
Dov’è finita la competenza plurilingue
e pluriculturale?
Anna Maria Curci*
Quali scenari si aprono per l’educazione linguistica
nella scuola primaria disegnata dalla riforma Moratti? Proverò
a rispondere a questa domanda con gli strumenti propri di chi opera
nel campo della glottodidattica, vale a dire innanzitutto con l’analisi
dettagliata di parole chiave e termini ricorrenti nelle Indicazioni
Nazionali per i Piani di Studio Individualizzati. Tale glossario
critico, punto centrale di queste mie riflessioni, sarà tuttavia
preceduto da alcune considerazioni di carattere sistemico e seguito
da una fiaba – quel genere improvvisamente scomparso dalla scuola
primaria, come ha sottolineato puntualmente Ermanno Detti nel suo
contributo – che mi auguro, com'è compito di una fiaba che
si rispetti, possa incoraggiare i docenti a superare il trauma di
questa riforma calata dall’alto e non certo 'cresciuta con noi'
e a trarre vigore dall’esempio di buone pratiche, e allo stesso
tempo ispirare i responsabili di decisioni nell’ambito della politica
scolastica all’emulazione di un modello virtuoso.
Chi mi ha preceduto in questo dibattito ha saputo magistralmente
sottolineare contraddizioni e sostanziali (intenzionali?) fragilità
del sistema; penso in particolare al contributo di Vittorio Cogliati
Dezzi. Mi limito dunque in apertura a evidenziare quali elementi,
se fossero stati presenti nell’intero impianto della riforma, avrebbero
potuto contribuire allo sviluppo di una scuola vista come 'organismo
che apprende' (W. Wiater, La teoria dell’insegnamento, in:
Gerwald Wallnöfer (a cura di), La sfida dell’insegnare.
Il modello di Bressanone per la formazione degli insegnanti,
Bolzano 1999, p. 75). Wiater ha affermato che lo sviluppo di un’organizzazione
è "un processo di sviluppo e cambiamento dell’organizzazione
come sistema complessivo e degli individui che operano in essa progettato
a lungo termine; si tratta dell’apprendimento di esseri e sistemi
umani. Un aspetto centrale di questo apprendimento è il coinvolgimento
diretto di tutti i componenti dell’organizzazione e l’attivazione
della loro esperienza pratica. L’obiettivo è duplice:
-
miglioramento della capacità di prestazione dell’organizzazione
(incremento di efficienza);
-
miglioramento della qualità della vita lavorativa (incremento
di umanità)" (Wiater 1999, pp. 74-75).
Tale obiettivo può essere raggiunto se si combatte lo scetticismo
nei confronti del proprio imparare, dell’imparare insieme, del reimparare.
Questo può riuscire, secondo Senge (P. M. Senge, Die fünfte
Disziplin. Theorie und Kunst der lernenden Organisation, citato
in Wiater 1999, p. 75) se si rispettano queste cinque regole:
-
ogni interessato deve imparare a migliorare le proprie capacità
per poter raggiungere risultati migliori;
-
ogni interessato deve rivedere criticamente e costantemente
le sue immagini interiori, le sue teorie soggettive riguardo
alla sua attività, il suo ambiente, i suoi colleghi;
-
ogni interessato, insieme a tutti gli altri, deve sviluppare
idee su come l’organizzazione potrebbe lavorare meglio nel futuro;
-
nell’organizzazione va costruita l’abitudine a lavorare insieme
e ai comportamenti comunicativi unificanti, cioè l’apprendimento
in squadra;
-
pensare e agire in modo sistemico è imprescindibile
per il miglioramento qualitativo dell’organizzazione.
Rispettare queste cinque regole richiede a mio
parere da parte del docente anche e soprattutto una capacità
di lettura attenta dei documenti della riforma Moratti, sia di quelli
cosiddetti ‘orientativi’, sia di quelli che hanno un carattere vincolante
vero e proprio. Se vogliamo cogliere la sfida dell’autonomia per
operare quel salto di qualità, di cui parla Bruno D’Amore
nel suo contributo, se vogliamo evitare anche il pericolo della
difesa a oltranza di un sistema che va comunque riformato – ma la
riforma Moratti non è la prima legge dello Stato di riforma
scolastica da Gentile in poi! –, se vogliamo in altre parole non
cadere nella trappola di un rifiuto tendenziale di qualsiasi riforma,
abbiamo il diritto/dovere di confrontarci criticamente con le parole
di questa riforma. Mi accingo a farlo con una selezione di
termini, raccolti leggendo le Indicazioni e le Raccomandazioni.
Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Individualizzati
per la Scuola Primaria e le Raccomandazioni per la loro
attuazione fanno spesso ricorso a una terminologia poco familiare
ai docenti e che sembra allontanarsi intenzionalmente dalle parole
chiave della didattica e della metodologia, accreditate anche nei
documenti europei – dal Libro Bianco al Portfolio Europeo delle
Lingue –, passando per il Quadro Comune Europeo di Riferimento per
le Lingue. Solo una lettura più approfondita, che deve talvolta
ricorrere tuttavia a tecniche di decodifica degne di appassionati
enigmisti e risolutori di sciarade, consente di riconoscere il debito,
purtroppo ben raramente riconosciuto, nei confronti di concetti
e principi che hanno caratterizzato la ricerca metodologica e didattica
in Italia e in Europa. Procediamo dunque in ordine alfabetico.
Abilità disciplinari – Le Indicazioni
relative alla scuola primaria introducono il termine in questo contesto:
"Al termine della classe prima, la scuola ha organizzato
per lo studente attività educative e didattiche unitarie
che hanno avuto lo scopo di aiutarlo a trasformare in competenze
personali le seguenti conoscenze e abilità disciplinari".
Sembrerebbe dunque che, disciplina per disciplina, nella progressiva
declinazione degli obiettivi specifici, le abilità siano
da individuare nella colonna di destra. Per la lingua inglese, troviamo
formule del tipo 'Presentarsi', 'Rispondere a un saluto', che sembrano
riferirsi piuttosto a funzioni; 'identificare colori', che allude
a nozioni, peraltro abbinate con una attività, 'abbinare
colori'. Nella didattica delle lingue, s'intende con il termine
di abilità l’insieme delle prestazioni legate agli usi ricettivi
e produttivi della lingua. Alle tradizionali quattro abilità
linguistiche (di ricezione: comprensione alla lettura e all’ascolto;
di produzione: scrivere, parlare) il Quadro Europeo di Riferimento
ha affiancato le abilità di interazione e mediazione. Quest'accezione
del termine 'abilità' rimane, nel migliore dei casi, implicita
nelle Indicazioni.
Attività comunicative. Addentrandosi
nella lettura delle Raccomandazioni, scopriamo finalmente,
nella parte relativa al secondo biennio, un’improvvisa e isolata
menzione delle "indicazioni del Consiglio d’Europa", proprio a proposito
delle attività comunicative: "Pertanto la gamma di attività
comunicative coinvolte si amplia e consente una scansione completa
che rispecchia le indicazioni del Consiglio d'Europa. La produzione
orale e scritta a questo livello parte sempre dall’imitazione di
modelli dati e consente un reimpiego più consapevole di espressioni
linguistiche apprese come automatismi nei tre anni precedenti" (p.
37). Resta aperto l’interrogativo sul perché questo riferimento
rimanga, appunto, isolato.
Capacità – Le Raccomandazioni
forniscono questa spiegazione del termine: "Per capacità
si intende una potenzialità e una propensione dell’essere
umano, nel nostro caso del fanciullo, a fare, pensare, agire in
un certo modo. Riguarda ciò che una persona può
fare, pensare e agire, senza per questo aver già trasformato
questa sua possibilità (poter essere) in una
sua realtà (essere)" (p. 7). S'insinua a questo punto
il dubbio che non solo si voglia evitare il riferimento diretto
ai documenti del Consiglio d’Europa e di parlare dunque, molto semplicemente,
di saper essere, ma anche che si confonda ‘capacità’
con ‘attitudine’, ovvero la predisposizione innata rispetto all’acquisizione
di una particolare conoscenza o abilità.
Comparazione – Se il concetto, centrale
nel Quadro Comune Europeo di Riferimento, di 'competenza plurilingue
e pluriculturale' sembra volutamente ignorato, non ci sembra appaia
neanche il termine 'educazione linguistica integrata'. Si pone l’accento,
è vero, sulla 'unità dell’educazione', ma tutto ciò
resta vago e comunque insufficiente a sostenere concettualmente
e a declinare dal punto di vista metodologico-didattico la scelta,
che ci trova ovviamente d’accordo, dell’inserimento della lingua
straniera sin dal primo anno della scuola primaria e di una seconda
lingua comunitaria nella secondaria di primo grado. Resta comunque
una forte perplessità riguardo alla scelta dell’inglese come
unica opzione per la Scuola Primaria.
Laboratori – Come già avvenuto per
le attività comunicative, anche per il Laboratorio di Lingue,
inteso come 'modalità di insegnamento/apprendimento linguistico",
spunta un altro ‘convitato di pietra’, il modulo. Si legge
infatti a p. 38: "Nei bienni successivi, e in special modo nel secondo,
il Laboratorio potrà, invece, essere organizzato in moduli
gerarchizzati per difficoltà e complessità. Precisamente,
potrà partire da moduli di 'compensazione' o di 'raccordo'
per gli alunni che non hanno raggiunto la padronanza attesa per
giungere a moduli di 'potenziamento' e di sviluppo per chi dimostra
il possesso di capacità d’eccellenza".
Sarà un lapsus sfuggito alla ‘rimozione’?
Portfolio delle competenze individuali – Le
Indicazioni ne precisano struttura e funzione. "Il Portfolio
delle competenze individuali comprende una sezione dedicata
alla valutazione e un’altra riservata all’orientamento.
La prima è redatta sulla base degli indirizzi generali circa
la valutazione degli alunni e il riconoscimento dei crediti e debiti
formativi (art.8, DPR 275/99)" (p. 7). Esso conterrà "annotazioni,
sia dei docenti, sia dei genitori, sia, se del caso, dei fanciulli"
e "seleziona in modo accurato:
-
materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo,
capaci di descrivere paradigmaticamente le più spiccate
competenze del soggetto;
-
prove scolastiche significative;
-
osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento
del fanciullo, con la rilevazione delle sue caratteristiche
originali nelle diverse esperienze formative affrontate;
-
commenti su lavori personali ed elaborati significativi, sia
scelti dall’allievo (è importante questo coinvolgimento
diretto) sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti
esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali;
-
indicazioni di sintesi che emergono dall’osservazione sistematica,
dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con lo studente
e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini
e agli interessi più manifesti" (p. 7).
Il Portfolio "è compilato ed aggiornato
dal docente coordinatore-tutor, in collaborazione con tutti
i docenti che si fanno carico dell’educazione e degli apprendimenti
di ciascun allievo, sentendo i genitori e gli stessi allievi, chiamati
ad essere sempre protagonisti consapevoli della propria crescita"
(p. 8). Ora, se il Portfolio è e deve essere "un’occasione
per migliorare e comparare le pratiche d'insegnamento, per stimolare
lo studente all’autovalutazione e alla conoscenza di sé in
vista della costruzione di un personale progetto di vita e, infine,
per corresponsabilizzare in maniera sempre più rilevante
i genitori nei processi educativi" (pp.7-8), perché la sua
compilazione è affidata al coordinatore-tutor? In quale misura
esso sarà accessibile ai genitori, e, soprattutto agli apprendenti?
Esiste un motivo per il quale non si faccia menzione del Portfolio
Europeo delle Lingue e dei numerosi progetti di implementazione
del PEL? Comunque sia, ciò comporta due ricadute negative:
la prima, già rilevata per molte altre parole chiave, è
di non voler riconoscere esplicitamente il ruolo dei documenti del
Consiglio d’Europa, l’altra, più concreta e immediata, è
di produrre confusione tra tutti gli attori della vita scolastica
tra due documenti, il Portfolio delle Competenze individuali e il
Portfolio Europeo delle Lingue, di fatto diversi e distinti.
Troppi interrogativi aperti, troppi nodi irrisolti e, soprattutto,
il sapore amaro di un’occasione perduta di crescita del sistema
scolastico italiano. Rispondo al quesito espresso in apertura, affermando
che gli scenari che si possono schiudere sono confusi, se non addirittura
caotici, senza dimenticare che i primi a far le spese di tutto ciò
saranno proprio quei bambini che già per censo o provenienza
culturale sono in condizioni di svantaggio. Con l’obiettivo di risollevare
dall’umano, troppo umano, dolente ma sterile senso di sconfitta
(della cultura, intendo), mi accingo ora a narrare la fiaba promessa
in apertura, fiaba per noi, realtà concreta per alcuni nostri
concittadini europei.
Nel minuscolo stato di Andorra, l'unica scuola statale esistente
ha messo in pratica un progetto che vale la pena di prendere in
esame. In alternativa alle già esistenti scuole spagnola
(castigliana) e francese, 20 anni fa docenti e genitori hanno costruito
insieme un curriculum per la scuola di base che prevede l'inserimento
del bambino nel segmento pre-scolare all'età di 2 anni e
mezzo. Lingua di comunicazione: catalano (lingua ufficiale di Andorra).
Dopo due anni, interviene la lingua spagnola (castigliano) e – sempre
con l'approccio di éveil au langage, language awareness
–, dopo altri due anni, la lingua francese, il cui inserimento coincide
dunque con l'inizio dell'età scolare. Ad ambiti di apprendimento
diversi corrispondono lingue diverse (per esempio: educazione all'immagine
in francese, matematica in spagnolo). Condizione per il successo:
reale codocenza tra l'insegnante di catalano e francese, di catalano
e castigliano. Sempre a distanza di due anni, interviene l'inglese.
L’apprendente andorrano, all’età di 12 anni, dunque al termine
della scuola di base, ha avuto la possibilità di incontrare,
assaggiare, avvicinare, sperimentare ben quattro lingue europee.
Chissà che la lettura di questa fiaba non ispiri qualcuno
a ritornare in Europa …
*Docente di lingua tedesca e membro
della segreteria nazionale di Lingua e Nuova Didattica (LEND)
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Commenti
Piani di studi personalizzati? Unità di
apprendimento? Quanti saranno gli insegnanti in grado di formularli?
Quanti, con la stessa logica che ha visto sostituire nei libri di
testo prima la parola capitolo con quella di sezione , poi la parola
capitolo con quella di unità didattica per giungere infine
alla parola modulo, porranno solo una nuova etichetta al contenitore
del loro "programma"?
Non ci sarà una giusta e vera riforma senza un'effettiva
formazione dei docenti!
A meno che non si voglia cambiare tutto per non cambiare niente.
Cordiali saluti. Elisabetta Conti.
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La riforma della scuola prende le sue
mosse, a partire dal segmento fondamentale dell'infanzia
e della prima adolescenza. Apriamo un dibattito attorno
ai contenuti previsti per tale fascia scolare, attraverso
il punto di vista di alcuni analisti della scuola e
delle discipline e i liberi commenti dei nostri visitatori.
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