NOTICIAS DE ARGENTINA
GLOBAL ARGENTINA
Naomi
Klein da Buenos Aires
Come si celebra
l’anniversario di qualcosa che è impossibile definire? Questa è la domanda che
migliaia di argentini si sono posti il 20 dicembre 2002 mentre da tutti gli
angoli della città marciavano verso la storica Plaza de Mayo. Un anno fa cadeva
il primo “Argentinazo”, parola del tutto intraducibile in italiano. L’Argentinazo
non è stato esattamente una rivolta, anche se in tv sembrava averne tutta
l’aria, visti i supermarket saccheggiati, la polizia a cavallo che caricava la
folla, e le 33 persone uccise in tutto il paese. Non si è trattato neanche di
una rivoluzione, anche se dai giornali si sarebbe detto il contrario vista la
folla adirata che ha preso d’assalto la sede del governo, obbligando il
presidente a dimettersi.
Diversamente dalla classica rivoluzione, l’Argentinazo non è stato organizzato
da una forza politica alternativa che voleva prendere il potere. E diversamente
da quanto accade generalmente nel caso di una rivolta, la richiesta è stata
univoca e inequivocabile: l’immediata rimozione di tutti i politici corrotti che
si sono arricchiti mentre l’Argentina, una volta invidia del mondo in via di
sviluppo, precipitava in una spirale di povertà.
In realtà, l’Argentinazo è stato semplicemente ciò che la parola stessa
suggerisce: una caotica esplosione di “argentinità” durante la quale centinaia
di migliaia di persone hanno improvvisamente e di loro spontanea volontà
lasciato le proprie case, riversandosi nelle strade di Buenos Aires,
rumoreggiando e sbattendo pentole e padelle. Questa gente ha urlato contro le
banche, ha lottato contro la polizia, ha intonato cori da stadio calcistico,
riuscendo a far fuggire il presidente e obbligandolo a lasciare la sua residenza
a bordo di un elicottero. Nei 12 giorni seguenti, il paese è passato per cinque
presidenti e il suo debito ha toccato i 95 miliardi di dollari, il più grave e
grande ammanco della storia.
Un anno dopo, il 20 dicembre 2002, ancora una volta la Plaza de Mayo si è
riempita di gente. È chiaro quindi che si tratta di una giornata significativa.
Ma qual è esattamente la ricorrenza? Cosa si celebra esattamente?
La prima rivolta nazionale contro la globalizzazione corporativa? È l’inizio
dell’“Argentinazo: parte seconda”, un movimento militante che rimpiazzerà le
fallimentari ricette del Fondo monetario internazionale per lo sviluppo
economico con qualcosa di meglio?
Insomma, il 20 dicembre non è stato un giorno di celebrazioni esaltanti e
particolarmente convincenti. Al contrario, l’atmosfera era piuttosto lugubre e
triste, specie all’angolo fra Avenida de Mayo e Chacabuco, di fronte al quartier
generale dell’Hsbc, un grosso edificio di vetro nero di 28 piani. È su questo
pezzo di asfalto che lo scorso anno è caduto al suolo il ventitreenne Gustavo
Benedetto, ucciso da una pallottola che presumibilmente fu sparata da dentro la
banca. L’uomo accusato dell’omicidio di Benedetto - ripreso dalle telecamere del
circuito di sicurezza mentre sparava attraverso le vetrate della banca - è il
tenente Jorge Varando, capo della security dell’Hsbc argentina. Varando è anche
un ufficiale d’élite, ora in pensione, che fu attivo negli anni ’70 quando
scomparirono ben 30 mila argentini, molti dei quali prelevati a forza dalle loro
case, brutalmente torturati e poi gettati dagli aerei nelle acque del Rio de la
Plata.
Negli anni ’60 e nei primi anni ’70, l’Argentina era un paese non democratico,
governato dal succedersi di “juntas” che, quando permettevano elezioni limitate,
impedivano al popolare partito peronista di far concorrere i propri candidati.
Fu in questo contesto che gli studenti di sinistra e i lavoratori, stimolati da
Juan Perón, che allora viveva in esilio in Spagna, iniziarono a organizzare
gruppi per la lotta armata. La fazione più grande era quella dei Montoneros,
guerriglieri urbani che presero in prestito la politica populista da Evita Perón
e le tattiche militari da Che Guevara. Sebbene queste cellule non abbiano mai
rappresentato una seria minaccia per la sicurezza nazionale, l’esercito
argentino ha sfruttato una serie di attacchi della guerriglia contro obiettivi
militari ed economici come scusa per dichiarare una campagna contro la sinistra:
i generali l’hanno chiamata “la guerra al terrore”, la storia l’ha definita “la
guerra sporca”.
Fra il 1976 ed il 1983, l’Argentina è stata governata da un regime militare
distorto che combinava il controllo sociale cattolico fondamentalista con
l’economia fondamentalista neoliberale, proibendo la musica rock e allo stesso
tempo rastrellando miliardi in prestiti e investimenti dalle banche straniere e
dalle multinazionali. I generali l’hanno considerata una sorta di missione che
doveva ripulire ogni scuola, luogo di lavoro, chiesa e quartiere da pensieri
marxisti o in generale “sovversivi”. E hanno reputato di avere diritto al
profitto personale; si sono presi il meglio dalle casse dello Stato e hanno
anche privato coloro che torturavano e uccidevano dei propri averi, delle
proprie case, e persino dei propri figli.
Ancora oggi i generali negano quasi ogni cosa e, grazie a un indulto ufficiale
dello Stato, gli assassini di quell’epoca sono in libertà. Ma i gruppi per i
diritti umani argentini hanno scoperto che l’uomo che l’Hsbc aveva messo a capo
delle proprie operazioni di sicurezza era un presunto criminale di guerra. Un
resoconto della Commissione interamericana per i diritti umani completato nel
1989 definisce Jorge Varando personalmente responsabile della scomparsa di
almeno due prigionieri durante la guerra sporca. Grazie all’indulto, Varando non
è mai stato processato. Ma oggi, 30 anni dopo, è in prigione accusato
dell’omicidio di Benedetto.
All’angolo fra Avenida de Mayo e Chacabuco, dove la facciata di vetro della Hsbc
è ora rinchiusa in una struttura di acciaio rinforzato, si confrontano il
passato e il presente dell’Argentina. Il presunto assassino di Benedetto
lavorava per una banca straniera, una di quelle che hanno fagocitato i risparmi
di milioni di argentini quando il governo ha dichiarato il congelamento dei
fondi all’inizio di dicembre del 2001. Mentre i conti correnti bancari erano
bloccati, il peso veniva svincolato dal dollaro americano e la valuta era in
caduta libera. Quando, un anno dopo, il congelamento dei fondi bancari venne
parzialmente sbloccato e la gente fu nuovamente in grado di prelevare soldi dai
propri conti correnti bancari, quei risparmi avevano perso due terzi del loro
valore.
Sebbene le banche (anche la Hsbc) incolpino il governo per il congelamento, tale
misura fu di fatto una risposta al fatto che l’anno precedente, nel giro di
pochissimo tempo, le banche private avevano prelevato e fatto uscire dal paese
circa 20 miliardi di dollari per lo più non tassati. Questa fuga di capitali è
continuata per tutto il 2002, e dal paese sono usciti altri 9 miliardi di
dollari nonostante il congelamento. La Hsbc è stata al centro della
controversia: un momento particolarmente drammatico fu quando, alla fine dello
scorso gennaio, la polizia effettuò un’incursione presso la Hsbc e alcune altre
banche dopo aver scoperto che queste, due mesi prima, avevano utilizzato
centinaia di veicoli blindati per trasportare montagne di dollari americani in
contanti, non dichiarati, all’aeroporto Ezeiza, proprio prima che avvenisse il
congelamento. I revisori dei conti del governo argentino hanno cercato di
rintracciare questi fondi e un giudice della Corte Federale, invocando una legge
argentina che vieta la “sovversione economica”, ha ordinato alle banche di
aprire i loro registri. La Hsbc ha fatto resistenza e, alla fine, insieme ad
altre banche straniere ha manovrato con successo affinché la legge venisse
cancellata dal Senato.
Gustavo Benedetto è stato solo una delle 33 persone morte di morte violenta
durante l’Argentinazo. Ma la sua vicenda, ossessionata dai fantasmi della storia
così inequivocabilmente moderna, è diventata un simbolo per un paese che sta
cercando di dare un senso a una crisi economica che sembra non avere fine. Come
è possibile che in un paese ricco e abbondante di risorse che un tempo sfamava
la maggior parte dell’Europa e del Nord America, oggi muoiano di fame 27 bambini
ogni giorno? Come può un paese in cui gli operai delle fabbriche potevano un
tempo comprarsi case e automobili, avendo i salari più alti di tutta l’America
latina, ritrovarsi oggi il tasso di disoccupazione più elevato del continente e
il salario medio più basso di quello del Messico? Gustavo Benedetto pensava che
il suo governo dovesse delle risposte a queste domande. Ecco perché è sceso in
piazza quel giorno.
«C’era una volta un paese chiamato Argentina», ha scritto recentemente il
giornalista Sergio Ciancaglini, «in cui sono scomparse molte persone e in cui,
anni dopo, sono scomparsi anche i soldi. Una cosa è collegata all’altra».
Ciancaglini sostiene che chiunque voglia comprendere appieno l’odierna crisi
dell’Argentina debba prima guardare agli orrori del passato. Cosa che è stata
fatta da alcuni gruppi di persone, che hanno intrapreso una sorta di missione
investigativa nazionale alla ricerca di prove sull’intreccio che c’è stato tra
gli interessi economici della dittatura con la politica finanziaria che ha
mandato l’economia in rovina anni dopo. La convinzione - diciamo pure la
speranza - è che quando questi pezzi verranno messi insieme, l’Argentina potrà
finalmente rompere il ciclo di terrore e saccheggio che ha schiavizzato questo
paese, come tanti altri, per troppo tempo.
Gustavo Benedetto amava leggere libri di storia e di economia. Secondo sua
sorella maggiore Eliana, «voleva capire come un così grande paese potesse essere
finito in una tale confusione». Benedetto sognava di diventare professore di
storia, ma in tempi migliori e più ottimistici. Con la morte del padre, a marzo
del 2000, Benedetto dovette cercarsi un lavoro per mantenere madre e sorella.
Era un brutto periodo per cercare lavoro. A La Tablada, il sobborgo
post-industriale dove vive la famiglia Benedetto, la maggior parte delle
fabbriche erano state chiuse. Il lavoro migliore che Gustavo riuscì a trovare fu
in un supermercato del centro commerciale di zona.
Almeno aveva un lavoro. Quando l’Argentina è esplosa un anno fa, la
disoccupazione era oltre il 20 per cento e metà della popolazione viveva al di
sotto della soglia di povertà.
Sebbene il mondo dei media abbia scoperto la crisi argentina solo di recente, in
quartieri come La Tablada è un fatto di vita da almeno sei anni, da quando cioè
il paese è stato preso a modello dal Fondo monetario internazionale come
miracolo di crescita economica, come esempio dei ricchi che aspettano che le
nazioni povere spalanchino le loro porte agli investimenti stranieri.
Stranamente, quando l’Argentina ha avuto meno ricchezza sulla carta, meno
argentini hanno sofferto la fame. I fattori economici che hanno contribuito a
questo cambiamento sono molti e complessi, dai mutamenti nel settore
dell’esportazione agricola al ribasso dei salari nell’industria. Ma a giocare un
ruolo sono stati anche cambiamenti più semplici, ad esempio il fatto che in
tempo di difficoltà i piccoli mercati di quartiere erano soliti vendere cibo a
credito, una piccola grazia del tutto scomparsa quando l’Argentina si è
trasformata in una vetrina della globalizzazione e ha rimpiazzato quei piccoli
negozietti con ipermercati stranieri grandi come templi aztechi, dai nomi come
Carrefour, Wal-Mart, e Dia, e la catena spagnola in cui Benedetto è alla fine
riuscito a trovare un lavoro.
Così probabilmente non fu una coincidenza che nei giorni che precedettero l’Argentinazo,
molti di questi ipermercati si ritrovarono sotto assedio, saccheggiati da folle
di disoccupati. Quando Gustavo Benedetto si presentò al lavoro alla Dia la
mattina del 19 dicembre, l’atmosfera era insopportabilmente tesa: nessuno sapeva
se il proprio negozio sarebbe stato il prossimo ad essere preso d’assalto dalla
folla affamata e adirata. Il manager del supermercato decise di chiudere presto
quel giorno.
Quando Benedetto tornò a casa, accese la tv e vide un paese in piena rivolta. La
protesta era esplosa ovunque. Tutto il giorno e tutta la notte, Benedetto
saltava da un canale all’altro, ma alle 22 e 40 del 19 dicembre ogni canale
trasmetteva la stessa immagine: il presidente Fernando de la Rua, teso e sudato,
mentre leggeva un discorso. L’Argentina, disse, è sotto l’attacco di «gruppi
nemici dell’ordine che cercano di seminare discordia e violenza». E dichiarò lo
stato di assedio.
Per molti argentini, la dichiarazione suonò come un preludio al colpo militare.
Benedetto guardava le immagini dal vivo di Plaza de Mayo che si riempiva di
gente. La folla suonava pentole e padelle con cucchiai e forchette, un muto ma
rumoroso biasimo delle istruzioni presidenziali: gli argentini non avrebbero
rinunciato alle libertà fondamentali in nome dell’ordine. Ci avevano provato in
passato ed era finita male. Un unico grido di rivolta si alzò dalla folla fatta
di nonne, studenti liceali, mercanti, corrieri in motocicletta e operai
disoccupati, un grido rivolto ai politici, ai banchieri, al Fondo monetario
internazionale e a ogni altro “esperto” che aveva dichiarato di avere in tasca
la ricetta perfetta per un’Argentina prospera e stabile.
Quella notte Benedetto ebbe un sonno piuttosto agitato. Quando arrivò al lavoro,
la mattina seguente, il supermercato era completamente chiuso. Ritornò a casa,
accese di nuovo la televisione e sentì un impulso che non aveva mai sentito
prima: voleva prendere parte a una manifestazione politica. All’improvviso
Gustavo, un ragazzo calmo e tranquillo che mai nella sua vita aveva protestato,
saltò giù dal divano, spense la tv e disse alla madre che si sarebbe diretto
verso il centro della città.
Durante il tragitto verso la fermata dell’autobus Benedetto chiese ad alcuni
amici del quartiere La Tablada se volessero unirsi a lui. Ma non trovò nessuno
disposto a farlo: la maggior parte della gente che vive a La Tablada ne ha avuto
abbastanza della storia. Un atteggiamento questo sopravvissuto fino a oggi.
Gustavo Benedetto decise di rompere quella tradizione, ma non aveva modo di
sapere che le tattiche della dittatura stavano per tornare nelle strade di
Buenos Aires. Nelle due ore che gli ci sono volute per andare dalla sua casa di
periferia al centro della città, il capo della polizia diede l’ordine di
liberare la Plaza de Mayo. Inizialmente gli agenti antisommossa utilizzarono
pallottole di gomma e gas: una volta finite queste, usarono munizioni vere. La
polizia spingeva la folla verso l’Avenida de Mayo, ma questa tornava indietro.
Alle 16 e 30 circa, un gruppo di 20 poliziotti era alla ricerca di un luogo
sicuro dove potersi rifugiare e ricaricare le armi. Scelsero l’atrio della Hsbc,
uno degli edifici più protetti della città, visto che ospita anche l’ambasciata
israeliana.
Una manciata di dimostranti (meno di cinque persone secondo i documenti della
corte) si staccò dal fiume di folla che si stava dirigendo verso Plaza de Mayo e
cominciò a tirare pietre verso la banca. Un uomo spaccò una delle vetrate. La
polizia e le guardie della sicurezza si fecero prendere dal panico e
cominciarono a sparare. Secondo le prove raccolte dal tribunale, in quattro
secondi una raffica di almeno 59 proiettili fu sparata dall’interno della banca
verso la strada affollata. Proprio in quel momento Gustavo Benedetto, che da
meno di un’ora camminava tutto solo verso il centro, si trovava a girare
sull’Avenida de Mayo. Era a parecchi metri di distanza dalla banca, con le
spalle all’edificio in questione quando un proiettile calibro 9 lo ha colpito
alla nuca. È morto sul colpo.
Le telecamere del sistema di sorveglianza della Hsbc, utilizzate come prove
giudiziarie, mostrano chiaramente gli ufficiali di polizia e della security
mentre sparano attraverso la vetrata della banca. Questa prova schiacciante ha
portato a qualcosa di raro negli annali della giustizia argentina: l’arresto di
un ex militare per omicidio di primo grado. Ha anche provocato uno scandalo che
ha coinvolto non solo uno dei più famosi ed elitari investitori stranieri, ma
anche la seconda più importante banca al mondo per profitto. Secondo Global 500
della rivista “Fortune”, l’anno scorso la Hsbc Holding ha avuto entrate per 46,4
miliardi di dollari e profitti per 5,4.
Jorge Varando è un prodotto della School of the Americas, un campo di
addestramento alle tecniche della controguerriglia che si trova nel sud degli
Stati Uniti. Nella sua testimonianza Varando ha dichiarato di non aver sparato a
Benedetto. Secondo lui, infatti, il proiettile che ha ucciso non proveniva
dall’interno della banca. Varando ha ammesso di aver sparato attraverso la
vetrata: e di averlo fatto «in totale tranquillità» e «per fermare coloro che
stavano cercando di entrare nell’edificio».
La Hsbc si è rifiutata di commentare il caso, tuttavia non ha cambiato la
società di security ed è attivamente coinvolta nella difesa di Varando
dall’accusa di omicidio. Quando la corte ha messo in scena una ricostruzione
dell’omicidio, combinando la videocassetta di Varando che sparava con il luogo
in cui Benedetto è stato ucciso, Varando era rappresentato da uno degli avvocati
della Hsbc. Nel corso della ricostruzione è sembrato evidente che qualcuno
avesse cambiato l’angolazione della telecamera del sistema di sicurezza,
rendendo estremamente difficile far combaciare la ricostruzione con la sequenza
originale di Varando che spara attraverso il vetro. La banca sostiene che
l’angolazione della telecamera sia stata cambiata durante una pulitura di
routine. Il caso ha suscitato ulteriore scandalo quando, il 20 novembre intorno
alle ore 15, due ufficiali della polizia federale sono stati sorpresi in un
video fuori dalla Hsbc mentre con un piede di porco rimuovevano una targa
commemorativa dedicata a Benedetto. La targa era stata messa sul marciapiede da
amici e familiari alcune ore prima.
Fino a tempi piuttosto recenti, l’Argentina ha perseguito una politica di
ufficiale amnesia in materia di crimini risalenti alla guerra sporca. Certo, le
Ong per i diritti umani pubblicavano ancora mordaci resoconti, le Madri della
Plaza de Mayo marciavano e i figli dei genitori scomparsi si facevano ancora
vivi di tanto in tanto fuori dalle case degli ex-militari per gettare vernice
rossa. Ma prima dell’Argentinazo, la maggior parte della borghesia trattava
questi temi come macabri rituali di un’altra era. E se questa gente non avesse
avuto memoria? Il paese sarebbe “andato avanti”. O almeno è quanto avrebbe
dovuto fare, secondo l’ex presidente Carlos Menem.
Menem, un liberista che può essere considerato come la sintesi argentina tra
l’inglese Margaret Thatcher e l’italoamericano John Gotti, fu eletto la prima
volta nel 1989, quando l’economia argentina era in recessione e l’inflazione
alle stelle. Menem sosteneva che molti dei problemi economici del paese fossero
derivati dai tentativi del suo predecessore di punire i generali della guerra
sporca. Al contrario Menem proponeva un approccio diverso. Invece di tornare
indietro, verso l’inferno di tombe sconosciute e le bugie del passato,
l’Argentina avrebbe dovuto dimenticare
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