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LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA



Si è conclusa in questi giorni una tappa di grande rilevanza del grande e complesso cantiere della costruzione europea: la cosiddetta “Convenzione” – un organismo di 62 membri, rappresentanti dei Governi, dei Parlamenti nazionali e del Parlamento Europeo, della Commissione – ha concluso l’intenso lavoro di redazione della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione”. 
Un processo largamente innovativo rispetto al passato, sia per l’aver fatto uscire dal segreto del negoziato diplomatico la materia, sia per l’aver associato i Parlamenti e consentito un largo e libero accesso alle componenti della società civile a tutte le tappe dell’elaborazione.
Oggi la palla passa al Parlamento europeo e soprattutto ai Governi, che dovranno dare entro il prossimo vertice di Nizza il loro benestare al documento di 53 articoli, quale nuova “pietra angolare” dell’Europa.
L’obiettivo di rafforzare e rendere più visibile per tutti i cittadini europei la protezione dei diritti fondamentali è certamente il cuore di questo processo, formalmente avviato con le decisioni di Colonia e Tampere, rispettivamente del giugno e dell’ottobre 1999, ma le cui radici sono un po’ più antiche.
Tra i molti appuntamenti e riferimenti del decennio passato, vogliamo ricordare che nel primo semestre del 1997 si tennero in tutti gli Stati membri le Conferenze nazionali promosse dalla Commissione Europea per invitare il terzo settore, il volontariato e l’associazionismo ad esprimersi in merito al Rapporto del Comitato dei saggi, dal titolo “Per una Europa dei diritti sociali e del cittadino”. In quel testo si leggevano, tra le altre, alcune proposte precise: 

  • “Approfondire le condizioni dell’emergere di una nuova generazione di diritti sociali e del cittadino…”
  • “Rafforzare la cittadinanza e la democrazia nell’Unione, trattando in modo indivisibile i diritti del cittadino e i diritti sociali”
  • “Compiere un primo passo, in occasione della prossima Conferenza intergovernativa, iscrivendo nei Trattati il fondamento dei diritti civili e sociali (‘Bill of Rights’), precisando quali di essi godano di una protezione giuridica immediata e quali rivestano un carattere più programmatico …”
  • “Prevedere un articolo del nuovo Trattato che avvii un processo ampio e democratico di elaborazione collettiva … di un elenco completo dei diritti e dei doveri sociali e del cittadino. …. Questo processo …. dovrà portare entro cinque anni ad una CIG”


La Conferenza nazionale italiana, nel suo comunicato finale, accogliendo con favore la relazione del Comitato degli esperti, indicava alcune priorità ed obiettivi: 

  • la proposta che tale Carta dei diritti fondamentali divenisse parte dei Trattati, con effetti  vincolanti, relativamente a quell’insieme di valori e responsabilità comuni che l’Unione considera imprescindibili e irrinunciabili, nella prospettiva di una futura Carta Costituzionale Europea;
  • la necessità di un pieno riconoscimento nel Trattato del ruolo di partner dei soggetti della cittadinanza attiva, anche attraverso la creazione di uno Statuto europeo delle associazioni, delle cooperative e delle mutue e l’istituto di forme di consultazione stabile con le istituzioni europee. 


Purtroppo, l’appuntamento del Trattato di Amsterdam fu sostanzialmente mancato e le prospettive precedentemente richiamate hanno dovuto cercare altri percorsi per non essere semplicemente archiviate. La Carta dei diritti fondamentali che ci viene oggi consegnata e il prossimo appuntamento della Conferenza intergovernativa di Nizza sono stati pertanto da molti individuati come una straordinaria occasione per riprendere con rinnovata lena quel cammino. 

Non sappiamo ancora se gli esiti di questo lavoro ci consentiranno di raggiungere quell’obiettivo ambizioso indicato dal Presidente Ciampi nel suo importante discorso a Lipsia degli inizi di luglio, che individuava  nella Carta “la fonte ultima della legittimazione delle istituzioni europee per i cittadini europei”. 
Siamo però certamente giunti ad una tappa importante, frutto di un percorso quanto mai difficile e controverso, con inevitabili compromessi tra le tante anime e le diverse culture dell’Europa, con un testo finale che certamente contiene alcuni sostanziali aspetti innovativi, come anche nodi più discutibili e assenze preoccupanti.
In linea generale, la stessa forma che va assumendo il documento – la brevità che si è voluta imporre al testo della gran parte degli articoli – rischia di fare apparire tale Carta come generica e meno incisiva, quando non ambigua, rispetto a documenti e dichiarazioni di cui già disponiamo e tra questi certamente alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 1950. 

Molti diritti riconosciuti nella Carta – in particolare quelli civili e politici - sono oramai dei diritti classici, già contenuti in altre importanti Dichiarazioni e Convenzioni e certamente patrimonio acquisito delle Costituzioni degli Stati europei.

A questi si aggiungono nuovi diritti e libertà, sia nel senso che la Carta getta nuova luce su diritti antichi, sia nel senso che regola diritti nuovi. Tra questi, si possono ricordare: il nuovo risalto dato al diritto alla vita , precisando che esso implica anche l’abolizione della pena di morte; il diritto all’integrità fisica e mentale di ogni persona, con i conseguenti divieti delle pratiche eugenetiche, della clonazione riproduttiva (ma non della cosiddetta clonazione terapeutica…), del fare del corpo umano e delle sue parti una fonte di lucro; il divieto della tratta degli essere umani; la riservatezza delle comunicazioni e la protezione dei dati a carattere personale; il diritto d’asilo, il diritto ad una buona amministrazione; la libertà di creare istituti di insegnamento, nell’ambito del diritto all’istruzione; i nuovi diritti per gli immigrati (dalle condizioni di lavoro equivalenti al divieto di espulsioni collettive); i diritti di categorie specifiche di popolazione (bambini, anziani, disabili, consumatori); il diritto all’obiezione di coscienza.
Senza poi dimenticare i diversi emendamenti che hanno significativamente ripreso taluni articoli relativamente ai diritti dei lavoratori, quali il diritto di sciopero, il diritto a non essere licenziato ingiustificatamente e il ruolo dell’associazionismo sindacale.

Restano tuttavia diversi elementi problematici di tutto rilievo, che richiamano con grande evidenza il permanere di elementi dirimenti di quelle culture che concepiscono i diritti solo in termini individualistici, con qualche sotterranea sfumatura orientata al mercato. Ne sottolineiamo solo quelli che a nostro avviso sono i più rilevanti.

  • Gli articoli inerenti la libertà d’impresa e la libertà di esercizio delle arti e della ricerca scientifica, sono proposti in maniera sostanzialmente unilaterale e scevri da limiti, mentre invece dovrebbero essere più esplicitamente vincolati almeno all’utilità sociale e alla dignità della persona.
  • Sulla famiglia si registra una formulazione dai connotati quanto mai ambigui che, di fatto, riconosce nella medesima formulazione sia il modello tradizionale di famiglia che altre forme di convivenza (coppie di fatto e omosessuali). E’ certamente comprensibile che sia difficile riproporre in ambito europeo quanto è oggi riferimento certo per i cittadini italiani e cioè il disposto dell’art 29 Cost., dal quale discendono anche i diritti e le misure di sostegno previsti dagli art. 30 e 31 Cost. Ma è legittimo attendersi che non vi sia perlomeno un arretramento rispetto al combinato disposto degli art. 8 e 12 della CEDU, dove la famiglia è ancorata al concetto di uomo e di donna che, a partire dall’età minima per contrarre matrimonio, hanno diritto di sposarsi e fondare una famiglia. 
 Quasi a titolo di compensazione, la Carta prevede peraltro un concetto nuovo, che è quello della conciliazione tra vita famigliare e vita professionale. Ma siamo di fronte ad uno svuotamento tale del concetto di famiglia che non solo offre ben pochi spazi per quei nuovi riconoscimenti da tempo invocati circa il basilare protagonismo sociale dell’istituto famigliare, ma ne mina sempre più il fondamentale ruolo di primario collante civile di ogni comunità umana.
  • E’ poi del tutto sintomatica la vicenda inerente l’eredita religiosa dell’Europa. La ferma opposizione francese ha fatto saltare questo esplicito riferimento dal preambolo della  Carta, che ora ripiega su una formulazione più sfumata “Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale ….”, con questo negando l’evidenza di un continente nel quale, pur nella pluralità della sorgenti culturali, il fatto religioso appartiene in modo decisivo al fondamento permanente e radicale dell’Europa e non riconoscendo così il prezioso apporto etico e culturale che le confessioni religiose danno alla costruzione dell’Europa, con questo negando infine che il senso del mistero e della trascendenza, così come si è storicamente manifestata e si manifesta nella storia dell’Europa, sia una dimensione costitutiva della persona.
  • Infine, nulla circa il riconoscimento delle formazioni sociali intermedie, rinunciando ancora una volta a dare rilievo giuridico ai principi organizzativi sociali della sussidiarietà e della solidarietà, a riconoscere, valorizzare e promuovere il ruolo delle istituzioni della cittadinanza attiva. Una prospettiva che è stata certamente e storicamente essenziale per quanto concerne i diritti di cittadinanza e  diritti civili e politici, ma che diventa dirimente per i diritti sociali ed economici, a meno che non si voglia fare pure affermazioni declamatorie. Una lacuna che contraddice in modo palese le molte aperture di segno opposto che si erano manifestate negli ultimi anni in sede europea. Una assenza del tutto sintomatica: non si riconoscono le istituzioni del sociale così come non si riconoscono le istituzioni attraverso le quali si organizzano le confessioni religiose, ma si riconoscono il ruolo e la missione dei partiti politici e dei sindacati (art. 12, commi 1 e 2 e art 27)


Da ultimo, la questione, ancora tutta da sciogliere, del valore giuridico che avrà questa Carta. 
Taluni sembrano già dare per scontato che non si potrà andare oltre una dichiarazione politica sottoscritta dai capi di Stato e di governo, abbandonando qualunque prospettiva di inclusione nei trattati. Il testo della  Carta, del resto, già stabilisce, per rassicurare i molti euroscettici, che essa non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati ed in questo limita indubbiamente la portata di quei diritti contenuti nella Carta che hanno un carattere programmatico e tra questi segnatamente quelli economici e sociali.
Si tratta di un nodo che merita ancora qualche riflessione da parte dei nostri governi e parlamenti e che non può essere accolto senza colpo ferire.
Non possiamo infatti dimenticarci che tale Carta è stata pensata da molti come una pietra miliare della costruzione europea, specialmente nel momento in cui l’Europa deve affrontare profonde e strutturali riforme, per riprendere e rilanciare il cammino dell’integrazione e per affrontare le ormai prossime scadenze del delicato processo di allargamento. 
Non sono infatti pochi gli autorevoli protagonisti della vita politica europea, gli studiosi e i commentatori che rilevano la fatica del progetto europeo, i rischi di arretramento e di nuovi ripiegamenti nazionali. Noi siamo convinti che il sogno dei Padri fondatori dell’Europa vada ripreso, coltivato e rilanciato e vorremmo che almeno in una materia così fondante l’identità europea, quale è quella dei diritti civili e sociali fondamentali, si avesse più coraggio nell’osare il futuro, considerando la Carta come punto di partenza per una nuova fase costituente dell’Unione Europea, che la prossima Conferenza intergovernativa di Nizza deve aprire.
Per questo apprezziamo il faticoso lavoro svolto dalla Convenzione, riconosciamo gli importanti risultati raggiunti ma ne evidenziamo anche i limiti. 
Per questo sollecitiamo un rilancio di iniziativa a partire dai Parlamenti, sedi della sovranità popolare.
Per questo proponiamo che il lavoro di elaborazione intorno al testo di tale Carta non si concluda con una Dichiarazione solenne, ma che il Vertice di Nizza lo adotti come una base di discussione costituente in tutti i paesi dell’Unione, che su tale testo si apra una grande consultazione popolare in tutti i paesi dell’Unione nel corso del primo semestre del 2001 e che nel secondo semestre si proceda ad una nuova scrittura della Carta, per farne un vero, condiviso e largamente riconosciuto pilastro della nuova Europa.
Per questo vogliamo anche noi ricominciare a fare di più e meglio la nostra parte, tornando a pensare l’Europa, a promuovere un protagonismo attivo della società civile, con un coinvolgimento progressivo e sempre più pregnante di tutte le associazioni e i movimenti del Terzo settore italiano. 
La prospettiva europea non può essere abbandonata all’attuale deriva, con il rischio di delimitare il ruolo dell’Unione ad un semplice, per quanto articolato, buon sistema organizzativo e produttivo di alcune utilità, a servizio di un’area sempre più estesa di libera concorrenza e di libero mercato. L’eredità e il patrimonio storico, culturale, spirituale, religioso e sociale dell’Europa, che trovano nei diritti civili e sociali della persona il loro cuore più prezioso, possono e devono nuovamente diventare motivo di passione, causa di una nuova missione di pace e progresso che il nostro continente può offrire al mondo intero.
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