Scoppiati e nemici, le cronache raccontano di omicidi legati al distacco tra coniugi. Sono casi estremi. Ma la realtà delle coppie finite resta un problema drammatico.
Morire in famiglia, per mano di chi fino a ieri amava, sta aggiungendo uno sconcerto nuovo al normale orrore per i fatti di sangue. La cronaca, che ci sta abituando a furiosi sterminatori di parentele allargate e a giustizieri implacabili di mogli e figlie, fornisce dettagli e testimonianze, analisi e commenti. Ma non riesce a evocare la grandezza funesta delle tragedie antiche. Ci inchioda ad annichilenti miserie moderne.
Non c'è epica nel gesto di Mauro Antonello, disgraziato carpentiere di Chieri che aspetta l'uscita da casa della figlioletta per massacrare l'ex moglie, la suocera, i cognati e i vicini di casa: otto morti e 40 colpi d'arma da fuoco, l'ultimo per se stesso. E non c'è pathos nella furia di Renzo Finamore, ex comandante della Guardia di finanza di Reggio Emilia che, prima di suicidarsi, tortura e uccide una moglie forse infedele, una figlia innocente e il suo giovane fidanzato. C'è solo — deformato da problemi individuali che nessun esperto della psiche si è permesso questa volta di interpretare — il segno quel dolore terribile che può accompagnare le separazioni e i distacchi.
Perché di separazione si muore spesso nel nostro paese, anche se non più spesso che in altri paesi e non in quantità maggiore del passato. Come dimostrano dati costanti che ripetono da anni la stessa cifra: un centinaio di morti violente l'anno per depressioni senza scampo o rabbie senza controllo che seguono a una separazione coniugale.
Gianna Schelotto, che ha appena scritto un libro sul tema, "Distacchi e altri addii", dice che gli uomini partono svantaggiati al momento della rottura di un matrimonio, perché in realtà non si sono mai separati veramente dalla propria madre, passando da una dipendenza materna a una coniugale. Ida Magli, che indaga da sempre l'universo fallocratico, pensa che ci sia stato un crollo disastroso dell'autostima personale da cui soprattutto i maschi — che hanno sempre connesso potenza sessuale e potere familiare e sociale — non riescono a riprendersi.
Marcello Veneziani vede invece i mostri della cronaca spuntare da quell'eccesso di amore che ci affoga tutti e che significa possesso dell'altro, desiderio di conferma e prova di esistere davvero. Tutti comunque puntano il dito sulla vischiosità dei tempi, sulla mancanza di limiti e sull'assenza di sbocchi naturali per l'aggressività.
Ma George Eliot più di un secolo fa ci avvertiva: «In ogni separazione v'è un'immagine della morte» . La famiglia nucleare, come la conosciamo oggi, era appena cominciata e le separazioni coniugali piuttosto rare.
C'è stato poi Freud che ci ha messo di fronte a eros e thanatos abituandoci a capire che ogni distacco da un oggetto d'amore è un lungo lutto che rievoca strappi antichi e mai sanati.
Avvertimenti che non consolano, ma che rendono meno assolute le colpe della grande accusata di sempre, la società contemporanea, la sua organizzazione anaffettiva, la sua tv, le sue leggi insufficienti. Che comunque vanno adeguate ai tempi. O almeno ai numeri.
Gli italiani che nel 1971 arrivarono a una separazione legale furono appena 37 mila ed erano certo molto diversi dai 130 mila che si sono separati ufficialmente nel 1999. Come erano diversi i divorziati: 34 mila nel 1971 (record che seguì all'approvazione della legge sul divorzio dell'anno prima), 67 mila nel 1999. Sono cifre che ci tengono a distanza dal resto dei paesi occidentali (dove si divorzia dieci volte di più), ma che non ci privano dello stesso strascico di liti e conflitti. Tanto che negli usi e negli abusi mondani della separazione non siamo secondi a nessuno.
Anche noi mentiamo e brighiamo per avere l'affidamento dei figli, per ottenere più soldi o per screditare il vecchio partner. Le mogli vendicative rovinano tranquillamente l'immagine di un uomo, come ha fatto in Perù l'ex signora Fujimuri raccontando imbrogli e ruberie del marito presidente, e come aveva già fatto in Italia l'ex moglie di Mario Chiesa che, per dare la prova delle vere entrate del marito, diede la prima traccia di Tangentopoli. E se Ivana Trump si prende con il divorzio la metà dei beni del marito magnate, Luciano Pavarotti non è da meno per tacitare la moglie abbandonata.
Quando non ci sono altre armi, si passa alla calunnia o al dileggio. Può sembrare divertente la bella Liz Hurley che racconta come Hugh Grant non fosse un granché a letto, lo è meno Al Bano quando, per avere l'affidamento delle figlie, accusa Romina Power di drogarsi con allucinogeni.
Si è infine affacciato anche in Italia quello sporco espediente che porta ad accusare ingiustamente l'ex coniuge di violenza sessuale verso i figli (fece scuola Mia Farrow contro Woody Allen). Piatti ricchi per gli avvocati divorzisti, che stanno diventando divi, come Cesare Rimini e Anna Maria Bernardini de Pace.
Qualcuno ha pensato che, per mettere pace almeno su un fronte del rapporto con i figli, andasse rivista la legge proprio sul punto dell'affidamento, fino ad oggi appannaggio quasi esclusivo delle madri (solo l'8 per cento dei separati si vede riconoscere l'affidamento congiunto).
Questo qualcuno è in realtà una sola persona, che per mole di attività e per passione applicata al fare ne vale cento. Si chiama Marino Maglietta e dirige "Crescere insieme", un'associazione di padri separati molto incattiviti con le ex mogli. Ha ispirato una proposta di legge che nel giro di un anno è diventata un testo unificato, in discussione nelle prossime settimane. Vi si propone un cambiamento radicale per le abitudini e le tradizioni della famiglia italiana.
L'affidamento, che ora si chiamerà "condiviso", sarà dato ad entrambi i genitori, le spese saranno divise tra i due separati e la casa coniugale sarà lo spazio comune di incontro. Un idillio se i due ex coniugi vanno d'accordo, probabilmente un inferno se - come spesso accade - tra i due c'è rancore o odio.
Ma il disegno di legge della maggioranza ha già una storia difficile. Non piace per esempio al ministro delle Pari opportunità Stefania Prestigiacomo che lo va a dire a Bruno Vespa in televisione, contraddetta da Carla Mazzuca dell'Ulivo, che lo difende con convinzione.
Schieramenti trasversali che torneranno probabilmente a scontrarsi anche su un dettaglio, messo là senza troppo clamore. Si parla infatti di tutela del figlio da parte di entrambi i genitori "fin dal concepimento", una novità assoluta che riporta in primo piano il tema dell'aborto e del possibile veto del partner maschile.
Non a caso la più contraria all'affidamento condiviso è Alessandra Mussolini, irruente paladina dei diritti civili in controtendenza con il suo partito.
La parlamentare di AN ha presentato una sua proposta di legge, in verità molto equilibrata, dove si cerca di tutelare il genitore non affidatario dalle angherie di quello che si è tenuto i figli, ma dove si ribadisce l'importanza, psicologica e normativa, di un'unica figura di riferimento. La Mussolini è stata aiutata da un gruppo di mediazione familiare piuttosto di sinistra, la Simef, che si occupa di negoziare le esigenze dei separandi.
Quella del mediatore familiare è una figura professionale recente nell'ambito dei servizi sociali. Sul modello di esperienze americane e canadesi, il mediatore non cura e non consiglia, accetta il conflitto come base di negoziazione e, se va bene, accompagna la coppia a una separazione decente. Se avrà vita lunga in Italia, lo dirà il tempo.
Ma comunque vada finire, l'aggiornamento delle norme sulle separazioni sembra un piccolo tassello nel terremoto che va investendo la famiglia italiana. Che anche da noi non è più una, ma multipla, allargata, singola, monogenitoriale, omosessuale. Un cambiamento che non ha riscontro nei numeri, ma che, trascinato dal comportamento di ceti medio alti e di élite intellettuali, sta cambiando il comune sentire sulla famiglia.
Ci sono nuclei che accolgono i figli di primo e secondo letto e anche qualche figlio di partner presenti o passati. Ci sono figli senza padre per scelta programmatica della madre. Ci sono nonni che riaccolgono in casa la figlia divorziata permettendole una seconda adolescenza e prendendosi carico dei nipoti. Ci sono coppie di fatto che fanno molti figli e forse si sposeranno e forse no. Ci sono ragazzi che cominciano a seguire i modelli del nord Europa e si guardano bene dal cominciare un matrimonio senza un lungo tirocinio alla convivenza.
Ha notato acutamente Gustavo Charmet che forse «c'è un'intelligenza della specie al servizio della sopravvivenza che si attiva proprio per far fronte a tutti questi cambiamenti che vengono chiamati "epocali"». È una bella immagine ed è probabile che sia così, che la natura si incroci con la cultura per prepararci un futuro di diverse opportunità.
Quarant'anni fa la grande antropologa Margaret Mead scriveva: «Abbiamo costruito un sistema familiare basato sulla monogamia, sulla fedeltà a vita, sulla sicura sopravvivenza di entrambi i genitori, ma non abbiamo elaborato leggi per quando questo matrimonio viene meno». Non resta che guardarsi intorno, accettando il nuovo che chiede cittadinanza anche laddove sembrano esserci le resistenze più forti. Le leggi, come sempre accade, seguiranno il mutamento.
Qualche giorno fa due omosessuali italiani si sono sposati presso il consolato francese a Roma grazie ai Pacs, i patti civili di solidarietà che in Francia regolano le unioni di fatto. Lo hanno potuto fare perché uno di loro aveva una doppia nazionalità. C'è da scommettere che in capo a qualche anno non ce ne sarà più bisogno.