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NOTICIAS DE ARGENTINA
La Matanza,
Buenos Aires: la panetteria solidale, i blocchi stradali,
le assemblee, l'autocostruzione di case...
reportage di Marco Calabria
"MI RACCOMANDO
LE SCARPE". Rosa Maria era stata categorica, il giorno prima: per andar lì,
bisogna camminare in mezzo a fiumi di fango. Nel Partido della Matanza, un
dipartimento dell'enorme periferia di Buenos Aires, vive un milione e mezzo di
persone, il 3,5 per cento dell'intera popolazione argentina. Alla Matanza non
piove quasi mai, generalmente diluvia
La lunga
storia delle occupazioni della terra è cominciata, molto tempo fa, proprio con
duecento famiglie colpite da un'inondazione. Era il 1986, ma da allora non è
cambiato niente. Ancora quest'anno, a Porto Alegre, un'anziana "piquetera" ci
raccontava le tragiche conseguenze dell'ennesima alluvione, avvenuta poco prima
dell'insurrezione di dicembre, quella che ha cacciato dalla Casa Rosada quattro
presidenti della repubblica a colpi di padelle e "cacerolas".
La mattina
dopo, il sole domenicale splende. Rosa Maria Travaglini, figlia di emigranti
italiani e vissuta a Bologna "nei pirotecnici anni settanta", aspetta alla
fermata dell'autobus che ci condurrà fuori dalla capitale, lungo la Ruta 3, la
strada che senza mai cambiare nome scende lungo tutta la costa atlantica fino
alla Terra del Fuoco. Al chilometro 35 comincia la Calle del Comercio, una
striscia di terra devastata dal continuo straripare del torrente Morales che
s'inerpica fino al barrio Nicole, forse il più povero della Matanza, quello in
cui Rosa Maria, cooperante dell'Associazione per la partecipazione allo sviluppo
[Aps], coordina un progetto sanitario e ambientale con l'Asociación civil 26 de
julio, lo "strumento legale" del Movimiento sin trabajo.
Il solo mezzo
pubblico che risale la Calle del Comercio è il taxi, costa mezzo peso, poco più
di dieci centesimi di euro, una cifra impossibile per chi vive qui. Lo stridio
lancinante del disco della frizione annuncia un percorso necessariamente breve:
in pochi chilometri, pattinando all'impazzata sul fango, saremo a Nicole.
"Quando siamo arrivati qui, nel giugno del 1997 - racconta Lili - all'entrata
c'era un grande cartello. Diceva: Barrio Don Eduardo [il nome del presidente
Duhalde, allora governatore della provincia di Buenos Aires, ndr], l'abbiamo
subito tolto di mezzo, e il quartiere s'è chiamato Nicole".
Insieme a
Marcelo, "El gaucho", Lili è il principale punto di riferimento del Movimento.
Ha un viso dolce e insieme severo, e una lunga storia da raccontare. "Ho 42 anni
e sono la mamma di quattro ragazzi. Mio padre era impiegato alla società
telefonica, desaparecido nel 1976, mia madre ha sempre lavorato in Municipio,
era un'operaia. Avevo 26 anni, quando feci la prima esperienza di lotte sociali,
un'occupazione di terra. Ero già sposata e avevo due figli, vivevamo tutti in
una stanza con mia madre, mio fratello e sua moglie. Io volevo un posto mio,
come tanti altri, come tutti, così occupammo un terreno che oggi si chiama '22
de enero' ed è uno degli 'asentamientos' più grandi di tutta l'Argentina. Lì ho
cominciato a capire che dovevo lottare per avere l'acqua, le latrine, la scuola,
le cure mediche, tutto".
Poi Lili è
andata a lavorare nel municipio di Mucama, sempre nella Matanza, ed è diventata
delegata sindacale nell'ospedale municipale di San Justo. Lì è cominciata una
nuova lotta, dentro il sindacato, per cambiare una direzione che era stata
tenuta dalle stesse persone per dodici anni. "Abbiamo occupato la sede, eravamo
50 delegati, quasi tutti uomini. Pensa che all'inizio venivo chiusa in una
stanza fino a che non avevano finito di votare. Non è facile per una donna
argentina imporre il rispetto di se stessa e delle altre persone, della
democrazia di tutti. Ma l'alternativa era essere schiacciata".
La gente che
vive a Nicole proviene in gran parte da due storiche occupazioni di terra alla
periferia della capitale federale, quelle di Ciudad Evita e Villa Fiorito. Da lì
vengono Lili, Marcelo e molte delle settanta famiglie che hanno fondato Nicole.
"Dove vivevamo prima - racconta Lili - c'era troppa violenza. Molti di noi erano
figli di occupanti e c'erano coppie giovani con i bambini piccoli, le prime
vittime di quella violenza. Così, cominciammo a sognare un nuovo barrio.
Sapevamo che andar via da un quartiere con le strade asfaltate, la scuola,
l'ospedale, la luce e l'acqua per andare in un luogo da costruire da zero
sarebbe stata una grande sfida. Qui c'erano soltanto prati senza alberi e un
mare di fango, avevamo una fontanella e un generatore acceso solo la notte.
Pensare di poter vivere in questo posto sembrava una follia, eppure decidemmo di
credere a un sogno assurdo: costruire un quartiere. Così, abbiamo organizzato il
trasloco e cambiato quel famoso cartello".
La morte di
Damian, bambino
I primi tempi,
raccontano a Nicole, sono stati durissimi. Avevano solo dei fogli di lamiera e
di cartone e dei tiranti per tenerli su. Il problema del lavoro è stato subito
drammatico. Erano tutti abituati a vivere in un barrio commerciale, dove si
potevano vendere tortillas ed empanadas per la strada, oppure si poteva provare
a vivere raccogliendo cartoni o lattine. "Qui sembrava impossibile persino
arrivare alla Ruta 3".
Poi, l'11
dicembre, è accaduto un fatto grave, che ha segnato la vera svolta nella vita di
Nicole. La voce di Lili si fa cupa nel ricordare la morte di Damian, il bambino
fulminato dai cavi elettrici lasciati scoperti dal Municipio. Al più vicino
pronto soccorso, un presidio con due letti visitato da 3-400 persone al giorno e
lontano solo quattro chilometri, Damian arrivò tardi. Colpa di quella maledetta
strada, la Calle del Comercio, i cui lavori di riparazione sono stati finanziati
dal Municipio della Matanza solo nel 2001. Il tempo di cominciarli e tutto è
tornato com'era, com'è adesso. Ma la morte di
quel bambino segnò la prima vera integrazione fra le due comunità arrivate da
luoghi e occupazioni diverse e, fino ad allora, divise da opinioni e
appartenenze politiche differenti. Tre giorni dopo la "disgrazia", quelli di
Nicole organizzarono il primo "corte de ruta", il blocco stradale. Erano
diventati "piqueteros".
"Il modo in
cui è morto Damian ci ha colpito come una pugnalata. Non ci sembrava giusto che
degli esseri umani dovessero essere abbandonati qui, accanto al fiume, vicino a
quell'enorme discarica, isolati e senza mezzi di trasporto. È da criminali. Così
siamo andati fino alla Ruta 3 e l'abbiamo bloccata. È stato uno dei primi 'piquetes'
di tutta la Matanza. Vennero le autorità e ottenemmo risultati concreti: i primi
Planes trabajo [i sussidi che lo stato che concede ai capofamiglia disoccupati,
una quarantina di dollari al mese, ndr]. Poi, a gennaio, hanno deciso di darci
il materiale per tirar su le nostre case. Pochi di noi avevano esperienze come
muratori, qui ci sono persone che hanno lavorato come sarte, artigiani,
parrucchiere, meccanici, falegnami, calzolai, elettricisti, idraulici, tassisti,
c'è perfino un becchino. Ma in qualche modo organizzammo un progetto di
autocostruzione".
Oggi quelle
case sono meno di un terzo delle abitazioni del barrio, molte di esse non sono
mai state terminate perché la fame ha spinto la gente a vendere i materiali da
costruzione prima di completare i lavori. Il barrio cresceva, continua a
raccontare Lili, e accaddero altre disgrazie, come quando si bruciarono le pompe
dell'acqua. "Ogni volta scendevamo a bloccare la strada finché dal municipio non
venivano a darci ascolto. Abbiamo ottenuto così un ambulatorio e i controlli
settimanali di una ginecologa e un pediatra.Vorrei sottolineare altri due
elementi importanti. Il primo è la straordinaria partecipazione delle donne, che
però è un dato comune a tutte le lotte dei piqueteros, il secondo è invece del
tutto originale: a differenza di altri movimenti di disoccupati manovrati dai
partiti e dalle loro reti clientelari, noi non abbiamo mai avuto nulla da
offrire a chi partecipava alle proteste. Chi veniva con noi, per dirla
chiaramente, non riceveva borse di alimenti, doveva essere davvero convinto di
un progetto sociale di democrazia fondato sulla partecipazione e l'autonomia". A
volte, precisa Lili, questo può richiedere tempi più lunghi e molta pazienza "ma
è una battaglia che produce risultati, e quindi è degna di essere vissuta".
I ragazzi e le
mamme del quartiere, arrivati nella sala in cui chiacchieriamo per discutere il
nuovo piano autogestito di vaccinazioni per i ragazzi di Nicole, hanno già
concluso la prima riunione. Quindi, guidati da Lili e Rosa Maria, usciamo a
camminare per il barrio che, come tutti i quartieri della Matanza, mostra
un'urbanizzazione a dir poco disordinata.
Malattia:
denutrizione
Visitiamo
l'ambulatorio, dove le patologie più frequenti sono la denutrizione, le malattie
respiratorie, la diarrea, e poi allergie, infezioni parassitarie, maternità
adolescenti [32 per cento del totale] e disturbi psicologici legati soprattutto
alla disoccupazione. Non ci sono scuole, nel barrio Nicole, i bambini dovrebbero
andare nei quartieri vicini, dove riceverebbero anche un pasto gratuito, ma il
fango e la pioggia rendono quasi sempre il percorso a piedi impraticabile.
Alcune mamme, in passato, hanno tenuto a bada i bambini, prima come volontarie,
poi per pochi pesos. Adesso, con l'avanzare della crisi, non ci sono più neanche
quelli.
Nel "ropero
popular", una casetta adibita ad armadio-sartoria spiccano una lavatrice, un
ferro da stiro e una macchina da cucire con cui si rammendano abiti usati. È lì
che chiediamo a Lili cosa significa "democrazia" per una donna che ha vissuto
l'epoca dei desaparecidos e poi ha fondato una comunità che ha fatto della
partecipazione il senso dello stare insieme.
"Beh, quella
cominciata con la presidenza di Alfonsín, dopo la caduta dei militari, era una
democrazia fra virgolette. Sebbene non si venisse più uccisi o sequestrati per
le proprie idee: in fondo serviva a realizzare lo stesso 'modelo' di Videla con
mezzi diversi. È la 'democrazia' delle elezioni, dei discorsi vuoti, delle
speranze deluse. Alfonsin diceva: 'Con la democrazia ci si cura, ci si educa e
nutre', invece è cominciata la recessione ed è stata spianata la strada per
l'orribile epoca di Menem. Con lui è arrivata la 'democrazia' del potere, degli
imprenditori, delle multinazionali. L'altra idea di questa parola, invece, per
me è legata soprattutto ai momenti in cui, per esempio durante un'occupazione
della terra, bisogna prendere delle decisioni difficili e nessuno vuol farlo. È
allora che si comincia a fare l'opposto di quel che è sempre stato fatto in
questo paese, si smette di pensare che saranno i politici a definire il nostro
orizzonte, il nostro futuro".
Le vicende
personali di Lili l'hanno portata spesso a contatto con i partiti, una volta ha
persino deciso di candidarsi con una coalizione che si chiamava "Polo social".
Arrivò a un soffio dall'elezione, sfuggita all'ultimo momento grazie a una
manovra dei peronisti della Matanza. Eppure, proviamo a incalzare, se
"democrazia", in Argentina e altrove, è una parola piena di ambiguità, non mi
dirai che "politica"… "Forse ti sorprenderà, ma sono convinta che continui a
esistere la necessità di una risposta politica. Da un lato la gente nutre un
profondo disprezzo per i partiti e i politici, che si somigliano tutti, fanno
gli stessi discorsi, continuano a mentire e pensano solo a come riciclarsi dopo
la tempesta di dicembre. Vogliamo, come dice uno slogan diventato famoso, che
'se ne vadano tutti, che non ne resti neanche uno'. Dall'altro lato, però,
abbiamo bisogno di unirci per fare delle proposte, per aprire strade diverse,
una via alternativa".
Il pane di El
gaucho
Al gaucho, che
è un po' il leader naturale del barrio, chiediamo di aiutarci ad orientare la
collocazione del Movimento sin trabajo di Nicole nella galassia plurale dei "piqueteros"
argentini. "Negli ultimi tempi siamo stati molto occupati con i problemi del
quartiere e abbiamo partecipato meno alle riunioni generali, ma quella di
lavorare nelle situazioni locali è una caratteristica importante dei 'piqueteros'.
La gran parte di quelli della Matanza fa riferimento alla Central de los
Trabajadores argentinos [Cta] di Luis D'Elia e alla Corriente clasista y
combativa [Ccc] di Juan Carlos Alderete. Abbiamo partecipato ai primi tavoli di
discussione del movimento, poi ci siamo scontrati con loro, non ci piaceva
l'idea del punteggio, quella per cui se vai alle riunioni conquisti dei punti.
Ci siamo battuti per l'autonomia del movimento dai partiti, anche quelli di
sinistra, ma con la Cta e la Ccc non c'era verso di passare su quel punto.
Allora abbiamo scelto di lavorare con altri compagni, molti dei quali poi hanno
fondato il Coordinamento Aníbal Verón, che è non è monolitico, fa un lavoro
orizzontale ed è forte tra i disoccupati delle zone di Solano, Quilmes e di
altri quartieri della periferia di Buenos Aires, e anche in alcune province del
sud".
Molte delle
divisioni tra i piqueteros si sono create anche grazie alle repressioni più
violente. Spiega Marcelo: "È vero, la repressione divide sempre, ma ci sono
esempi diversi. I partiti della sinistra ci criticavano aspramente perché
accettavamo i Planes trabajo, dicevano che così si resta interni al sistema. Ma
solo i Planes ci permettevano di sopravvivere qui, e poi adesso ogni partito
della sinistra ha creato il suo movimento dei disoccupati, che gestisce i Planes
in modo clientelare. D'Elia è riuscito ad avere dal giorno alla notte mille
Planes. La Ccc ne gestisce duemila. Loro fanno molte assemblee, ma quel che si
discute importa poco, conta solo chi vince l'assemblea".
Un altro
elemento di divisione riguarda il modo in cui attuare i "cortes de ruta": "Noi
dicevamo che non dovevano essere simbolici, e che le decisioni non potevano
essere tutte pianificate prima. Così hanno cominciato a isolarci, negoziando
separatamente con l'intendente della Matanza, ma hanno ottenuto solo di fermare
la crescita del movimento. Inoltre, noi abbiamo sempre criticato la presenza dei
bastoni nei 'cortes'. A volte dicevamo: ma se non c'è neanche la polizia, perché
volete portare i bastoni? Servono forse dentro il movimento?".
Rosa Maria ha
ascoltato con con attenzione le parole di Lili e del Gaucho senza intervenire.
"Preferisco che parliate direttamente. È utile anche a me ascoltare la
ricostruzione di una storia che ho vissuto dal di dentro", ci aveva detto prima
di arrivare a Nicole. Il suo è un lavoro pesante, e non solo per le condizioni
ambientali, la mancanza di mezzi elementari o la difficoltà di far avanzare un
progetto non emergenziale sulla salute. Ci sono anche i confronti aspri sui modi
di fare le cose. "Non sai quante volte sono venuta via piangendo da Nicole",
confesserà nel lungo viaggio in autobus verso Buenos Aires. Uno degli elementi
che hanno provocato accese discussioni è stato il microcredito, una buona prassi
per gran parte delle Ong italiane che però non ha trovato il consenso di quelli
di Nicole.
"Non abbiamo
accettato l'idea della microimpresa - chiarisce El gaucho - perché puntiamo a
tre assi fondamentali: l'auto-organizzazione della vita della società, la
resistenza e la produzione, che per ora è la panetteria. Se l'occupazione deve
restare nelle mani dei lavoratori, dobbiamo generare noi le fonti di lavoro in
forma non capitalista. Per questo siamo convinti, a differenza di altri
disoccupati, che non basti impegnarsi sui Planes o i 'cortes de ruta'. Forse,
bisognerebbe pensare anche a una nuova idea della politica, ma i partiti si
ostinano a credere che l'appartenenza e l'identità debbano venire prima dei
progetti. E poi la linea di un partito non può essere imposta ai movimenti
sociali. È in questo modo che hanno creato tante divisioni tra i disoccupati. Io
e molti altri qui non votiamo da anni, pensa che l'ultima volta che l'ho fatto,
nel 1989, ho votato Menem. Diceva che non dovevamo pagare il debito estero e
predicava la 'rivoluzione produttiva', a me sembravano cose giuste, figurati. Ci
è capitato spesso, nelle assemblee, di trovarci d'accordo con compagni iscritti
a partiti di sinistra, ma i partiti hanno gli apparati, che poi riescono sempre
a persuadere, o talvolta a ricattare, i militanti".
Come i Sem
terra brasiliani
El Gaucho ha
sentito dire che i Sem terra brasiliani decidono in autonomia le loro mosse,
senza seguire la linea del Pt, e poi portano il loro contributo alla sua
strategia. "Mi sembra una buona idea. Prendi quel che è accaduto in Argentina il
19 e 20 dicembre, è stata una 'pueblada'. Non c'erano strategie politiche che
l'avevano pensato e diretto, eppure ha cambiato il volto del paese. Il problema
dell'Argentina di oggi è che la resistenza popolare non può essere organizzata e
canalizzata dentro parametri politici. Si dice spesso: in Ecuador c'è Gutiérrez,
in Venezuela Chávez, in Brasile Lula, ma in Argentina chi c'è? In Argentina c'è
la 'crisi economica', che non è esattamente un punto di riferimento politico. A
dicembre siamo andati anche noi a Plaza de Mayo ma in forma individuale. I
protagonisti della rivolta del 20 sono stati i giovani della cosiddetta classe
media, che hanno fatto emergere due grandi novità: le forme organizzate di
democrazia di quartiere, le asambleas, e la militanza politica non organizzata.
La lotta veniva dal basso, come dicono gli zapatisti, nasceva spontanea. Nel 26
giugno [vedi Carta n.26, ndr] invece si è espresso un altro processo, nato
anch'esso dal basso, quello delle forme di autogestione, delle fabbriche
recuperate, dei processi produttivi solidali. L'assassinio di Maxi Costeki e
Dario Santillán porta alla luce tutto questo, che però si preparava da tempo.
Oggi, forse, è arrivato il tempo di chiedersi se mettere in piedi mille
panetterie, autoproduzioni di farmaci di base sia di per sé sufficiente per un
cambio reale".
Compreremo
scarpe buone
Marcelo cita
un articolo uscito sull'edizione argentina di Le Monde Diplomatique, dedicato
appunto "alla crisi". Stupiti, domandiamo: "Non avrete mica un'edicola, a Nicole?".
"No, sono stato a Buenos Aires, dovevo comprare delle medicine. Per noi la
stampa è troppo costosa, così ho dovuto decidere se comprare il giornale o le
medicine e, come vedi, mi sono tenuto il raffreddore".
Il sole è
andato via da tempo, si è alzata una tremenda umidità e comincia a far freddo.
Prima di fermare il taxi, si fa per dire, che ci riporterà alla Ruta 3, c'è
tempo per un'ultima domanda: come si traducono le cose che avete raccontato
nell'organizzazione pratica della vita del barrio?
"Il quartiere
riflette la situazione generale argentina - risponde El Gaucho - Questo è un
luogo di esclusi, è nato per escludere persone. Lo si vede a livello collettivo
e nelle storie individuali di ognuno di noi. Qualcuno lavorava nelle piccole
imprese della zona, ma con la crisi hanno chiuso tutte. Raggiungere un luogo di
lavoro più lontano è impossibile senza trasporti pubblici. L'isolamento ci
impedisce persino di sperare nell'economia informale dei cartoneros o del
trueque. Qui adesso vedi qualche abitazione un po' più sistemata, ma per molto
tempo il solo pavimento era la terra e venti famiglie usavano un solo bagno
chimico. Tutto questo, l'esclusione, è in grado di generare una sola cosa: la
violenza. Eppure, continuiamo a lottare per il diritto di conquistarci una vita
degna di essere vissuta. Le grandi decisioni che riguardano il barrio si
prendono sempre in assemblea, ma in una microcomunità come questa le posizioni
si polarizzano facilmente e questo non giova alla democrazia. Dobbiamo lavorare
sul consenso e non bisogna esagerare con le assemblee, altrimenti diventano
strumenti vuoti. C'è sempre qualcuno che resta indietro, perché è pigro o magari
perché ha otto figli. Noi dobbiamo rispettare i tempi della crescita di tutti.
Negli anni di Menem, quelli del cambio uno a uno con il dollaro, molti argentini
potevano andare all'estero con un forte potere d'acquisto, ma in genere nemmeno
a chi era povero mancava da mangiare. La necessità di partecipare si sentiva
meno".
Oggi è
diverso? "C'è la fame e serve la partecipazione di tutti, anche di chi magari ha
'dormito' per anni. Adesso abbiamo la panetteria, presto acquisteremo delle
buone scarpe e andremo nei negozi dei quartieri vicini più commerciali a dire: o
comprate il nostro pane, oppure dovete darci degli alimenti. Non possiamo morire
di fame in un paese che produce cibo per una popolazione undici volte superiore
a quella che ha".
Carta-Almanacco
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