(tratto
da The Canterbury Tales di Geoffrey
Cahucer.)
Scritto
e diretto da Pier Paolo Pasolini
Fotografia
Tonino Delli Colli; scenografia Dante
Ferretti; costumi Danilo Donati; musica
scelta da Pier Paolo Pasolini con la collaborazione e l’elaborazione di
Ennio Morricone; montaggio Nino
Baragli; aiuti alla regia Sergio
Citti, Umberto Angelucci; assistente alla
regia Peter Shepherd.
Interpreti
e personaggi Hugh Griffith (Sir January); Laura Betti (la donna di Bath);
Ninetto Davoli (Perkin il buffone); Franco Citti (il diavolo); Alan Webb (il
vecchio); Josephine Chaplin (May); Pier Paolo Pasolini (Geoffrey Cahucer).
Produzione
PEA Produzioni Europee Associate, Roma;
produttore Alberto Grimaldi; pellicola
Kodak Eastmancolor; formato 35 mm,
colore; macchine da ripresa: Arriflex;
sviluppo e stampa Technicolor; sincronizzazione
Cinefonico Palatino; missaggio Gianni
D’Amico; distribuzione United
Artists Europa.
Riprese
settembre-novembre 1971, interni Safa
Palatino, Roma, esterni Canterbury,
Abbazia di Battle, Warwick, Maidstone, Cambridge, Bath, Hastings, Lavenham,
Rolvenden (Inghilterra); Etna (Sicilia); durata
110 minuti.
Prima proiezione XXII Festival di Berlino, 2 luglio 1972; premi Orso d’oro al XXII Festival di Berlino
I
racconti di Canterbury
è il secondo film di quella che lo stesso regista definì la Trilogia della
vita. Il riferimento è, questa volta, alle novelle di Geoffrey Chaucer, del
quale nel film Pasolini stesso ricopre il ruolo.
Su
alcuni aspetti relativi alle origini letterarie del film, il regista risponderà
così in un’intervista: “I racconti di Canterbury sono stati scritti
quarant’anni dopo il Decameron ma i rapporti tra realismo e dimensione
fantastica sono gli stessi, solo Chaucer era più grossolano di Boccaccio;
d’altra parte era più moderno, poiché in Inghilterra esisteva già una
borghesia, come più tardi nella Spagna di Cervantes. Cioè esiste già una
contraddizione: da un lato l’aspetto epico con gli eroi grossolani e pieni di
vitalità del Medioevo, dall’altro l’ironia e l’autoironia, fenomeni
essenzialmente borghesi e segni di cattiva coscienza”.
All’inizio
del film, Chaucer/Pasolini si unisce idealmente ai molti pellegrini diretti
all’Abbazia di Canterbury; in seguito Pasolini rappresenterà il narratore
che, all’interno di uno studio, penserà e scriverà i racconti, non senza
muti ammiccamenti ironici e maliziosi, costituendo di fatto il raccordo tra una
novella e l’altra.
Pasolini
affronta poi con grande ironia e senso del grottesco i temi della violenza
esercitata dalla ricchezza, e dell’immoralità del potere. La sgradevolezza
dei personaggi dei ceti “alti” è messa in particolare risalto da un trucco
molto pesante, carico, volgare.
La
musica si richiama a canzoni popolari inglesi medievali e rinascimentali.
Riappare la famosa canzone napoletana Fenesta ca lucive (già utilizzata
in Decameron) – che parla della morte improvvisa di una giovane donna
– quasi a costituire un ulteriore richiamo al tema della morte.
Una delle regole più rigorose, nei film di Pasolini, è quella di eseguire un doppiaggio integrale.
Il tema sessuale, carnale, corporeo, occupa totalmente la scena: sarà uno degli elementi di provocazione del film che verrà subito raccolto dai difensori di un ipocrita quanto diffuso senso comune della morale e del pudore. Le denunce per pornografia e oscenità fioccheranno sul film fin dalla sua apparizione nelle sale di proiezione italiane.
Il film richiese nove settimane di riprese in Inghilterra e un lungo lavoro di montaggio e di doppiaggio.