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Notizie da Green Cross Italia
 
L'intervento Onu del 1993 in Somalia: un fallimento da non ripetere.

L'ordine mondiale dopo Kabul
Gli alibi dietro la vittoria

di Mikhail Gorbaciov
Da:La Stampa Prima Pagina 16 gennaio 2002


Il nuovo "ordine" mondiale, a dieci anni dalla caduta dell'Unione Sovietica. Ne traccia una efficace analisi Mikhail Gorbaciov, a conclusione di un anno carico di tensioni internazionali: prefigurando scenari inquietanti.


Il primo anno del nuovo secolo non ci ha lasciato un buon ricordo. Di nuovo guerra, vittime innocenti, disumanità diffusa. Penso adesso a quell'ormai lontano 1991, quando ancora ci cullavamo nelle speranze di un nuovo mondo, di un nuovo pensiero.

Stavano prendendo forma i contorni di un nuovo ordine mondiale che avrebbe prospettato nuove frontiere di lotta comune contro la povertà, la fine della corsa alle armi, una nuova sicurezza internazionale. Poi arrivò la fine dell'Unione Sovietica. E tutto fu dimenticato.

In Occidente prevalse la presunzione della vittoria, l'euforia della vittoria. In un momento di cambiamenti radicali fu proclamata la vittoria occidentale, la fine della storia. I dieci anni che seguirono furono anni di silenzio rispetto a tutte le questioni vitali che stavano di fronte all'umanità moderna.

Quasi che la fine dell'Unione Sovietica avesse automaticamente manlevato i leader occidentali dalla necessità di tenere fede ai loro impegni, verso i loro elettori e verso il resto del mondo.

Quasi che si ritenesse che tutte le responsabilità venivano dalla Russia e che, tolta di mezzo quella, tutto sarebbe andato per il verso giusto. Non so se in questo vi fosse più ingenuità o presunzione. Ho già definito, su queste stesse pagine, il decennio trascorso: dieci anni perduti per la pace e la giustizia nel mondo.

C'è voluta la tragedia dell'11 settembre, c'è voluta la crisi della globalizzazione americana per riportare di nuovo alla ribalta l'esigenza imprescindibile di un "nuovo pensiero". Ma, di nuovo, ecco l'euforia insensata per una nuova vittoria. Questa volta contro i taleban.

Un'euforia che sembra alimentata apposta per far dimenticare i reali problemi del mondo. Una specie di cortina fumogena inventata per distrarre l'attenzione del grande pubblico. Di nuovo si chiudono tutti i discorsi attorno a un nuovo ordine mondiale. Anzi non se ne parla più affatto.

Al loro posto al di fuori del contesto sociale e politico del mondo contemporaneo, come se fosse una specie di calamità astratta, inspiegabile, oppure spiegabile soltanto con le categorie assai impolitiche del "bene e del male".

Così facendo, ovviamente, non si otterrà nulla se non nuovi conflitti e guerre. E, infatti, procede la preparazione di una seconda fase, dopo quella afghana, molto probabilmente rivolta contro l'Iraq. Non si tratta di illazioni, o di sospetti. Ogni giorno che passa è un elenco di fughe di notizie, di indiscrezioni di fonti molto autorevoli.

Altre notizie parlano di concreti preparativi militari in corso verso diversi obiettivi. Il tutto con l'evidente proposito di "preparare" all'evento l'opinione pubblica internazionale. Già si parla di utilizzare l'esperienza dell'Afghanistan per applicarla all'Iraq. E nessuno che sollevi la domanda cruciale: ma con quale mandato? Sotto quale autorità?

Con quale legittimazione? Non so se dire peggio ancora, ma forse è davvero così: non ci si preoccupa neppure di nominare il Consiglio di Sicurezza dell'Onu come unico strumento legittimo che deve autorizzare qualunque azione del tipo di quelle che vengono elencate come possibili.

Evidentemente il pessimo precedente della guerra jugoslava viene ormai utilizzato come la norma. Perfino la riunione europea a Laeken, a metà dicembre, non è riuscita a inserire nel suo comunicato finale quelle poche righe che richiamavano l'esigenza di sottoporre al giudizio del Consiglio di Sicurezza dell'Onu ogni eventuale prosecuzione delle azioni militari dopo l'Afghanistan. Ma ci si è chiesti quali saranno le reazioni nel mondo islamico, sui regimi arabi moderati?

E quali saranno gli effetti politici e psicologici, sulla comunità internazionale, di un tale disprezzo del ruolo delle Nazioni Unite? E' ovvio che tutto ciò non può che produrre altra destabilizzazione, ulteriore riduzione della legalità internazionale.

Le tensioni, improvvisamente cresciute tra India e Pakistan, sono state generate proprio dalla tensione nella regione nel suo insieme. Il conflitto afghano ha influito anche sulla situazione nel Medio Oriente, per non parlare della Cecenia. Io sono convinto che bisogna urgentemente mutare rotta.

Il che significa, in primo luogo, riportare tutte le più importanti questioni riguardanti la collettività internazionale sotto il controllo decisionale del Consiglio di Sicurezza. Forse occorre liberare quest'organo di funzioni secondarie.

Ebbene lo si faccia. E si doti il Consiglio di un comitato permanente, incaricato di coordinare tutte le attività della lotta antiterroristica, mantenendo al Consiglio stesso le decisioni cruciali di legittimità dell'azione politica e militare.

Tutti i meccanismi esistenti dell'Onu devono essere rivitalizzati e finanziati adeguatamente, insieme a tutte le convenzioni in via di approvazione e ratifica, a cominciare da quelle riguardanti la non diffusione delle armi nucleari, chimiche, batteriologiche, e il divieto della loro produzione.

E' ora di fermare le forze che vorrebbero aprire una nuova corsa agli armamenti. Tutto ciò mentre occorre avviare, senza perdere tempo, un programma di misure effettive contro la povertà nel mondo.

Il che significa che l'Occidente deve decidere collettivamente di accrescere in modo sostanziale il trasferimento di risorse verso i paesi poveri, cancellando sul serio i debiti che non possono essere pagati.

Anche se questa cancellazione da sola non risolve il problema. Non si può fare a meno di investire nell'istruzione, perché solo in questo modo la popolazione di un paese può venire preparata a usare le nuove tecnologie.

Possiamo forse continuare a ignorare le cifre fornite recentemente dalla Commissione dell'Onu su Macroeconomia e Salute? A tutt'oggi nei 60 paesi più poveri del pianeta si spendono in media, ogni anno, 13 $ pro capite per la sanità.

Per creare una situazione moralmente e soprattutto politicamente accettabile - dice l'Organizzazione Mondiale per la Salute - si dovrebbe portare questa cifra a 34 $ pro capite. Questa cifra sarebbe comunque infinitamente più bassa delle spese analoghe nell'altra metà del mondo, per non parlare dei paesi sviluppati che spendono a questi fini migliaia di dollari. Si può restare tranquilli in una simile situazione?

Inserimento redazionale a cura di Sergio Ferraris

 
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