Accademia di Fitomedicina e Scienze Naturali
*** POSSIBILITA' DI TRATTAMENTO DELLA DEMENZA DI ALZHEIMER CON ESTRATTO DI GINKGO BILOBA Dott. Daniele Borroni - Medico Chirurgo, Specialista in Geriatria - Direttore Sanitario della Fondazione Ferrario - Vanzago (MI)
DEFINIZIONE Il termine Demenza è comunemente utilizzato per indicare sindromi caratterizzate da difetti progressivi delle facoltà mentali, sia intellettive sia cognitive, dovute a processi degenerativi cronici e ingravescenti a carico del cervello umano.
Studi condotti in Italia, Gran Bretagna e Olanda stimano che il numero di dementi oscilli dal 4,1 all'8,4 per cento delle persone ultra sessantacinquenni; mentre studi condotti negli Stati Uniti individuano nel 4% quest'incidenza. In Italia i pazienti affetti da demenza sono circa 500.000 e, secondo l'O.M.S., la stima mondiale è di ventinove milioni di soggetti colpiti nei soli paesi industrializzati.
Tra le varie classificazioni proposte dalla letteratura scientifica, quella più comunemente accettata è su base eziologica, proposta da Wells nel 1979, successivamente modificata e integrata. Tale schema classificativo divide le demenze nel modo seguente: Demenze Primitive:
Demenze Secondarie:
Questa patologia prende il nome dal neuropatologo Alois Alzheimer che descrisse la malattia nel 1907, elencandone sia le manifestazioni cliniche sia le caratteristiche anatomo-patologiche. La pratica medica quotidiana ha imposto un uso più ampio di questa definizione rispetto a quello originario perciò, correntemente, sono incluse due categorie di Demenze che scolasticamente sono:
La Demenza di Alzheimer rappresenta il 60% delle demenze, mentre la forma senile, su base multinfartuale, ne rappresenta circa il 25%.
Gli innumerevoli studi e osservazioni, condotti da Alois Alzheimer in poi, hanno permesso di evidenziare le seguenti anomalie microscopiche:
Un altro fenomeno scoperto nella seconda metà degli anni settanta è la forte diminuzione, fino al 90%, della quantità di acetilcolina, neurotrasmettitore particolarmente legato alle funzioni della memoria e delle altre capacità intellettive. In sostanza si assiste a una difficoltà nella trasmissione degli impulsi. A livello macroscopico, con l'evolvere della malattia, si assiste a livello dell'encefalo, alla progressiva atrofia delle circonvoluzioni con corrispondente allargamento delle cavità ventricolari.
Questa materia è estremamente dibattuta e in letteratura si possono trovare varie ipotesi anche estremamente diverse tra loro. L'osservazione che le donne sono più esposte all'Alzheimer, così come i parenti di primo grado dei malati, ha indirizzato l'interesse, in particolare, verso un'ipotesi genetica. All'interno di questi studi sono stati individuati particolari geni sui cromosomi 21, 14 e 19. Sul cromosoma 19 è stato individuato un gene specifico che codifica la sintesi dell'Apolipoproteina E4 e che, pertanto, costituisce un fattore di rischio specifico per la malattia, anche se non è considerabile un fattore di rischio assoluto. Le anomalie dei cromosomi 21 e 14 porterebbero alla mutazione del gene PS2 che accelererebbe l'apoptosi delle cellule cerebrali, rese più sensibili all'attacco della beta amiloide. Accanto a quelle genetiche vive, tutt'oggi, una serie di ipotesi diverse che fanno sì che l'eziologia della Malattia di Alzheimer sia, probabilmente, di natura plurifattoriale e che, per sviluppare la malattia, in un soggetto geneticamente predisposto, debbano agire fattori ambientali o esterni. Tra questi ultimi sono stati evidenziati:
La letteratura scientifica, purtroppo, concorda nel ritenere che tutti questi fattori mancano degli studi prospettici longitudinali che consentano di individuare chiaramente il concetto di "fattore o causa di indementimento".
E' necessario premettere che l'evoluzione del processo demenziale, soprattutto nelle prime fasi, è tutt'altro che uniforme nei diversi pazienti e, quindi, i sintomi e i segni di questa patologia rendono particolarmente dissimili fra loro i pazienti, obbligando il medico a una valutazione particolareggiata e individuale del malato. Scolasticamente, e in modo estremamente riduttivo, le fasi evolutive della demenza sono così sintetizzabili:
ANAMNESI - Riveste un ruolo fondamentale per un corretto inquadramento diagnostico ed è indispensabile per un giusto approccio terapeutico farmacologico e non farmacologico. La raccolta dei dati anamnestici deve mirare a tracciare un quadro, il più preciso possibile, delle abitudini comportamentali, emozionali, di relazione e delle capacità pretiche del paziente prima e dopo l'insorgenza della patologia. ESAME CLINICO - L'esame clinico del paziente, unico vero mezzo a disposizione del medico per porre diagnosi di Alzheimer, deve essere particolarmente accurato per quanto riguarda l'esame obiettivo neurologico e neuropsicologico. Per un corretto approccio finalizzato alla formulazione della diagnosi e, successivamente, per una stadiazione della malattia, con possibilità di monitoraggio nel tempo del malato, risulta essere indispensabile l'esecuzione di test o di scale di valutazione funzionale. Tra i tests psicometrici, i più comunemente usati sono il Mini-Mental Status Exam (Folstein, 1975), il Blessed Orientation Memory Concentration (Katzman et al., 1983), la Scala di Valutazione del Deterioramento Mentale (Hachinsky); mentre per la valutazione dell'autonomia residua sono utilizzati il Performance Test of Activities of Daily Living (Kuriansky), o l'Indice di Barthel (modificato come da J. Clin. Epidem. 42; 1989). Tali tests rappresentano l'unico strumento valutativo diagnostico in possesso del medico, in quanto le indagini strumentali si rilevano essere utili solamente per accertare eventuali cause di demenze secondarie che trovano possibilità terapeutiche in ragione del 10%. DIAGNOSI STRUMENTALE Le tecniche di diagnosi per immagini possono solo essere di conferma della diagnosi clinica nelle fasi medio avenzate della malattia. La TAC e la Risonanza Magnetica Nucleare possono evidenziare, nella fase avanzata della malattia, l'ipotrofia cerebrale e la dilatazione dei ventricoli. L'E.E.G. dimostra un diffuso rallentamento aspecifico. La P.E.T. (Tomografia a emissione di Positroni) può dimostrare un rallentato metabolismo del glucosio nei lobi temporale e parietale. Tutto quanto sopra esposto rinforza il principio che la Diagnosi di Demenza di Alzheimer è pressoché unicamente clinica.
Premetto innanzitutto che, accanto alle possibilità terapeutiche, sia con farmaci di sintesi sia con prodotti di estrazione vegetale, è indispensabile dare al malato una serie di supporti terapeutici non farmacologici che possono comprendere la terapia di orientamento, la terapia occupazionale nelle sue molteplici possibilità, la riabilitazione psicomotoria, ecc. ecc. La terapia non farmacologica, indispensabile sempre e comunque, in questo lavoro non trova trattazione perché poco pertinente rispetto alle considerazioni in merito all'utilizzo di fitopreparati nella terapia della Demenza, a cui premetto un accenno ai soli due farmaci approvati dalla Food and Drug Administration per il trattamento delle Demenze: la Tacrina e il Donepezil. Queste due molecole agiscono rallentando l'azione della colinesterasi aumentando l'acetilcolina disponibile. Purtroppo l'impiego terapeutico di questi principi attivi ha prodotto, sinora, risultati discreti, conseguendo un rallentamento nella progressione della malattia, sviluppando però notevoli effetti secondari e indesiderati. Da alcuni dati pubblicati sul Medical Science Bullettin, in esito a studi condotti dal 1993 al 1997, si evince che la Tacrina ha manifestato i seguenti effetti collaterali: nel 29% dei casi si è verificato un sensibile aumento degli enzimi epatici che ne controindica l'uso negli epatopatici, nel 24% dei casi sono comparsi nausea, vomito e diarrea con conseguente anoressia, in alcuni casi si è assistito alla perdita della coordinazione motoria sino a una franca atassia. I trattamenti con Donepezil hanno dimostrato una minore incidenza di effetti collaterali sul tratto gastroenterico, in ragione del 10% una pari difficoltà di impiego negli epatopatici, ma una maggiore incidenza di effetti indesiderati sul tessuto di conduzione cardiaco con possibilità di bradicardia e di episodi sincopali. Questa carenza di "armi" farmacologiche a nostra disposizione ha permesso che nel mondo scientifico nascesse, e prendesse sempre più corpo, un interesse specifico verso prodotti di origine naturale e, soprattutto, verso l'uso di estratti stabilizzati di Ginkgo biloba; pianta che è stata oggetto di ricerca e studio, dimostrandosi prodotto efficace, costituendo, sicuramente, un ampliamento del profilo prescrittivo del medico che si trova ad affrontare la Demenza di Alzheimer.
GINKGO BILOBA
Pianta appartenente alla famiglia delle Ginkgoaceae, era considerata sacra in Oriente e, secondo alcuni, ha un impiego plurimillenario nella Medicina tradizionale cinese; venne salvata dall'estinzione dai monaci buddisti che la coltivavano attorno ai loro templi. E' un albero dioico, esistendo infatti piante con soli fiori femmina e soli fiori maschi; ha una crescita molto lenta e, secondo alcuni studiosi, potrebbe vivere anche per svariati secoli, da ciò deriva l'appellativo di "albero dell'eterna giovinezza". Attualmente viene coltivata, a scopo commerciale, soprattutto in Corea, Giappone, nel Sud Carolina (U.S.A.) e in Francia.
I composti dotati di attività farmacologica, identificati nelle foglie da cui si ricava l'estratto secco, sono principalmente:
I numerosi studi effettuati e la sperimentazione biologica hanno, in fasi successive, dimostrato, con riferimento alla terapia delle Demenze, le seguenti azioni farmacologiche: i FLAVONOIDI hanno azione a vari livelli del sistema circolatorio con attività vasodilatatrice, per azione sulle fibrocellule muscolari lisce della media, diminuzione della permeabilità capillare e aumento del tono venoso. Su alcuni tipi di edemi cerebrali e retinici sperimentali e su modelli di ipossia post-ischemica è stato dimostrato un aumento dell'irrorazione cerebrale con aumento delle concentrazioni di glucosio e ATP nel tessuto nervoso con inattivazione dei radicali tossici dell'ossigeno; i TERPENI, e in particolare il ginkgolide B, sono dotati di specifica azione antagonista del PAF-acether, mediatore intercellulare fosfolipidico implicato nell'aggregazione piastrinica, nella trombogenesi e nei processi di aterogenesi. Alla bilobalide, come anche ai ginkgolidi A e B, è stata riconosciuta una specifica azione neuroprotettrice. Gli studi di farmacocinetica, condotti su animali e successivamente sull'uomo, basati sull'osservazione e misurazione, dopo somministrazione di estratto marcato radioattivamente, hanno dimostrato che la biodisponibilità risulta essere del 98-100% per il ginkgolide A, del 79-93% per il ginkgolide B e almeno del 70% per il bilobalide. Gli studi di tossicologia hanno, sinora, dimostrato un'assenza pressoché totale di tossicità cronica non individuando alcun cambiamento biologico e istologico nei ratti dopo somministrazione prolungata (dosi da 30 a 60 mg/kg/die). Anche la tossicità acuta può essere considerata estremamente modesta essendo stabilita la DL50, per i topi di circa 7 gr/kg per somministrazione orale e di 1,5 gr/kg per via endovenosa, a un valore nettamente elevato rispetto ai dosaggi terapeutici.
Mi sembra corretto ricordare, innanzitutto, alcune indicazioni terapeutiche, diverse da quelle in argomento, che molto riduttivamente sono: acufeni e vertigini di origine vascolare e involutiva, alcune patologie broncospastiche, alcune patologie circolatorie tra cui la Claudicatio intermittens, le insufficienze venose, le flebiti e le emorroidi. In specifico riferimento alle sindromi demenziali, la letteratura scientifica negli ultimi decenni ha proposto una serie di studi randomizzati, o in doppio cieco, che dimostrano l'efficacia dell'estratto secco di foglie di Ginkgo biloba nelle forme iniziali di Demenza di Alzheimer. Particolarmente interessanti sono gli studi condotti tra il 1994 e il 1997 che hanno evidenziato la necessità, indispensabile per un serio e sicuro utilizzo terapeutico di estratti secchi di foglie di Ginkgo biloba, di poter disporre di preparati fitoterapici concentrati, stabilizzati e standardizzati che garantiscano concentrazioni minime del 24% di Flavoglicosidi e del 6% di terpeni (di cui il 3,1% di ginkgolidi A, B, C). Le dosi giornaliere di prodotto impiegato variano da 120 mg/die (P. LeBars e altri) a 240 mg/die (Hofferberth; Kanowski e altri) in dosi refratte. Il periodo di osservazione dei malati è stato da un minimo di quattro settimane, per lo studio di Kanowski, a un massimo di un anno per P. LeBars. I pazienti sono stati valutati con periodicità settimanale o mensile negli studi più protratti utilizzando diverse scale di valutazione che, nello studio di P. LeBars sono state l'ADAS-Cog (Alzheimer's Disease Assessment Scale Cognitive), la GERRI (Geriatric Evaluation Relative's Rating Instrument) e la CGIC (Clinical Global Impression of Change). Tali scale di valutazione permettono di oggettivare le performances cognitive, le capacità funzionali primarie e secondarie, sia personali sia sociali, dei pazienti. Tutti gli studi concordano nel constatare che, dopo il primo mese di trattamento, si sono osservati sostanziali miglioramenti delle capacità mnesiche e della soglia di attenzione, con parallelo controllo, o recrudescenza, delle alterazioni comportamentali, o psicologiche, quali l'ipercinesia motoria, i tratti ansioso-depressivi, ecc. ecc. Lo studio di P. LeBars che, per 52 settimane, ha monitorato - a confronto con un gruppo placebo - 309 pazienti, escludendo solo pazienti insulino dipendenti, o con patologie psichiatriche, in multiterapia, al termine del suo lavoro ha provveduto a confrontare i punteggi ittenuti nelle varie valutazioni, tra gruppo placebo e gruppo trattato, ottenendo: 1,4 punti nella ADAS-Cog, contro 0,04 del gruppo placebo. Tramite un'elaborazione statistica ha affermato che i pazienti trattati con Ginkgo biloba hanno dimostrato un miglioramento delle funzioni cognitive per sei mesi in un anno. Gli effetti collaterali evidenziati in questi studi sono stati definiti di modesta entità, sono stati quasi esclusivamente a carico del tratto gastroenterico e ciò ha permesso agli autori di definire come sicuro l'uso terapeutico di Ginkgo biloba.
Questo mio lavoro ha voluto affrontare il tema della Demenza di Alzheimer, patologia assai complessa e purtroppo di grande attualità, e la possibilità di intervento sui pazienti con estratto secco di Ginkgo biloba partendo dalla considerazione che attorno a questo argomento vi è un discreto "fermento" nel mondo scientifico. Con un po' di presunzione, rispetto alla mia modesta esperienza professionale, vorrei esprimere una serie di considerazioni basate sull'attività medica quotidiana. Condizione indispensabile per l'utilizzo dell'estratto secco di Ginkgo biloba è la possibilità di poter disporre di prodotti titolati, standardizzati e stabilizzati; questo requisito è estensibile a tutti i prodotti fitoterapici che potrebbero e dovrebbero così entrare a far parte del consueto profilo prescrittivo da parte dei medici. Sicuramente convengo con gli autori sopracitati sulla necessità di individuare, per il trattamento in oggetto, pazienti in cui la demenza sia in stato di esordio o, al limite, nelle prime fasi evolutive; questi pazienti devono essere monitorati con controlli a frequenza ravvicinata e i risultati oggettivati tramite scale di valutazione che nella pratica comune possono limitarsi al Mini Mental Status e a una scala di valutazione delle funzioni dell'autonomia residua come a esempio la Barthel; quest'ultima sarà di aiuto nel monitorare il paziente per tutta la durata della patologia sino agli stati di maggior compromissione. I risultati apprezzabili durante il trattamento con Ginkgo biloba sono sicuramente interessanti; mi sembra opportuno sottolineare particolarmente la possibilità di garantire al paziente una migliore qualità di vita, anche sociale e relazionale, che per il momento è l'unico obiettivo che possiamo prefiggerci quando approcciamo un paziente demente data l'irreversibilità della patologia. Mi sembrano invece limitate le attenzioni poste, negli studi analizzati, verso gli effetti collaterali e le precauzioni da adottarsi durante la terapia. Non vi è alcun riferimento al fatto che la Ginkgo biloba, interferendo con il PAF-acether, debba essere usata con estrema cautela in pazienti in concomitante trattamento con farmaci anticoagulanti. Tale situazione, dato che in molti casi può essere una controindicazione assoluta al trattamento, pone il medico nella condizione di dover compiere un'analisi, critica ed etica, circa la possibilità di intraprendere una terapia concomitante, sospendere l'eventuale terapia antiaggregante a favore della monoterapia con Ginkgo biloba, oppure soprassedere alla possibilità terapeutica. Sembra opportuno ricordare che, dopo le riflessioni che il medico deve compiere con scienza e coscienza, è necessario avere il consenso informato da parte del paziente; tutto quanto detto si rileva essere, nella pratica quotidiana, una grossa "griglia" di limitazione nella selezione circa il numero di pazienti dementi che si possono approcciare con questa terapia. Durante il trattamento con Gonkgo biloba possono insorgere altri effetti secondari e indesiderati che, nei recenti studi analizzati, non vengono menzionati, mentre sono abbastanza frequenti nell'attività pratica e se ne può trovare menzione in altre pubblicazioni: comparsa di agitazione e insonnia che, essendo in genere causati da sovradosaggio, richiedono un aggiustamento posologico, reazioni allergiche cutanee, cefalea. Ultima considerazione è quella che il trattamento con Ginkgo biloba può essere protratto anche per lunghi periodi, ma la sua utilità trova termine quando il deterioramento mentale del paziente demente raggiunge livelli propri delle fasi più avanzate della malattia, allorquando viene a mancare il substrato d'azione per l'estratto di Ginkgo biloba e l'attenzione del medico viene spostata verso altri problemi neurologici subentranti. Questo mio breve lavoro vorrebbe anche essere una base teorica per uno studio applicativo, peraltro già parzialmente in corso, di un protocollo terapeutico con estratto secco di Ginkgo biloba e valutazione dei pazienti dopo terapia di durata pluriennale.
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*** La stesura di questo lavoro è stata effettuata nel 1998.
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