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Il filo e la memoria
Massimo Marra
(AA.VV. Lo Specchio dell'Alchimia, 44 trattati di Alchimia dall'antichità al XVIII secolo scelti e tradotti da Sabina e Rosario Piccolini, 3 volumi di 330. 312, 348 pagine, Mimesis, Milano 2001)
Le filet
d' Ariadne, pour entrer avec seureté dans le labirinthe de la philosophie
hermetique.
( Paris, Chez Laurent d'Houry 1695) è il
titolo di un classico testo alchemico, oggi in genere attribuito a Gaston de
Claves. Ed è anche, probabilmente, il riferimento del suggestivo titolo scelto
da Sabina e Rosario Piccolini per la loro ennesima raccolta di testi alchemici
pubblicata dalla Mimesis di Milano, casa editrice che riconferma così
brillantemente una lodevole linea editoriale già da vari anni assai attenta alla
pubblicazione di testi ermetici classici. Per quanto ricordiamo, il lavoro di
raccolta e pubblicazione di testi della tradizione alchemica di Sabina e
Rosario Piccolini, comincia nel lontano 1986 con la pubblicazione del
Libro
di Alchimia
(MEB edizioni, poi ristampato con il titolo di
La biblioteca
degli alchimisti nel 1996 ). Nel 1996 per i tipi della Mimesis viene
pubblicato
Lo Specchio dell’alchimia
(altro titolo di chiara ispirazione
tradizionale, che richiama la lunga tradizione degli specula medievali)
con nove nuovi titoli tra cui, se la memoria non ci inganna, alcuni trattati mai
tradotti prima in alcuna lingua moderna.
La recente pubblicazione dei tre volumi de Il filo d’Arianna, dunque, rappresenta il coronamento di un lavoro intrapreso con pazienza ed abnegazione già da molti anni, e si presenta obbediente al medesimo approccio metodologico delle raccolte precedenti. Scarnissime e brevissime le notizie biografiche e bibliografiche, raggruppate in fondo al terzo volume, sintetica ed in forma antologica l’introduzione che apre la raccolta. Inesistente o quasi l’apparato critico-ermeneutico ai testi. Unica preoccupazione dei curatori appare l’assoluta letteralità della traduzione, in uno sforzo di resa pura ed impersonale del messaggio tradizionale disperso e frammentato nelle trappole simboliche e nelle allusioni cifrate della letteratura alchemica. Nessuna curiosità erudita, nessuna complessa indagine storica o tentazione ermeneutica. Tutto ciò il lettore potrà cercare altrove, nell’ormai abbondante letteratura che indaga – spesso senza eccessiva attenzione - la storia dell’alchimia e dell’ermetismo occidentale.
Nelle oltre 900 pagine di testi tradizionali presentati in questa raccolta, il lettore troverà una traduzione attenta ed affidabile, un frequente riferimento ai passi dell’originale latino (assai spesso riportati in nota) ed alle varianti reperibili in edizioni diverse dello stesso testo.
Non è improbabile che la tendenza attuale che bolla con le stigmate della risibilità o dell’inattendibilità ogni tipo di operazione intorno all’ermetismo che sfugga alla mera logica storica, archeologica o, peggio, psicoanalitica, possa accogliere con malcelato fastidio la comparsa dei volumi de Il Filo di Arianna. Impegni di studio e divulgazione come quello costituito da questa trilogia, rappresentano indubbiamente in modo efficace la vitalità – molto più della semplice sopravvivenza – di una tradizione occidentale che da più parti tende a considerarsi avvicinabile solo sotto il profilo archeologico, o, al più, attraverso le griglie interpretative junghiane. La presenza di un numero notevole di soggettività o gruppi di persone che in maniera consapevole – ed indipendentemente da ogni possibile considerazione di valore – si richiamano esplicitamente alla tradizione ermetica ed all’alchimia, sembra essere costantemente obliata ed ignorata dalla maggior parte degli studiosi contemporanei. Si preferisce considerare l’alchimia ed il mondo simbolico ed esoterico ad essa correlato come essenzialmente morto, svalutando ogni sopravvivenza residuale ed ogni manifestazione evidente di vitalità come pura rappresentazione parodistica o vuota pretesa ermetizzante.
Non ci interessa, in questa sede, esprimere pareri in merito all’attendibilità ed alla serietà dei moderni, sedicenti e non, ricercatori della pietra filosofale, che in tutto il mondo continuano la loro ricerca e manifestano in vario modo la loro presenza. Non spetta certo a noi, in questa sede, separare il loglio dal grano e l’onestà dalla ciarlataneria, che pure sappiamo essere presente ed anzi abbondante nell’intero milieu esoterico contemporaneo e nel composito mercatino ad esso correlato. Ci preme soltanto evidenziare l’atteggiamento fondamentalmente scorretto di gran parte di quegli studiosi che, rivendicando una spesso traballante dignità meramente “scientifico-archeologica” del loro interesse per l’alchimia, preferiscono ignorare o, peggio, in taluni casi, considerare con sufficienza quanti sono oggi, probabilmente, rappresentanti vivi di una tradizione composita che si connota ancora oggi come ricerca spirituale viva ed autenticamente vissuta di uomini di fedi e culture diverse. Ignorare la presenza attiva di ermetismi ed alchimisti nella modernità, significa operare una falsificazione del resto assai utile affinché nessun punto di vista alternativo alle gabbie interpretative imposte dalla cultura ufficiale (che si tratti dell’atteggiamento di mero approccio filologico e storico o di quello, particolarmente pernicioso, dell’ermeneutica junghiana) possa essere seriamente preso in considerazione. Il che, considerando la carica profondamente eversiva che il concetto stesso di una spiritualità attivamente e fattivamente vissuta e perseguita conserva nella cultura contemporanea, ci pare costituire una efficace adesione ai soffocanti paradigmi del positivismo imperante e dei suoi gendarmi e secondini.
La dichiarazione di morte dell’alchimia, frettolosamente redatta in libri e qualificatissime sedi congressuali, permette finalmente il libero corso alle più rocambolesche autopsie, la più violenta vivisezione e manipolazione da parte di qualunque metodologia interpretativa sia plasticamente compatibile con l’imperativo epistemologico laico e scientista della modernità. Un rassicurante confinamento della debordante ed ancora incoercibile ricchezza tradizionale entro l’angusto sacello di forzature e mere astrazioni del ventaglio ermeneutico offerto dalla cultura contemporanea, una sorta di castrazione chirurgica che permetta di manipolare infinitamente ciò che per sua stessa natura si qualifica come incommensurabile ed indecodificabile, splendido e mutageno debordare di universi nascosti e vibranti sotto la superficie della rappresentazione quotidiana dell’esistere e del conoscere.
Insopportabili terre di mezzo, regni infrequentabili di repentine fughe al sacro, sospesi tra l’inafferrabile materia dei sogni e quella ugualmente imprendibile dei corpi dimenticati nella confusione semiotica della modernità, i sentieri dell’alchimia, quando non sono la parodistica mercatura della babele occultistica, conservano una carica di sovversione culturale direttamente proporzionale alla loro indecodificabilità, alla loro indocilità a griglie interpretative semplicistiche e rassicuranti di un riduzionismo più o meno ammantato di autoreferenziale autorevolezza scientifica.
Come la morte, il corpo, la malattia, il piacere, l’estasi e l’amor mistico, la magia e l’alchimia devono trovare, nella cultura contemporanea, la loro giusta nemesi o, al limite, implacabile detenzione in una benevola e strutturata composizione multidisciplinare che ne sbudelli ogni possibile ipotetica e falsificabile rappresentazione sociologica, storica, psicologica, nella noncuranza più o meno assoluta di ogni tipo di codice interno che la tradizione in oggetto proponga in alternativa al già ben attrezzato ed inquadrato ricercatore. Il cui impulso principale non è certo quello, romantico e poco scientifico, di addentrarsi nudo nel mistero, ma piuttosto di piegare ogni ombra ed ogni luce di intensità e colore inaspettati alle rassicuranti codificazioni del suo ben attrezzato ed ordinatissimo bagaglio teoretico (e, sia detto per inciso, la vasta schiera dei tradizionalisti guénoniani o evoliani di varia estrazione non sfugge certo a logiche simili, anche se di colorito apparentemente opposto). Riduzionismo e forzatura, assolutismo culturale e conseguente approssimazione scientifica, sono, in fondo, peccati veniali perdonati di buon grado al volenteroso Mengele dello spirito e delle tradizioni di turno.
Ciò che l’alchimia tradizionale propone attraverso il suo linguaggio simbolico a chi invece giochi la carta dello smarrirsi liberamente nei suoi allettanti e pericolosi labirinti, è solo l’allusione ad un mistero le cui chiavi sono offerte con la prudenza e la complicità criptica della trasmissione tradizionale. All’alchimista corre l’obbligo di ritrasmettere e conservare intatto il patrimonio tradizionale per coloro che seguiranno in avvenire le orme lasciate dalla natura stessa di cui artisti pietosi hanno disegnato la forma tra testi oscuri, allusioni dense di incognite, e simbolismi vari e nascosti. E' a questo obbligo tradizionale che obbediscono le traduzioni dei testi classici, le raccolte e le collezioni.
Debitamente filtrato dall’attenzione filologica e dalla consumata competenza dei traduttori, lo spirito che anima le raccolte di Sabina e Rosario Piccolini appare dunque proprio essere il medesimo che animava i curatori delle grandi raccolte di testi alchemici che, tra XVI e XVIII secolo, hanno tramandato il corpus di testi tradizionali più diffusi e commentati. Una tradizione, quella delle raccolte, che riporta direttamente ad opere capitali nella storia dell’alchimia : dai dieci trattati del De Alchemia (Petreus, Nurnberg. 1541, forse il primo esempio di raccolta tematica di autori diversi) fino ai centoquarantatre trattati inclusi nella Bibliotheca Chemica Curiosa del Manget (Geneva 1702). Ai talvolta anonimi curatori di raccolte e compendia si deve l’onere della selezione e, sovente, della traduzione in lingue diverse da quel latino che, nelle opere alchemiche a stampa, a partire dal XVI secolo, inizia a cedere almeno in minima parte il passo alle diverse lingue nazionali. L’obiettivo evidente è quello di guidare il lettore oltre il mare magnum dei testi alchimistici di soffiatori ed imbroglioni, presentando al volenteroso studioso i testi più affidabili e consacrati dalla tradizione, in cui con maggior probabilità di riuscita la ricerca febbrile dell’artista potrà ottenere risposte a dubbi operativi e guida sicura.
Unico limite che in chiusura ci permettiamo di rilevare, oltre ad una talvolta migliorabile qualità della stampa tipografica di parte del corredo iconografico, cui, in ogni caso, avremmo preferito veder dedicato maggior spazio (alcune immagini sono ingiustificabilmente piccole) è l’assenza del testo a fronte. Forse, avremmo preferito un minor numero di trattati (o un maggior numero di volumi, dal momento che comunque i volumi sono vendibili anche singolarmente) ed un formato diverso che contemplasse la presenza del testo originale. Ma, si sa, è ingiusto pretender tutto e subito dalla vita…
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