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René Girard – Vedo Satana cadere come la folgore, Milano 2001, edizioni Adelphi, pgg.250, € 20,66.
L’indagine antropologica ci ha a lungo abituati ad una reductio del pensiero religioso alla griglia interpretativa, di volta in volta, storica, sociologica, economica, mitica. Soprattutto quest’ultima è stata disinvoltamente adoperata con i più svariati fini, utilizzando metodologie comparativiste ed unificazioniste prive di fondamento documentale e di coerenza metodologica. In netta controtendenza, le opere di Girard rappresentano con autorevolezza un filone di studi assolutamente diverso, che riconosce all’ambito religioso una specificità fondamentale, non assimilabile tout-court alla struttura mitica. Tale specificità diviene anzi il centro poietico da cui si diparte ed in cui ritorna ogni tentativo ermeneutico sul sacro. Deprivato di astrazioni unificanti di dubbia provenienza e di pressoché totale infondatezza teologica e filosofica, il sacro, quel qualcosa che secondo Girard, “domina l’uomo tanto più agevolmente quanto più l’uomo si crede capace di dominarlo”, ritorna al centro delle sue proprie categorie ermeneutiche, riconquista il diritto di interpretarsi attraverso i propri strumenti, di là di ogni astrazione unificante ed ogni forzato comparativismo.
Come specifica bene già nelle pagine introduttive, Girard ritaglia gli elementi del suo attacco ad ogni forma di comparativismo selvaggio, unicamente dalla considerazione delle strutture antropologiche fondamentali messe in essere dalle culture mitiche e dalla tradizione cristiana. Ogni considerazione propriamente teologica o metafisica è, di fatto, esclusa.
L’ambito tematico entro cui si muove il lavoro di René Girard, è quello del sacrificio. Nel corso degli ultimi decenni Girard ha accuratamente esplorato la dinamica sacrificale ed in particolare il concetto di capro espiatorio come momento essenziale del rinsaldamento del vincolo sociale delle culture mitiche. In un percorso partito oltre venti anni fa nell’imponente La violenza e il sacro, il lavoro di Girard si è fatto via via più specifico ed attento al valore fondante, nelle culture mitiche, della violenza rituale, e del suo ciclico rinnovarsi. I miti di fondazione legati all’omicidio rituale (Romolo, Caino) ben rappresentano il carattere di violenza mimetica su cui si regge il patto sociale dell’antropologia mitica. La società è il luogo di azione e riproduzione di desideri mimetici, imitativi, e delle rivalità ed antagonismi che da tali desideri si instaurano. L’uomo innesta la propria macchina desiderante in rapporto allo sguardo, ai desideri ed alle realizzazioni dell’altro. Il comportamento è mimetico, concorrenziale. La struttura sociale diviene il terreno di interazione di contraddizioni, frustrazioni, invidie, pietre di inciampo della compagine sociale.
Il meccanismo della rivalità mimetica, una delle forme del Satana biblico, trova la propria risoluzione e la propria ciclica riproduzione nel meccanismo vittimario, nella vendetta collettiva del sacrificio che colpisce, preferibilmente, il marginale, il diverso, sia esso derelitto, minorato o profeta. Le società tradizionali rinsaldano cosi la propria struttura, all’apice delle frizioni interne generate dalla rivalità mimetica degli individui e dalle frustrazioni di quest’ultima. Le rivalità individuali si scatenano sul nemico collettivo, il quale proprio in virtù del suo ruolo viene divinizzato e reso sacro. La società rinnova il suo patto attraverso il rito dello spargimento del sangue del capro espiatorio. Il tutti contro tutti si risolve in un tutti contro uno. Così Apollonio di Tiana scaccia la pestilenza da Efeso, inducendo la folla a lapidare un miserabile mendicante cieco, identificato come nemico degli dei e responsabile della loro ira.
Il cristianesimo, nell’analisi vasta ed acuta di Girard, interrompe il meccanismo vittimario; la pubblicana condannata alla lapidazione diviene il fulcro di un’interruzione del ciclo della violenza mimetica, il cortocircuito del meccanismo vittimario. Il “chi è senza peccato scagli la prima pietra” viene visto da Girard come elemento palese di una specificità che rende la rivelazione cristiana come il luogo della novità e della differenza irriducibile a qualsiasi tentativo di rozzo comparativismo e riduzionismo mitico. Il porre al centro della rivelazione la vittima come intoccabile, la generazione del perdono e della pietà come elementi fondanti del patto sociale, costituiscono la grande novità della rivelazione che contrasta con il ciclo sacrificale delle religioni tradizionali, tradendone l’essenza e costituendo, di fatto, un unicum specifico ed imprescindibile. La Croce si trasforma, in sostanza, nel trionfo decisivo ed ultimo della vittima, e, nel contempo, nel disvelamento definitivo e collettivo della spregevolezza contenuta nella violenza mimetica, nel meccanismo vittimario. La base di un nuovo patto collettivo.
Un tassello importante, l’opera di Girard, nell’ambito di una utile ed urgente revisione dell’attitudine riduzionistica ed unificazionista che, purtroppo, diverse scuole di approccio al sacro hanno prodotto in questi anni. L’apparentemente ingenua e romantica invenzione dei molti sentieri per un’unica meta, in cui però tutto affoga nel comparativismo selvaggio, trova, a partire da opere come quella del Girard, una risposta convincente e solida.
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