima. E, ancora, saranno affrontati temi quali lo svolgimento della visita ginecologica, le modalità di refertazione medica e le modalità di descrizione delle lesioni, la compilazione dei rapporti per l'autorità' giudiziaria, gli aspetti medico legali relativi al ruolo dell'obiettività' clinica e alle modalità di raccolta e custodia dei reperti. Il percorso formativo si inserisce nel quadro dell'intervento “H24 Donne”, promosso dagli assessorati alle Politiche sociali e alle Pari opportunità in collaborazione con le associazioni Differenza Donna e Telefono Rosa, e che prevede una equipe di professionisti (mediatrice culturale, psicologa, avvocato/a, assistente sociale) che insieme affiancheranno le forze dell'ordine e gli operatori sanitari nell'accoglienza e nel sostegno delle donne vittime di abusi.

La Provincia di Viterbo ha, invece, promosso il progetto “Lei, noi, loro”, che mira alla creazione di una rete provinciale per la prevenzione e il contrasto alla violenza sessuale. L'intervento prevede un corso di informazione e formazione, indirizzato a 80 destinatari tra rappresentanti delle forze dell'ordine e dipendenti dei settori della Asl e dei servizi sociali. All’interno del progetto è previsto anche un seminario di didattica attiva, con relazioni di esperti sul fenomeno della violenza sulle donne e, inoltre, incontri formativi, visione di video e film, distribuzione di materiale didattico.

 

In CAMPANIA, il Comune di Napoli è il patrocinatore di un progetto partito da poco e che si concluderà ad ottobre 2009, dal titolo “Sentimenti differenti”, nell'ambito del piano strategico ''Città: femminile, plurale''. “Sentimenti differenti” mira a combattere la violenza sulle donne, puntando innanzi tutto sul ruolo centrale degli insegnanti per rilanciare la cultura della non violenza e creare un nuovo modello di educazione sentimentale

 

In CALABRIA, il Comune di Reggio Calabria – U.O. Pari Opportunità ha promosso il progetto “Accoglienza per il reinserimento”, nell’ambito del quale è stato creato il Centro Antiviolenza “Casa delle Donne”, che offre numerosi servizi per l’assistenza alle donne vittime di violenza.

 

In PUGLIA, la Regione ha dato vita ad un esempio di “buone pratiche2 attraverso il progetto “Le Città Invisibili”, nato per offrire assistenza alle vittime della tratta di esseri umani o ridotte in condizione di schiavitù.

La Provincia di Bari ha attivato in 9 comuni il progetto “Il cantiere dell’inclusione” che - a partire da febbraio 2008 - prevede percorsi finalizzati all'inserimento sociale e lavorativo, e 33 borse disponibili a partire da marzo. L’obiettivo dell’iniziativa promossa dagli assessorati alle politiche sociali dei comuni di Bari, Mola e Triggiano in collaborazione con il consorzio Meridia, è di contrastare la violenza attraverso percorsi integrati di inclusione sociale e lavorativa e le attività saranno rivolte a donne e minori vittime di abusi e maltrattamenti e prevedranno percorsi individualizzati su più livelli, fino all’inserimento sociale e lavorativo. Un risultato tangibile del progetto è l’attivazione delle 33 borse lavoro affidate a soggetti meritevoli anche di un’esperienza lavorativa contrattualizzata della durata di dieci mesi. Il territorio interessato è ben più ampio dei tre comuni della provincia barese, infatti, qui la nota caratterizzante l’innovatività del progetto, le azioni, coordinate dai comuni di Bari, Mola e Triggiano coinvolgeranno complessivamente, nove comuni dell’hinterland barese: Rutigliano, Noicattaro, Adelfia, Capurso, Cellamare e Valenzano.

 

In SARDEGNA sono stati stanziati un milione e 200 mila euro per finanziare la realizzazione di centri e case di accoglienza per le donne vittime di abusi e violenza, da creare nelle province sarde, grazie alla recente legge sull'istituzione dei Centri antiviolenza approvata dalla Giunta regionale della Sardegna, e che prevede, entro il prossimo anno, l’apertura di nuove case di accoglienza (dopo quella già operativa a Cagliari, che ospita le ragazze sotto protezione, ma anche le vittime della tratta e quelle che hanno deciso di denunciare gli sfruttatori), finanziando anche quelle di Sassari e Nuoro che già sono attive.

 

In LOMBARDIA, l’assessorato alla solidarietà sociale e parità della Provincia di Pavia ha promosso la pubblicazione “Liberamente. Percorsi di donne contro la violenza. Realizzato nell’ambito del Progetto sostenuto dalla Regione Lombardia nel Programma Regionale per l’Anno Europeo Pari Opportunità, il Quaderno è un agile strumento di consultazione su alcune coordinate essenziali per intervenire nelle azioni di contrasto alla violenza verso le donne e insieme una sorta di rubrica con gli elementi informativi su alcune realtà presenti in provincia di Pavia, dove opera anche una rete reale tra territori, istituzioni e soggetti che può agire in questo delicato ambito d'intervento privilegiato dalla politica dell'assessorato provinciale. Sul territorio provinciale sarà presto anche attiva una "Rete antiviolenza”, il cui scopo è quello di promuovere attività di prevenzione, aiuto e assistenza alle donne vittime di abusi: di essa faranno parte istituzioni, associazioni, enti, per un contrasto al fenomeno efficace grazie alla partecipazione di tutti gli agenti coinvolti. 

A Milano ammontano a 150 mila euro i fondi stanziati dal Comune  per potenziare la rete di enti che opera sul territorio cittadino, per prevenire e contrastare la violenza contro le donne. L’obiettivo è formare 50 ufficiali dell’Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato e 222 ufficiali, tra commissari capi e commissari aggiunti della Polizia Locale (che a loro volta formeranno altri operatori di “polizia di prossimità”), per rafforzare la loro sensibilità verso casi di violenza nei confronti di donne e minori. Il progetto approvato dalla Giunta comunale prevede anche la costituzione di un coordinamento che effettuerà verifiche sull’efficacia dell’attività di formazione alla fine di ogni corso, con relazioni e questionari compilati dai partecipanti.

La Provincia di Milano – in collaborazione con la Caritas Ambrosiana e con le Associazioni e i Centri Antiviolenza – ha presentato la guida "Donne italiane e straniere maltrattate in famiglia", uno strumento di facile consultazione, pensato per il personale preposto a incontrare le donne e le ragazze sul territorio (scuole, parrocchie, centri di ascolto, servizi sociali, centri di aggregazione ecc.), per aiutare a cogliere i segnali della violenza, a saper rispondere alle richieste di aiuto e orientare così le vittime verso i Centri specialistici. La guida, redatta e stampata in 3mila copie, si avvale del contributo della Casa delle donne maltrattate, Centro aiuto donne maltrattate, Centro ambrosiano di documentazione per le religioni (Cadr), Caritas Ambrosiana e Cerchi d'acqua, e illustra i vari tipi di violenze, da quella sessuale o fisica, dallo stalking, fino a quella economica e psicologica, specchio  di un’emergenza sociale fin troppo radicata,  che non riguarda unicamente le vittime e i loro familiari, ma che coinvolge l’intera società. La guida, oltre a indicare quali tutele garantisce la legge italiana, contiene inoltre indirizzi e recapiti dei Centri antiviolenza e delle case delle donne a cui chiedere aiuto.

 

Le consigliere regionali del Pd lombardo Sara Valmaggi, Ardemia Oriani e Maria Grazia Fabrizio, hanno presentato nel marzo scorso, con la collega Silvia Ferretto, eletta con An, una proposta di legge che propone, tra l`altro, un fondo regionale ad hoc, non ancora discussa.

"I numeri - dichiarano le consigliere - dimostrano che la violenza sulle donne, soprattutto quella domestica, non conosce confini di etnia, di cultura e di classe sociale. Riconoscere il fenomeno è solo il primo passo. Ora occorre dotarsi di strumenti adatti, partendo dal riconoscimento dei Centri antiviolenza e delle Case di accoglienza per le donne che hanno lunga e positiva esperienza in questo campo. Dobbiamo superare il vuoto legislativo e concentrare risorse sugli strumenti e sugli interventi meritevoli. Su questo tema siamo disponibili al confronto e attendiamo una proposta anche dalla maggioranza".

 

Il lavoro prezioso delle Case delle donne, i Servizi e i Centri antiviolenza: la parola alle donne

 

Intervista ad Oria Gargano

(Presidente della Cooperativa sociale Be free, Cooperativa contro tratta, violenze, discriminazioni, Esperta italiana dell’Observatory center/agaist violence agaist women di Bruxelles «European Women lobby» e Reserve list del Tavolo europeo degli/delle esperti/e, sulla tratta di esseri umani)

 

Il 25 Novembre è la giornata nazionale contro la violenza contro le donne. Cosa ne pensa Oria Gargano, un’esperta della violenza di genere, che lavora da anni sul fenomeno della violenza e della tratta delle donne?

Questa giornata mondiale contro la violenza sulle donne raduna intorno a sé tutta una serie di presenze importanti del mondo dell’Associazionismo femminista e sono molto contenta che anche quest’anno, per la seconda volta, Be Free abbia un ruolo così importante. Be free è una cooperativa sociale nata il 27 febbraio 2007 da un gruppo di operatrici che hanno lavorato per diversi anni in altre strutture del privato sociale, in maniera frontale sul piano della violenza contro le donne e la tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale e/o lavorativo, e che hanno voluto riunirsi per creare una nuova realtà, dare vita ad un laboratorio di idee e ad un osservatorio sulla violenza di genere per elaborare nuove pratiche e differenti metodologie a partire dal bagaglio culturale e politico sperimentato in precedenza sui temi della violenza e della tratta, perché la violenza contro le donne e la tratta di esseri umani sono temi estremamente sensibili di cui moltissimi soggetti nell’associazionismo del terzo settore, tanto laico quanto cattolico, si occupano, ma è necessario affrontarli soprattutto riflettendo e soffermandosi in profondità su come occuparsene, su quali strategie efficaci adottare e su come affrontare le “vittime”, progettando e cercando di modificare la percezione sociale diffusa e sulla violenza e sul traffico di esseri umani e sulla prostituzione forzata e sulla prostituzione “tout court”, perché se dopo tanti anni questi temi sono ancora così in evidenza, evidentemente anche il modo di approcciarli deve essere evidenziato. Ricordo, ad esempio, la famosa indagine fatta dall’Istat nel 2006 che forniva delle cifre spaventose sul numero delle donne che subiscono violenza, e che indicava anche una percentuale pari al 2% di donne che si rivolgono ai centri antiviolenza, che pure sono numerosi in questo paese. Questo risultato significa molto soprattutto per chi come noi lavora in questo campo e sa perfettamente che la realtà dei centri antiviolenza non è ancora sufficientemente conosciuta, questo dato significa anche che il contesto sociale e culturale non è ancora così edotto da saper intervenire nella maniera più adeguata per contrastare i fenomeni legati alla violenza sulle donne, rivela come sia ancora notevole il lavoro da fare, i casi di cronaca di donne uccise “per amore” invadono i giornali tutti i giorni, sembra una situazione che precipita e che peggiora, nonostante tanti progetti e nonostante numerose siano le azioni svolte in tale direzione in questo paese così come in Europa. Tra l’altro, mi piace dire che sul piano europeo si sta muovendo questo Osservatorio contro la violenza sulle donne promosso dalla Lobby europea delle donne di Bruxelles che raccoglie 30 paesi dell’Unione Europea, più Cipro, Lituania, Estonia, Lettonia, esperte di tutti i paesi europei dell’Europa geografica (più grande dell’Europa politica), con una rappresentanza anche turca, proprio per elaborare le migliori strategie da adottare secondo un piano condiviso a partire dai progetti che ogni singola Associazione, nella propria realtà, sta portando avanti.

 

Cosa si deve dire della violenza contro le donne oggi?

 

È una domanda a cui non è semplice rispondere, bisogna attraversare le contraddizioni in cui la nostra società è immersa per poter dare una lettura complessa del fenomeno. Cosa dire rispetto ad una società che comunque è in evoluzione? Rispetto ad una scolarizzazione femminile comunque così forte, perché le donne studiano sempre di più, ottengono posti nel concorsi pubblici ad ogni livello, entrano nei luoghi considerati tradizionalmente maschili, trionfano in facoltà scientifiche prima d’ora frequentate in maggioranza da uomini, hanno spazi di autonomia e grande libertà sessuale?, ma d’altra parte continuano ad essere uccise e sempre di più, quest’anno credo che si siano superati i 150 casi di donne uccise, più di 100 ogni anno vengono uccise dalla violenza del partner o in generale dalla violenza degli uomini contro di esse, sono sempre di più oggettivate nelle trasmissioni televisive, nelle rappresentazioni di massa, sono sempre più numerosi (più di dieci milioni)  gli uomini che vanno a chiedere rapporti sessuali a pagamento, o meglio rapporti di sottomissione sessuale a donne per la quasi totalità costrette a farlo, per rapporti sessuali estremamente miseri che spesso non superano le trenta euro a prestazione. Quindi è evidente che siamo di fronte ad una grandissima divaricazione di due piani di realtà per cui entrambi questi fenomeni così raggruppati sono veri ed è evidente allora che all’autonomia delle donne evidentemente gli uomini rispondono con la violenza e con l’acquisto di servizi sessuali da parte di chi non può negarglieli. Quando si parla di Empawerment delle donne, occorre tenere presente che di fatto in Italia è solo di facciata, non corrisponde ad una reale situazione di benessere sociale, perché la presenza di questi fenomeni rivelano proprio il contrario, denunciano un malessere sociale diffuso e da questo occorre partire per analizzarne ogni singola manifestazione. Di questo malessere sociale le vittime privilegiate sono le donne, perché sono storicamente l’anello debole della relazione di coppia e delle relazioni sociali in genere, e ritengo però che ne siano vittime anche gli uomini, perché è evidente che un uomo che spende trenta euro per un rapporto costretto, nonostante abbia una vita di coppia cosiddetta nella norma (una moglie, un’amante o chi per lui), rivela qualcosa di profondo che bisogna affrontare, è altrettanto evidente che la Storia delle donne non è conosciuta, che nelle scuole non entra, che la dove manca la conoscenza di tutto quello che le donne hanno fatto nei secoli, provoca un vuoto di rappresentanza e di riconoscimento sociale e culturale non indifferente, questo che fa si che da un lato le donne si sentano meno o per nulla rappresentate anche politicamente e storicamente ed abbiano meno rispetto per sé e dall’altro lato che gli uomini fin da bambini, vengano abituati a considerare le donne nelle retrovie e nelle cucine, non maturando una cultura del rispetto e una cultura di genere nei confronti di queste. In questo processo culturale sono guidati e fomentati negativamente dai mass media, dalla televisione, dalla pubblicità e da tutto ciò che svilisce e continua a perpetrare una commercializzazione e una sottovalutazione delle donne come genere esposto al piacere dell’uomo. Sono tantissimi quindi gli aspetti che bisognerebbe affrontare e una visione semplicistica del fenomeno certamente non aiuta a risolverlo, ma neanche a vederlo nella sua specificità. Non è sufficiente denunciare, ma si deve anche cercare di portare avanti nonostante le difficoltà, soprattutto in questo momento storico, dei progetti che siano adeguati a modificare le relazioni di coppia, le relazioni fra i generi per leggere la realtà con un’ottica improntata al genere. È chiaro che poi invece si fanno degli interventi politici assolutamente contrari e contro corrente rispetto all’elaborazione delle “buone prassi” e mi riferisco in realtà al disegno di legge della Ministra Carfagna e all’ordinanza del sindaco di Roma, ma non solo sua, anche di tantissimi altri sindaci, sulla prostituzione “criminalizzata”, una prostituzione intesa ancora come qualcosa di antico, di folcloristico, o di indecoroso per le strade delle città, e non affrontata per quello che è: prostituzione forzata ai danni di molte giovani donne, schiave di un racket mafioso di altissimo livello, di bande criminali, e mercato animato dai compratori che sono appunto dieci milioni in Italia. In realtà, si dovrebbe cominciare a nominare le cose per quello che sono realmente, senza confondere i diversi piani che ne costituiscono la realtà, mai così riduttiva come vogliono farci credere. Bisognerebbe parlare della riduzione in schiavitù e non della prostituta come la personificazione del peccato da cui purificarsi, la cosiddetta “bella di notte” o “lucciola” o come di una vergogna che inquina le nostre strade, fatta oggetto di altri folcloristici quanto ipocriti termini che ne fanno un pericolo vicino alle scuole perché scandalizza i bambini e rende i marciapiedi indecorosi, forse bisognerebbe cominciare a gridare a gran voce che i bambini sono più scandalizzati e condizionati da un certo tipo di televisione, ormai non solo più commerciale, che entra nelle loro case ogni giorno e propina immagini stereotipate di donne considerate solo corpi da mettere in mostra, senza cervello e senza autorevolezza. In realtà, la Ministra Carfagna sostiene di non voler riaprire le case chiuse, sostiene di voler criminalizzare la prostituzione perché è contraria al decoro e all’immagine delle donne e su questo piano possiamo anche darle ragione, è vero che la prostituzione di per sé è il paradigma di un’inferiorità di un genere rispetto ad un altro, ma non è certo questa la modalità corretta per risolverla, proprio perché ogni volta che ci sono degli arresti di racket, si scoprono centinaia di ragazze schiave, proprio perché la nostra attività, come Be free, ci insegna che la maggior parte delle ragazze sono costrette a scendere in strada e sottoposte a vessazioni e soprusi di diversa natura, e molto spesso fatichiamo a far si che si dichiarino vittime di tratta proprio perché i loro “papponi” le hanno ben “preparate” e in questo periodo ancora di più, perché hanno paura di essere incarcerate e sottoposte ad un ulteriore inquisizione e colpevolizzazione, motivo per cui non si rivolgono più con una certa facilità come magari avveniva fino a qualche tempo fa, alle forze dell’ordine per chiedere aiuto, ma al contrario, ora scappano da queste. Dai tanti colloqui con donne vittime di tratta incontrate durante il nostro lavoro, emerge che se anche la ragazza fosse venuta in Italia da un Paese povero come la Romania, la Nigeria, la Bulgaria o l’Albania, perché strozzata dalla fame, e avesse voluto guadagnare del denaro “facile” prostituendosi, (certamente non saremmo noi a giudicarla), non le sarebbe stato possibile farlo, perché la ragazza sulla strada continua a rendere fra i 500 e i 1000 euro a notte, e rappresenterebbe un bottino troppo prezioso perché i trafficanti non se ne appropriassero. Anche la dove è emersa una volontà da parte di alcune ragazze di venire in Italia per fare le prostitute, sospendendo ogni giudizio, abbiamo constatato come dietro le loro storie comunque emergesse un vissuto di estrema povertà, di abusi reiterati da parte di contesti familiari abusanti, di privazioni pesanti subite durante l’infanzia o di situazione familiari poco accoglienti, e solo così si può capire bene cosa possa esserci dietro quel percorso/progetto migratorio. Una volta arrivata in Italia, la ragazza sarà ridotta in schiavitù e non è corretto, in previsione di una politica dell’accoglienza efficace, chiederle se lo sapeva o non lo sapeva che sarebbe stata prostituita, come è stata ingannata, quando e fino a che punto, perché questo significa sempre riversare sulle donne la responsabilità di problemi sociali enormi, dalla povertà alla situazione economica precaria di paesi che non sono ancora sostenuti abbastanza nel definirsi europei, come la legge vorrebbe. Ancora più assurda è l’ordinanza dei sindaci che afferma di voler colpire la prostituzione su strada con delle multe ai clienti e alle prostitute/prostituite, l’ordinanza dice anche che va fermata chiunque sia supposta essere prostituta dall’abbigliamento che indossa, quindi anche la ragazza italiana che indossa una minigonna, o una maglietta succinta o porta l’ombelico di fuori o una grossa scollatura, cioè vestita come tutte quelle che si vedono in televisione dalla mattina alla sera, anche una ragazza che non ha nulla a che fare con la prostituzione rischia di essere fermata e identificata e indagata se è o no una prostituta, io ho molto interesse a portare la discussione su questo piano perché questo significa limitare la corporeità, la creatività, l’esistenza di tutte le donne e voglio anche ricordare che questa fu la caratteristica della cosiddetta “canonizzazione” del bordello nell’Italia Unita, quella legge famosa e tristemente nota come “Legge Cavour” sui bordelli di Stato. Quella legge diceva che se una ragazza, una donna, era trovata in strada dopo le ore 21 (in inverno) e dopo le ore 22 (in estate), nello spazio pubblico dove non doveva essere se era una persona perbene, doveva essere condotta in un commissariato, visitata ginecologicamente e costretta a segnarsi agli elenchi delle prostitute se non vergine, in base anche alle malattie veneree riscontrate e pur essendo sposata, questo è un paradosso legato all’oggi, ma lo spirito che informa questa legge comunque è uno spirito di controllo e uno spirito di negazione delle libertà individuali delle donne nel momento in cui la libertà sessuale delle donne è così enfatizzata. L’eterna contrapposizione e barriera fra donne perbene e donne indecorose che poi ne deriva inevitabilmente nonostante tante cose siano cambiate dal 1850 a oggi, in realtà ritorna indietro, in questa maniera di fatto le case chiuse si riapriranno anche se la legge Merlin ha compiuto proprio adesso cinquant’anni, la povera Lina Merlin ci ha messo 10 anni per farla approvare ed è assurdo che con un cambio di governo si torni ad una situazione pre-Merlin. La legge Merlin che tanti vogliono cambiare, è una legge importantissima, lo ricordiamo, è la legge che ha profondamente modificato la cultura di questo paese, non a caso contro la legge Merlin si schieravano schiere di intellettuali e di artisti del tempo, proprio perché vigeva la mentalità comune che la società avesse bisogno di avere delle donne per soddisfare l’istinto sessuale del maschio, il principe, il sultano. Evidentemente ha avuto un’importanza profonda, è una legge modernissima. Una modernissima Svezia, non a caso, ha proibito già da diversi anni l’acquisto di servizi sessuali senza cadere nel decoro urbano. L’Europa ci insegna che i paesi in cui la prostituzione è organizzata in bordelli, come l’Olanda e la Germania e che sono tra l’altro tutti paesi che non hanno firmato la Convenzione per la repressione della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione adottata dall’assemblea Onu del 2 dicembre del 1949, aperta alla firma il 21 marzo 1950, che l’Italia invece ha firmato e che ha consentito alla Merlin di vincere la sua battaglia, in questi paesi la tratta c’è e come, soltanto che per le donne è molto più difficile fuggire.

Il 25 Novembre sarà la giornata nazionale contro la violenza sulle donna e sicuramente anche il tema della prostituzione e della tratta deve essere presente perché è un tema che riguarda tutte le donne, ma anche tutti gli uomini, è un tema che riguarda la società civile nel suo insieme, avere delle parole diverse sulla prostituzione e riflettere sul fatto che non è un diritto inalienabile degli uomini comprare un corpo, sul fatto che non è vero che è sempre esistita la prostituzione e non è il mestiere più antico del mondo, è necessario, perché in realtà la prostituzione è nata quando la proprietà privata e la famiglia hanno prevalso per tutelare l’onorabilità dei maschi proteggendo il corpo delle donne che ai maschi appartenevano, perché ci dovevano essere delle donne di tutti, disponibili per tutti e queste erano le prostitute. Partire da questa verità storica per seguirne gli sviluppi che nel tempo sono stati prodotti, è importante per poter riflettere consapevolmente senza adottare categorie censitorie, giudicanti o criminalizzanti che non servono a comprendere la complessità del fenomeno e tenendo anche conto del fatto che nel tempo, si è creato un movimento di sex worchers che rivendica la prostituzione senza coercizione come libera scelta e questo è un dato di fatto, non si possono infatti dare letture rigide e unidirezionali su questo ed anzi, sono felice di confrontarmi con le sex worchers, ma non si può prescindere e non si può dimenticare il significato sociale, storico e politico che la prostituzione ha acquisito nel corso dei secoli e che va tenuto ben presente in una giornata importante come quella del 25 dove saremo tutte unite per dire no ad altre violenze agite sul corpo delle donne, tutte.

Antonella Petricone

 

Intervista all’Avv. Concetta Rosa (Assolei Sportello Donna)

1. Innanzitutto potrebbe specificare di cosa si occupa l'Associazione Assolei e qual'è il suo bacino d'utenza? a quali donne si rivolge? che tipo di servizi offre?

Assolei si occupa di discriminazioni e violenza nei luoghi di lavoro. Negli ultimi anni ha aperto uno sportello immigrazione rivolto alle donne sulla base di un progetto finanziato dal Comune di Roma. Sin dalla sua nascita nel 1993 Assolei ha offerto gratuitamente alle donne che vi si sono rivolte, un servizio di consulenza legale e di orientamento sindacale. Oggi offre assistenza legale, ascolto (counseling) e orientamento circa i servizi, soprattutto pubblici, presenti sul nostro territorio.

2. In cosa consiste, nello specifico, il suo lavoro all'interno dell'Associazione? quale mansione svolge?

Personalmente presto consulenza legale presso lo Sportello di Assolei come avvocata. Sono una socia fondatrice e componente del direttivo della associazione.

3. Le donne che si rivolgono all'Associazione quale tipo di violenze denunciano? e qual'è in genere l'iter che viene loro proposto? possono usufruire di un gratuito patrocinio se decidono di farsi seguire legalmente da voi, ma non hanno possibilità economiche sufficienti?

Le donne denunciano molestie sul lavoro, mobbing, discriminazioni per gravidanza e/o maternità, maltrattamenti in famiglia. Richiedono informazioni sui loro diritti contrattuali di lavoro. Le donne straniere denunciano mutilazioni genitali, prevaricazioni da parte del marito che arrivano alla sottrazione dei figli, dei documenti.

Vengono accolte in associazione, in genere previo appuntamento, ascoltate con molta attenzione e senza fretta. Vengono invitate ad esporre la loro storia al fine di individuare se vi sono  aspetti legali e/o necessità di intraprendere un percorso di counseling.

Viene sempre valutata la loro condizione socio-economica e fatto loro presente che è possibile usufruire di un patrocinio a spese dello Stato se il reddito non supera una certa soglia. Se ciò non è possibile viene proposto un iter legale applicando tariffe legali al minimo. La consulenza è sempre gratuita.           

4. Siete in rete con altre avvocate di Associazioni che gestiscono centri antiviolenza sul territorio nazionale? o lavorate in rete ma seguendo un circuito interno individuale?

Nel valutare le storie che ci si presentano abbiamo presente anche le altre associazioni e servizi presenti nei luoghi di appartenenza delle donne richiedenti. In particolare ci capita di inviare le donne presso i Centri antiviolenza quando è richiesta ospitalità o nei casi in cui c’è un grave rischio per l’incolumità personale propria o dei figli.

5. Sono molte le denunce che ogni anno sporgono le donne che si rivolgono a voi? statisticamente quante donne passano dalla vostra associazione ogni anno? (se ha qualche dato in percentuale va benissimo)

L’ associazione raccoglie i dati statistici della affluenza allo sportello. Nell’ultimo anno si sono rivolte a noi circa 150 donne.

6. Può descrivere il percorso che una donna segue da quando si rivolge all'Associazione fino a quando decide di essere seguita da voi e di iniziare un'azione legale?

Non tutte le donne desiderano intraprendere un’azione legale. Attraverso l’ascolto cerchiamo di individuare i punti di forza e i punti critici della storia che ci viene rappresentata. Individuiamo insieme la strategia migliore che può anche essere quella di rivolgersi al  sindacato, di chiedere sostegno psicologico o di counseling, di prendersi cura  della propria salute.

Per quanto riguarda l’aspetto legale vengono indicate le azioni che si possono svolgere in campo civilistico, penale o amministrativo.

Purtroppo il patrocinio a spese dello Stato non copre che una piccola parte della popolazione bisognosa di un sostegno economico. Ad esempio, percepire un reddito di 900,00 euro al mese non dà diritto al gratuito patrocinio eppure tale reddito non è affatto sufficiente ad affrontare spese ulteriori rispetto a quelle di sussistenza.

7. In base alla vostra esperienza riscontrate un mutamento nel tipo di approccio delle donne alla richiesta di aiuto? denunciano di meno? di più? chiedono aiuto direttamente?

Vengono da noi molte donne straniere consapevoli dei soprusi che subiscono. Sono accompagnate da sorelle, amiche. Più raramente si rivolgono a noi per interposta persona 

8. Si rivolgono a voi donne italiane e straniere in egual misura? o c'è una differenziazione? in caso affermativo sa dirmi da quali fattori può dipendere? 

Lo sportello per l’immigrazione ha avuto un maggior successo negli ultimi anni con un incremento dell’utenza extracomunitaria e neocomunitaria. Ciò dipende dalla crescita del fenomeno dell’immigrazione e dalla insufficienza dei servizi a loro dedicati.

9. Rispetto alla manifestazione del 22 Novembre a Roma, qual'è la posizione che sente di poter rivendicare come avvocata che combatte la violenza sulle donne?

L’accesso alla tutela dei diritti è negata alle donne più povere perché le attuali norme sul gratuito patrocinio non sostengono la domanda di giustizia delle donne più deboli che sono la maggioranza delle straniere ma anche delle italiane 

10. La sua posizione rispetto alla questione della prostituzione criminalizzata in questo momento molto attuale, il clima che si respira e le eventuali ripercussioni che lei riscontra come avvocata che ha degli strumenti legali per leggere ciò che sta accadendo?

Sono misure ipocrite, demagogiche che non intaccano la piaga  della riduzione in schiavitù di un esercito di bambine e di donne. Non vi alcun interesse politico a risolvere il problema della prostituzione come pure  per la droga e la malavita organizzata


11. Cosa pensa del pacchetto sicurezza proposto dal nuovo sindaco e sindaci di Roma anche in relazione al ddl della Ministra Mara Carfagna (ciò che comporta secondo la sua esperienza per le donne immigrate, se migliorerà o meno i percorsi di fuoriuscita da situazioni di violenza e di schiavitù e l'ottenimento dei permessi di soggiorno), soprattutto se ritiene che possa avere un impatto culturale importante su questa società ancora molto sessista e patriarcale.

La criminalizzazione dell’esercizio della prostituzione rende le prostitute, che sono la parte debole del commercio sessuale, più ricattabili da coloro che le sfruttano. In tal modo si rinforza lo sfruttamento della prostituzione. Ciò rende più difficile alle donne che vogliono uscire dalla prostituzione, aderire al programma di protezione perchè a differenza di prima dopo la legge saranno  perseguibili penalmente. 

12. Quali strategie e quali "buone prassi" propone come avvocata di un'Associazione che si occupa specificatamente di violenza contro le donne e di diritti negati?

Le istituzioni e gli enti locali in particolare dovrebbero collaborare e finanziare le associazioni che dimostrano di essere un punto di riferimento per le donne oggetto di violenza

A.P.

 

La violenza è una violazione dei diritti umani

Concludiamo con una dichiarazione dell'assessora alle politiche sociali della Regione Lazio, Anna Coppotelli, che in questa data vuole parlare di “ violazione dei diritti umani perché è di questo che si tratta ogni volta che un reato viene commesso contro la persona e contro la libertà individuale di una donna, di un bambino, di un omosessuale ".

"La rilevanza del numero delle vittime donne rispetto agli uomini non deve però far trascurare il fatto che esistono anche uomini vittime - prosegue Coppotelli - La violenza è violenza e non scompare ne’può essere considerata di serie B quella agita sugli omosessuali o sui transessuali". "Ciò che per alcuni è solo un titolo di giornale è in realtà una vera e propria violazione dei diritti umani e tutti abbiamo una piccola responsabilità quando, nascondendoci dietro pregiudizi, tabù e falsi moralismi ci dimentichiamo di essere solidali con chi ne è vittima. I rapporti umani si sono imbarbariti - spiega l'assessora - La coesione sociale e la solidarietà dovrebbero costituire la trama delle relazioni umane, invece siamo di fronte ad una società che produce identità senza appartenenza, ovvero individualismi. Subire violenza è un'esperienza drammatica per ogni persona e le conseguenze sono gravissime". "E' necessario considerare che prevenire la degenerazione di molte situazioni dipende dal tipo di risposta che una vittima riceve nel momento in cui chiede aiuto all'esterno, dal sostegno o dal mancato sostegno che ha trovato. Intervenire efficacemente non è solamente un problema di risorse, ma anche e soprattutto una questione culturale - conclude Coppotelli - Le leggi approvate contro la violenza alle donne e il loro modo di essere interpretate riflettono i processi sociali e culturali che fanno da sfondo al fenomeno in un determinato Paese".

Infine una ricca bibliografia sul fenomeno della violenza contro le donne, a cura di Claudia Frattini      (scarica file)

Per gli appuntamenti più importanti della giornata vi rimandiamo all’agenda presente sempre sul nostro sito www.deltanews.it

Tra gli appuntamenti televisivi sul tema ricordiamo RAITRE: TG 3 PUNTODONNA, il settimanale d'informazione dal punto di vista delle donne, ideato e condotto da Ilda Bartoloni, in onda oggi,  alle 12.25 su RaiTre. Ospiti di questa puntata: in studio, Gabriella Moscatelli del Telefono Rosa e, in collegamento da Firenze dove ha ricevuto il "Giglio d'oro", Marisela Ortiz, insegnante di Ciudad Juarez, in Messico, dove dal 1993 sono state uccise più di quattrocento donne e scomparse più di mille, quasi tutte giovanissime lavoratrici nelle maquilladeras, le fabbriche delle multinazionali per l'assemblaggio di prodotti soprattutto elettronici. L'attrice e regista Daniela Giordano legge in studio alcuni brani dal libro "Storie di violenze quotidiane", raccolte in vent'anni di Telefono Donna della Spezia. Nei servizi filmati: una vittima di stalking racconta la sua storia; intervista alla scrittrice Dacia Maraini; la staffetta delle donne dell'Udi contro il femminicidio.

e… 'OTTO E MEZZO' SU LA7, il programma di Lilli Gruber e Federico Guiglia che ospiterà in studio, alle 20.30, la presidente della Commissione parlamentare Infanzia Alessandra Mussolini del Pdl, la scrittrice Dacia Maraini e la dottoressa Alessandra Kustermann, responsabile del servizio di Diagnosi prenatale e del Centro soccorso violenza sessuale dell'ospedale Mangiagalli di Milano. All'interno, la rubrica ''Il punto'', affidata a Paolo Pagliaro, autore del programma assieme a Gruber. 

(Delt@ Anno VI, N 233 del 25  novembre 2008)