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Fabrizio

   
 

 

L’autostrada era pulita e larga.

C’era un traffico veramente ragguardevole, come sempre del resto, ma contemporaneamente molto veloce.

Questo era possibile perché sia Fabrizio con i suoi 7 colleghi, sia tutti gli altri che viaggiavano su quella autostrada erano abituati a farlo con una ragguardevole ed invidiabile capacità di gestione degli imprevisti e con tempi di reazione formidabilmente rapidi.

Perciò il traffico poteva essere sì molto sostenuto, ma al tempo stesso velocissimo.

Una cosa impensabile in condizioni normali, dove tutti potevano immettersi sull’autostrada e andare senza un comune senso della coordinazione.

Loro facevano parte di una cerchia abbastanza ristretta di superdotati che erano stati scelti proprio per queste capacità di gestire velocità e affidabilità in modo tanto sicuro quanto rapido e coordinato.

Certo stiamo parlando di autostrade privilegiate e non di autostrade normali. Erano state costruite proprio per permettere a tipi come Fabrizio di esprimere tutte le loro capacità.

Queste autostrade erano precluse a chi voleva usare l’autostrada per andare a divertirsi o per qualsiasi motivo che non fosse legato alla consegna di informazioni importanti e complesse.

Non era un lavoro facile.

Ormai nel mondo le informazioni erano più importanti delle cose concrete. Non si poteva più prescinderne. Una informazione errata o che arriva in ritardo produce effetti deleteri sulla gestione della cosa che si vuole manipolare. Ecco perché, piano piano nel tempo, le informazioni sono diventate la base della esistenza e della sopravvivenza di queste nostre civiltà moderne. Ed ecco perché erano state sviluppate apposite autostrade per permettere un rapidissimo flusso di informazioni. Su queste autostrade il limite di velocità non era stato previsto. Anzi, erano stati impiantati sistemi che permettevano di coordinare e assecondare il flusso di questi tipi particolari di trasportatori, così specializzati. In pratica il sistema emetteva dei segnali a cadenze costanti molto rapide in modo che i trasportatori potessero sincronizzarsi con essi.

Ogni tanto capitava che qualcosa non funzionava e avveniva un incidente. In questo malaugurato caso purtroppo, per la stessa natura del sistema, l’incidente andava a interferire con tutti i trasportatori che si trovavano in quel momento sulla stessa autostrada ed essi, nel migliore dei casi, dovevano fermarsi all’istante. Oppure capitava che questo non avveniva e di conseguenza si verificava un terrificante tamponamento a catena che coinvolgeva tutti i trasportatori presenti sull’autostrada. In entrambi i casi le informazioni perdevano la loro necessaria velocità di trasporto e conseguentemente diventavano inutili, obsolete, inservibili.

Quando capitava un guaio di quel tipo non c’era che ripartire dall’inizio. Ogni trasportatore veniva richiamato al punto di partenza e gli venivano consegnate le stesse informazioni di prima dell’incidente. La cosa più importante da rimarcare è che in ogni caso nessuno perdeva le sue funzioni vitali, cioè nessuno rimaneva ferito ed inabile al lavoro. Le misure di protezione sulle autostrade erano talmente sofisticate che non ci poteva essere alcuna perdita di vita in nessun tipo di incidente. Un bel traguardo per la sicurezza, non c’è che dire.

Gli svincoli di queste autostrade erano anch’essi speciali. Non c’era un casello per il pedaggio ne all’ingresso ne all’uscita, in questo modo non si potevano formare code.

Tutto era, come detto, improntato alla velocità e alla sicurezza.

Questa era la vita di Fabrizio.

La paga era buona ma gli orari molto pesanti. In pratica non c’era orario. Doveva essere disponibile in un batter d’occhio. Una volta rintracciato sul cercapersone non aveva tempo di prendere neanche un caffè. Doveva presentarsi di corsa al punto di partenza. Ma a lui piaceva e non si era mai lamentato.

Spesso ricordava i suoi inizi.

Che avventura era stata all’inizio!

Era un campo completamente nuovo, inesplorato, molto tecnologico. Prima di allora non si era mai visto niente di simile, nessuno ne sapeva molto. Lui aveva letto qualcosa sull’argomento ma non aveva le conoscenze per capire che tipo di nuovo lavoro era. Eravamo alla fine degli anni 70. In Italia non era molto che era arrivata la TV a colori e gli elettrodomestici stavano diventando sempre più importanti nella vita di tutti i giorni. Si affacciavano sul mercato cose nuove, strane. Ricordate il Sinclair ZX80? Era un piccolo, ma molto piccolo, computerino che si poteva acquistare abbastanza facilmente.

Nulla di speciale.

Molto lento, eccezionalmente lento direi rispetto a quelli moderni. Ma era una nuova frontiera, una novità, un campo tutto da costruire.

Fu allora che Fabrizio decise di buttarsi. In fondo era giovane, forse quello era un mestiere adatto a lui e forse poteva essere un buon mestiere per iniziare e chissà, forse con un po’ di fortuna avrebbe potuto essere un lavoro duraturo, magari fino alla pensione.

Certo era un lavoro stressante e ci voleva il fisico, ma lui era uno sportivo e una volta presa la decisione non ci ripensò più.

Il dado era tratto.

Si presentò alla Sinclair.

Gli fecero un bel po’ di test, lo rigirarono per benino, lo fecero valutare da uno psicologo, gli fecero fare una settimana di prova. Era giusto, il lavoro era pesante e molti rinunciavano dopo la prova.

Ma lui era motivato e deciso.

Ottenne il lavoro. Lo inserirono nel reparto sperimentazione.

Uno come lui, nato e vissuto in una centrale elettrica, elettrone dalla nascita, sentiva il bisogno di elevarsi di grado. Un elettrone che viaggia per cavi elettrici non ha una grande personalità. Solo assieme ad altri milioni di elettroni riesce a compiere un lavoro visibile ed apprezzabile. Preso da solo nessuno se lo filava.

Ora, anche se era da solo, portava una informazione importante.

Era una informazione binaria soltanto e certo non era una informazione decimale, ma era molto importante comunque. Aveva una sua propria valenza ed importanza. Se mancava lui lo ZX80 andava in tilt.

Prima, da semplice elettrone, se mancava lui nessuno poteva accorgersene. Un motore girava lo stesso con gli altri milioni di elettroni che erano arrivati a destinazione anche senza di lui.

Era diventato un BIT.

Normalmente il suo lavoro era svolto assieme ad altri 7 compagni, BIT anche loro, che non sempre erano gli stessi. Assieme formavano un BYTE e trasportavano quindi una informazione più evoluta, ma anche in questo caso se mancava lui l’informazione era corrotta e tutto andava a pallino.

Lo ZX-80 si bloccava.

Una bella responsabilità, non c’è che dire.

Lui scelse di fare il BIT su BUS cioè su quelle famose autostrade di cui dicevo prima. Sempre in movimento da una parte all’altra della scheda madre.

Altri scelsero di fare il BIT su memoria di massa. A quell’epoca le memorie di massa  erano in pratica rappresentate solo da registratori a nastro. Solo più tardi arrivarono le memorie su Hard Disk.

Comunque lui scelse il movimento e quindi passò gli anni a muoversi su BUS di vario tipo. Con il tempo lo ZX-80 fu sostituito da altri modelli, più performanti. E lui seguì la corrente. Non voleva restare indietro. Passò sempre a modelli nuovi. Poi altre case lo richiesero e lasciò la Sinclair per altre sponde. Passando per il VIC 20 ed il C64 arrivò anche alla APPLE e lavorò parecchio anche sul mitico APPLE IIe.

Gli anni passavano e lui continuava a portare informazioni su e giù per i BUS, passando per CPU, ALU, interfacce e drivers. Estate ed inverno sempre a correre.

In estate il caldo aumentava. Tutto si surriscaldava. Già il calore in un computer è abbastanza elevato, ma in estate è spaventoso. Le ventole di raffreddamento fanno quello che possono, ma più di tanto nulla si può!

Così pensò che forse era venuto il momento di migliorare ancora le sue conoscenze ed esperienze, magari unendole con un po’ di gratificazione personale.

E allora compilò un bel curriculum, completo di tutto, dal primo impiego all’ultimo, sempre in reparti sperimentazione di Home e Personal Computer.

L’intenzione era di provare ad entrare in un Mainframe

Poi scrisse l’indirizzo del destinatario sulla busta: DIGITAL.

Passò un po’ di tempo e finalmente arrivò la risposta. Aveva il cuore in gola e lesse tutto d’un fiato.

Erano fieri di poterlo annoverare tra le loro fila e gli avevano già destinato un posticino nell’imperatore PDP11, sempre che accettasse la loro offerta.

Accettare? Ma che, c’erano dei dubbi? Certo che accettò. Al volo!

Ma scherzate? Un PDP11! Finalmente il lavoro sarebbe stato meno gravoso e più “importante”. Andava a lavorare negli uffici. E a quell’epoca quei PDP11 erano per lo più alloggiati in apposite stanze predisposte per i computer e che dovevano avere l’aria condizionata. Una temperatura costante tutto l’anno. Finalmente.

Furono anni di soddisfazioni. Certo il PDP11 fu poi sostituito con altri sistemi meno ingombranti, più veloci e silenziosi.

Ma io lo conobbi in un PDP11 che si ergeva in tutta la sua maestosità nell’ufficio dove lavorava quella che sarebbe poi diventata mia moglie.

Io ero affascinato da quel mostro di sontuosità e potenza, da quei suoi disconi da molti pollici.

Andavo spesso in quell’ufficio con la scusa di andare a prendere la mia fidanzata all’uscita dal lavoro. In realtà andavo anche per “carpire” qualche segreto di quell’opera di ingegneria elettronica. A casa avevo un APPLE IIe ed ero affascinato dalla differenza di potenza tra le due macchine.

Ci conoscemmo così.

Nelle sue pause di lavoro parlavamo del suo lavoro e di quanto ne fosse appagato.

Poi un giorno qualcosa nei miei discorsi lo colpì. Non seppi mai cosa. Fatto sta che cominciò quasi quasi in sordina a farmi la corte. Non direttamente, intendiamoci. Era diventato stranamente interessato al mio APPLE IIe, forse perché me ne vedeva entusiasta, chissà. Me ne chiedeva sempre. Voleva sapere tutto di lui.

Alla fine un giorno si scoprì. Trovò il coraggio e me lo chiese. Rimasi un po’ lì, incredulo. Ma poi cominciai ad avvertire che faceva sul serio. Non l’avevo mai visto così, era come invecchiato di colpo.

Strane cose accadono nelle nostre menti. E ancor più strano è che non riusciamo a comprenderle o a prevederle.

Così cominciammo a parlarne. Aveva quasi vergogna di chiedermelo.

Ci conoscevamo da un certo numero di anni, è vero, ma non eravamo mai scesi nell’intimità.

Era molto contento di tutti gli anni che aveva trascorso a portare informazioni su computer importanti, e ancor di più era contento e soddisfatto della gavetta che aveva fatto.

Ma ora aveva capito che correre tanto in fin dei conti non era il massimo della vita.

Cercava qualcosa di più “tranquillo”. Mi chiese alla fine se poteva venire a vivere con me nel mio APPLE IIe.

Quando un amico è nelle canne come fai a girargli le spalle?

E poi a me non costava nulla, anzi ne ero lusingato.

Accettai.

Un giorno, di nascosto dal principale della mia fidanzata, portai il mio APPLE IIe nell’ufficio di mia moglie. Lo collegai alla corrente da un lato e al PDP11 dall’altro.

Pochi comandi e Maurizio passò dal BUS del PDP11 al BUS dell’APPLE IIe.

Mi accertai che Maurizio fosse stato trasferito, staccai i collegamenti e quatto quatto mi allontanai come un ladro dall’ufficio della mia fidanzata che mi aveva fatto da “palo”.

A casa, con calma, chiesi a Maurizio se era contento della nuova sistemazione e lui fu contentissimo. Era tutto preso dalla foga di ringraziarmi e di esplorare la nuova sistemazione.

Quella notte lasciai il mio APPLE IIe continuamente acceso fino alla fine del giorno successivo.

Il tempo passò in fretta.

Quella che era la mia fidanzata divenne mia moglie.

Da lei ebbi due splendidi pulcini, che ora vanno all’università.

E Maurizio?

Successe che un giorno il mio APPLE IIe cominciò a fare le bizze e così, per precauzione e d’accordo con Maurizio, decidemmo il suo trasferimento su un floppy da 5.1/4”.

Fu una decisione sofferta per uno che aveva fatto della velocità lo scopo della sua vita.

Ma la prendemmo. In fondo Maurizio aveva bisogno comunque di un po’ di riposo.

E così Maurizio da quel giorno è fermo in un punto indeterminato di quel floppy da 5.1/4”.

Ha voluto essere addormentato in posizione “1”.

L’APPLE IIe è stato rottamato per surriscaldamento e cottura della Main Board.

Altri PC sono apparsi sulle mie scrivanie, altre potenze ed altri SO mi hanno fatto bestemmiare.

I dischetti da 1.44” dell’APPLE IIe sono ormai cimeli quasi introvabili.

Ma nei miei scaffali c’è un posto, dietro a scatole di floppy rigidi da 1.44” e di CD, dove è custodita una scatola che contiene solo i floppy da 5.1/4 del mio vecchio APPLE IIe.

Su uno di questi c’è scritto “Maurizio” a pennarello verde e contiene solo giochi.

Ogni tanto sul mio PC lancio un simulatore di APPLE IIe, inserisco il floppy di Maurizio e ci facciamo una chiacchierata.

Io mi sorseggio un cognacchino mentre lui sta in stand-by sul floppy.

Stiamo ore a parlare, poi quando gli viene sonno ci diamo appuntamento alla prossima volta e lo rimetto “a letto” con in mano un “1”.

Una cosa non gli ho ancora detto.

È un po’ di tempo che sto cercando un APPLE IIe sul mercato dell’usato.

Il mio sogno è di svegliarlo un giorno facendogli la sorpresa di farlo di nuovo correre in un APPLE IIe.

Ma ora non ditegli niente, dorme!

 

Luigi Carpi