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quattro modelli (più uno) di interattività
alberto berretti

Fin dagli inizi della sua diffusione a livello di massa, la parola piú utilizzata per descrivere internet è stata "interattività". Com'è internet? interattiva. Come devono essere le applicazioni su internet? interattive. Che cosa fanno gli "utenti" di internet? interagiscono. La struttura ipertestuale del web ha fatto il resto. Da internet, l'idea che si realizzasse una rivoluzione nella modalità di uso delle tecnologie di comunicazione attraverso l'interattività si è propagata ad altri settori, dalla televisione (digitale e quindi automaticamente "interattiva") alla telefonia, in particolare ai servizi a valore aggiunto tipici della telefonia mobile ma anche fissa (i cosiddetti "personal assistant services").

Non vogliamo qui attaccare un concetto che sicuramente è importante. Ma è necessario approfondire il significato di "interattivo", altrimenti si rischia di parlare di tutto e di nulla.

All'estremo opposto dell'"interattività" abbiamo la fruizione passiva. L'archetipo di fruizione passiva nell'immaginario di tutti è la televisione: sediamo in poltrona, non vogliamo interagire, e guardiamo quello che la tv ci propina. In realtà siamo al grado zero di un'interattività latente: abbiamo la possibilità di scegliere, tramite telecomando, cosa vogliamo vedere. O al limite possiamo spengere la televisione. Si tratta di un modo di interagire da non tralasciare come banale, tanto che su di esso si basano statistiche come l'Auditel, che hanno un certo significato dal punto di vista del business.

Esiste poi la cosiddetta pseudointerattività. In questo caso abbiamo l'illusione di interagire, ma in realtà ci muoviamo in un ambito limitato, prestabilito dal produttore del programma (i cosiddetti "walled garden"). Il modello classico di riferimento è il televideo: tant'è che esistono persone che, usando il televideo, pensano davvero di inviare richieste a qualche entità "dall'altro lato del filo": in realtà, come è ben noto, stiamo navigando in pagine pre-scaricate, approfittando della grande larghezza di banda occupata da un canale televisivo. In altre parole, una certa quantità di informazioni, sufficientemente grande, organizzata nel caso del televideo sotto forma di "pagine", viene scaricata sul terminale (nel caso del televideo, un televisore), e l'utente naviga in esse. Si parla di pseudointerattività perché siamo ancora nell'ambito della comunicazione unidirezionale.

Il passo successivo è apparentemente grande, in realtà cortissimo. Da quando si è diffusa la televisione digitale (via cavo o satellite) si fa un gran parlare di televisione "interattiva" (IDTV, Interactive Digital TV). Ad esempio, l'utente può richiedere previsioni meteorologiche per la regione in cui abita, può giocare, può avere informazioni sui titoli di borsa che gli interessano o i risultati sportivi della sua squadra. Si ha, effettivamente, quasi l'impressione di utilizzare un sito web. In realtà, siamo sempre al punto di prima (pseudointerattività), come testimoniato dall'assenza di un canale di ritorno (i canali interattivi non occupano la linea telefonica!). Nel caso della televisione digitale, la maggiore larghezza di banda disponibile via cavo o satellite permette di utilizzare un intero canale televisivo per trasmettere non solo informazione testuale (come il televideo, eventualmente arricchito da "sprite", cioè disegnini prestabiliti), ma anche grafica, immagini, spezzoni di video, o veri e propri programmi eseguiti dal processore del set-top box. L'illusione dell'interattività è quasi completa.

Il vero passo successivo è in realtà quello di internet. Per quanto la differenza fra un sito web ed un canale interattivo possa essere apparentemente piccola, in realtà c'è una differenza essenziale: abbiamo a disposizione un canale di ritorno. Inoltre, ciascun terminale può essere individualmente indirizzato. Ciò apre possibilità pressoché infinite, precluse in qualsiasi situazione pseudointerattiva: l'utente acquista una sua individualità (per lo meno come fruitore), si possono implementare forme serie di autenticazione, si può pensare di personalizzare l'informazione per il singolo utente, ed infine (ad esempio nell'uso dei form in una pagina web) si possono trasmettere informazioni dall'utente al gestore del servizio. È la famosa interattività del web di cui tanto si parla, con tutte le suggestioni che tali parole portano con sé e sulle quali sono stati spesi fiumi di inchiostro.

Ma la "magia" tecnologica che rende possibile questo, consente in realtà molto di piú: la vera interattività della comunicazione completa a due vie. Di fronte alle autentiche possibilità della rete, il web sembra solo il quartiere commerciale di una metropoli, ed i cosiddetti webmaster dei banali vetrinisti highy-tech. Stiamo parlando dei servizi "peer-to-peer", "da pari a pari" in italiano, in cui i ruoli di autore e di fruitore dell'informazione sono intercambiabili: se ne parla come di una novità di oggi, mentre in realtà si tratta di un ritorno all'origine (essendo internet molto piú vecchia del web). Gli esempi migliori spaziano in campi lontani dal business, ed il problema che molti oggi vorrebbero sapere come risolvere, è come tirare fuori un modello di business decente da questo tipo di comunicazione.

Parliamo di servizi come Napster o Gnutella, nei quali i contenuti (negli esempi citati soprattutto ma non esclusivamente musica) vengono condivisi da una comunità di utenti, dalle cosiddette "community", veri e propri "club" o circoli telematici che si aggregano attorno ad argomenti specifici. O ancora all'utilizzo di internet nel mondo accademico: dalla condivisione delle risorse di calcolo, all'esperienza degli archivi elettronici di preprint (cioè siti in cui una comunità di studiosi pubblica i propri risultati in forma elettronica prima che essi appaiano in forma cartacea su riviste accademiche, tipicamente con grande ritardo). O ancora al giornalismo "dal basso" della galassia dei siti di indymedia.org, che, con lo slogan "don't hate the media, be the media", propongono un'informazione in cui la distanza tra gli autori ed i lettori è ridotta al minimo e spesso si annulla.

Nei prossimi interventi di questa serie cercheremo di studiare piú da vicino questi modelli di interattività e di comprendere davvero quanto è importante per fare cosa da parte di chi.

Alberto Berretti berretti@berretti.org

4 aprile 2002

 


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quattro modelli (più uno) di interattività


"Interattività" è una parola magica con la quale molto spesso le zucche vengono trasformate in carrozze.


Però
con internet, l'interattività -- la comunicazione tra "uguali" a due vie -- è veramente possibile.

Con tutti gli sviluppi e le conseguenze che comporta.



Stiamo parlando di quelli che oggi vengono chiamati servizi "peer-to-peer", "da pari a pari" in italiano, in cui i ruoli di autore e di fruitore dell'informazione sono intercambiabili: se ne parla come di una novità di oggi, mentre in realtà si tratta di un ritorno all'origine (essendo internet molto piú vecchia del web).



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