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STORIA DELLA MEDICINA E FILOSOFIA DELLA MEDICINA
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Evandro Agazzi - professore ordinario di Filosofia Teoretica - Università di Genova.
Membro dell'Accademia dei Lincei


Traduzione dall'inglese a cura della d.ssa Lucilla Congiu

Articolo pubblicato per la prima volta in Anthropos & Iatria - rivista italiana di Studi e Ricerche sulle medicine Antropologiche e di Storia delle medicine, ( www.medicinealtre.it ), anno VII, n° 4, pp. 8-10, riprodotto per gentile concessone dell'autore che ne detiene i diritti. Riproduzione vietata con qualsiasi mezzo.

 

 
Adelbert Seligmann: lezione di chirurgia di Theodor Billroth (al centro).

 

Le riflessioni che seguono vogliono essere un contributo al dibattito circa un tema attuale, cioè quello dell’insegnamento della storia della medicina. Questo, infatti, può essere considerato da diversi punti di vista: scopi, contenuti, metodologia, contesti, e via dicendo; tuttavia le questioni che affiorano all’interno di questi vari punti di vista dipendono dalla risposta che si dà a una domanda preliminare, che potremmo chiamare quella della “giustificazione” della storia della medicina.

Intenderemo qui per “giustificazione” la risposta a una “domanda sul perché”, che nel nostro caso si articola in due sottodomande: “Perché la storia della medicina?” e “Perché insegnare la storia della medicina?”. Una prima risposta alla “domanda sul perché” relativa alla storia della medicina è, ovviamente, il richiamo alla curiosità intellettuale (ossia. si fa storia della medicina perché essa è intellettualmente interessante), ed è la giustificazione comune ad ogni tipo di ricerca storica. Proprio per questo non ha alcuna rilevanza specifica rispetto alla storia della medicina. Ecco perché questa  prima motivazione non fornisce una giustificazione al secondo quesito, quello relativo all’insegnamento della storia della medicina, dal momento che questo insegnamento ha la struttura di una disciplina accademica istituzionalizzata il cui inserimento in particolari curricula richiede una giustificazione basata su specifiche e significative ragioni di rilevanza e importanza. Questa situazione riguarda, tuttavia, l’insegnamento di qualsiasi branca della storia, e non solo la storia della medicina. Ecco perché la risposta a questa domanda può essere considerata in una luce piuttosto generale.

 

Lo studio della storia

   Una prima motivazione per lo studio della storia di un particolare settore dell’attività umana può essere che esso contribuisce in maniera significativa a una migliore comprensione delle caratteristiche di una certa cultura o civiltà durante una data epoca o in un dato periodo. In altre parole, se la storia “generale” non viene intesa semplicemente come la registrazione di eventi militari, dinastici, politici e diplomatici, è inevitabile che appaiano auspicabili certe  integrazioni, specialmente quelle riguardanti le caratteristiche generali delle società, e che porzioni più o meno vaste di informazioni, relative soprattutto agli aspetti economici, giuridici o religiosi, siano comprese nel quadro della storia”generale”. Tuttavia persino vasti campi quali la letteratura, l’arte e la filosofia, che sono certamente tra i fattori più significativi in grado di gettar luce sullo spirito e le qualità intrinseche di una certa cultura o epoca, sono solitamente trascurati in tale quadro, e questo nonostante gli studi storici afferiscano normalmente all’ambito delle discipline umanistiche, in cui l’apprezzamento di tali contributi è più facile da raggiungere. Non c’è dunque da meravigliarsi che le informazioni storiche relative alle scienze, alla tecnologia e, in particolare, alla medicina, occupino un posto del tutto marginale nei quadri convenzionali della storia generale.

Ciò corrisponde a una concezione della storia che è certamente limitata ed angusta, e che sta venendo a poco a poco superata, ma che corrisponde a una lunghissima tradizione, secondo la quale l’oggetto della storia erano le res gestae, ossia le azioni concrete (e grandi), gli eventi e cambiamenti palpabili prodotti dalle imprese umane. Le idee, gli  ideali, i progressi nel campo della conoscenza, le dimensioni spirituali della vita umana non erano compresi nell’ambito della storia generale, sebbene per secoli siano stati oggetto di attenzione da parte di storici “specializzati”. Questo avvenne sin dai tempi più antichi per la letteratura e la filosofia, e in tempi più recenti si è verificato anche nel caso delle arti figurative, del diritto, dell’economia, delle scienze e anche della medicina. In tutti questi casi la conseguenza è stata il costituirsi di molteplici “storie specialistiche”, spesso con una solidissima e gloriosa tradizione accademica, che si sono sviluppate non all’interno del, ma accanto al campo ufficiale degli studi storici. In conseguenza di tutto ciò dobbiamo riconoscere che un’adeguata considerazione dei contenuti di queste storie specialistiche contribuirebbe notevolmente a una migliore comprensione di una data cultura o epoca, ma che questo non ha prodotto un significativo ampliamento nell’orizzonte degli storici professionisti, bensì, nella migliore delle ipotesi, la presenza di alcuni insegnamenti di “storie speciali” (specie di tipo economico e scientifico) in certi dipartimenti di storia di alcune università.

Dobbiamo perciò esplorare una seconda motivazione, che consiste nella convinzione che una prospettiva storica possa offrire una migliore comprensione della natura e del significato di un certo ambito disciplinare, come quelli compresi nella letteratura, nell’arte, nella religione, nelle scienze e, in particolare, nella medicina. Questo ha a che fare con l’acquisizione della consapevolezza della ”dimensione storica” di tutte le manifestazioni dell’attività umana, comprese quelle spirituali, e solo una tale consapevolezza è in grado di fornire una “giustificazione” alla storia di tali discipline che vada al di là della semplice (per quanto legittima) motivazione della “curiosità”. In altre parole, dovremmo essere capaci di spiegare perché, ad esempio, la conoscenza della storia della letteratura è “utile” per un poeta, un romanziere, uno scrittore, quella della storia della pittura è utile per un pittore, o quella della storia della musica per un musicista, e ancora, perché la conoscenza della storia della filosofia è utile per un filosofo e quella della storia della matematica, della fisica o della medicina è utile per un matematico, un fisico o un medico. Solo se riuscissimo a dimostrare questo saremmo autorizzati ad affermare che, per ottenere un’adeguata padronanza della propria disciplina, ogni persona che la coltiva seriamente dovrebbe conoscerne anche la storia. Da ciò conseguirebbe facilmente che l’insegnamento di questa storia dovrebbe essere una parte importante della formazione degli specialisti delle suddette discipline.

A prima vista il soddisfacimento di una tale condizione sembra talmente improbabile che saremmo portati a concludere che questo tipo di “giustificazione” non può essere fornita. In effetti, come si può affermare seriamente che è necessaria un’informazione di tipo storico perché una persona sia in grado di produrre un lavoro eccellente nell’ambito della letteratura, della filosofia, della pittura, della musica, della matematica, della fisica o della medicina? Quanto è richiesto sembra ridursi (oltre ai doni e alle inclinazioni personali) a un’adeguata formazione professionale e a una specifica abilità nei singoli ambiti, accompagnate da una conoscenza dello stato attuale dell’arte. Questo, tuttavia, è vero solo in parte. Nel caso delle discipline umanistiche, ad esempio, è normale che scrittori e poeti acquistino la loro maturità letteraria attraverso una familiarità  profonda e diretta con le opere degli autori del passato, che i filosofi acquisiscano profondità di pensiero e sviluppino la loro riflessione meditando le opere dei filosofi passati, che il talento artistico nell’ambito delle arti figurative sia alimentato dallo studio della produzione artistica degli autori del passato. Nel caso delle scienze questo fatto è meno ovvio, ma non meno reale: basti notare che la formazione di qualsiasi scienziato comprende lo studio di molti manuali che illustrano gran parte della conoscenza che è stata accumulata nei secoli, prima di pervenire ai contenuti che corrispondono ad acquisizioni  più recenti, e ciò equivale a dire che la grande eredità storica è incorporata nello stato attuale delle scienze, sebbene manchi un’esplicita consapevolezza di questa storicità.

 

Storicità e autoconsapevolezza disciplinare

Si potrebbe osservare che quanto abbiamo detto indica che in qualunque disciplina il fatto di “venire a contatto” con la sua storia (intesa come il suo concreto sviluppo nel passato) è o inevitabile o, quantomeno, molto vantaggioso, ma ciò non equivale al riconoscimento che “lo studio della storia” della disciplina (cioè lo studio della narrazione di questo sviluppo) è o necessario o vantaggioso. Tuttavia è evidente che un’esplicita conoscenza dello svolgimento storico di una disciplina, un quadro del suo sviluppo cronologico, della sua contestualizzazione rispetto ad altri aspetti del suo ambiente storico nelle diverse epoche favorisce notevolmente la penetrazione e la valutazione di quelle produzioni della disciplina a cui possiamo accostarci solo superficialmente attraverso un contatto “diretto”. In altre parole, la prospettiva storica contribuisce in modo sostanziale alla presa di coscienza del significato dei contenuti di una determinata disciplina, non solo perché questi si capiscono meglio se si sa come si sono formati, ma anche perché possono essere esplicitate parecchie relazioni con altri elementi all’interno della stessa disciplina e al di fuori di essa. Naturalmente, ciò potrebbe non accrescere gran che il livello tecnico della prestazione realizzata nell’ambito di una determinata disciplina, ma  contribuisce certamente a una più piena padronanza di essa e, indirettamente, anche a una miglior pratica di essa, nella misura in cui l’aumento di consapevolezza, atteggiamento critico e attenzione prestata al contesto e alle relazioni stimola indubbiamente la creatività personale e favorisce la scelta delle giuste linee di comportamento. Ecco perché la conoscenza della storia di una disciplina può essere “utile” per i cultori di tale disciplina e, quindi, perché il suo insegnamento è raccomandabile nella loro formazione curricolare.

C’è un’altra ragione per cui la ricerca storica merita una valutazione positiva, ed è il fatto che essa non implica semplicemente il soddisfacimento di una “curiosità”, ma rappresenta piuttosto una forma di omaggio che l’umanità tributa a se stessa. L’attenta delineazione di un fedele quadro dei fatti, eventi, istituzioni, usanze, visioni del mondo e pratiche di una cultura o comunità del passato, unita alla cura per un’accurata ricostruzione delle sue caratteristiche “com’erano veramente”, richiede una sorta di atteggiamento amoroso, totalmente indipendente da qualsiasi “utilità” rispetto alle nostre attuali esigenze. Una certa “passione” empatica per un argomento è normalmente alla radice della decisione di studiarlo storicamente. Se applichiamo questa considerazione generale alle singole discipline, possiamo dire che ricostruire la storia di una di esse costituisce un omaggio che questa disciplina tributa a se stessa mediante lo sforzo di capire meglio le sue caratteristiche peculiari, di cogliere la sua identità specifica, di valutare il suo particolare contributo alla crescita della civiltà umana. Da questo punto di vista la conoscenza della storia di una disciplina (e l’insegnamento di questa storia) può contribuire  notevolmente all’apprezzamento del suo significato culturale.

 

Una storia filosoficamente sensibile

Se queste sono le giustificazioni fondamentali della storia di una disciplina, e della medicina in particolare, esse includono anche l’indicazione degli scopi fondamentali che l’insegnamento di questa storia dovrebbe perseguire: essi sono essenzialmente una migliore comprensione della natura della disciplina, una riflessione critica sul suo sviluppo e la sua costituzione, un apprezzamento del suo significato culturale. Il perseguimento di questi scopi, tuttavia, non è ugualmente favorito da qualsiasi tipo di storia. In particolare, è scarsamente favorito da quei modelli di storia della scienza e della medicina che erano comuni nel passato e che potremmo chiamare “positivisti”. In base ad essi, la storia di una disciplina doveva consistere nella registrazione cronologica di “fatti” la cui scelta e il cui significato erano determinati dal punto di vista della scienza attuale, cosicché una storia di questo genere poteva  essere vista come una parata di verità ed errori, di pratiche giuste e sbagliate, che avrebbero faticosamente condotto alla posizione corretta rappresentata dallo stato attuale della disciplina. Non c’è bisogno di dire che questo modello poteva al massimo soddisfare la “curiosità” di cui abbiamo parlato, ma era influenzato da un atteggiamento veramente “anti-storico”, consistente  nella pretesa di capire e valutare gli eventi passati secondo l’attuale stato della conoscenza e gli attuali criteri di convalida della conoscenza e della pratica. Un atteggiamento autenticamente storico, al contrario, consiste nello sforzo di comprendere e valutare gli eventi passati in riferimento ai contenuti di sapere, alla cornice cognitiva e ai criteri per convalidare la conoscenza e la pratica accettati in quel tempo, e questo inevitabilmente comporta la considerazione sia della struttura e dei contenuti “interni” della disciplina, sia del suo sfondo culturale “esterno”. Dicendo questo vogliamo sottolineare, ad esempio, che lo storico della medicina deve cercare di riprodurre le osservazioni, i preparativi, le manipolazioni che hanno portato a certi “risultati”, usando gli stessi metodi e strumenti utilizzati dalle persone che hanno ottenuto tali risultati in un dato periodo storico. Ma anche le concezioni generali relative alla natura della vita, alla costituzione e al funzionamento degli organismi, alle cause della malattia, alle relazioni tra “struttura” interna e contesto esterno, alla reciproca influenza delle componenti fisiche e spirituali dell’uomo devono essere prese in considerazione per capire e spiegare molti “fatti” storici della medicina.

Potremmo riassumere tutto questo dicendo che un’autentica storia della scienza e, in particolare, della medicina, dev’essere accompagnata da una certa sensibilità filosofica, intesa come sensibilità ai molteplici fattori che hanno influenzato e tuttora influenzano i contenuti e la pratica della scienza, e in special modo della medicina. Soltanto una tale apertura mentale, ad esempio, può aiutarci a comprendere il vero significato del contrasto tra iatromeccanica e iatrochimica nel 17° secolo, o il vero significato del passaggio all’ideale di una medicina “scientifica” nel 19° secolo, con i suoi corollari “sperimentali”. Ma c’è ancora di più. Attraverso un simile approccio filosofico-storico possiamo valutare molto meglio la contingenza del modello “fisicalista” di medicina tuttora prevalente nella medicina contemporanea, coglierne i punti di forza e di debolezza e divenire consapevoli dell’esigenza di una medicina più globale e “umana”, esigenza sempre più largamente avvertita ai giorni nostri. In effetti, un tale approccio fisicalista non è stato determinato da alcuna ragione “interna” alla medicina, ma è stato piuttosto la conseguenza della fortuna di una visione filosofica nota come “dualismo cartesiano”, secondo cui l’uomo è costituito dalla giustapposizione di due sostanze indipendenti, il corpo, materiale, e la mente, spirituale, il primo dei quali può essere adeguatamente studiato come macchina in base ai concetti, alle leggi e ai principi delle scienze fisiche, che forniscono anche gli strumenti per interpretare e riparare i danni di questa macchina (cioè le malattie). Questa visione non solo ha prodotto gravi difficoltà nella cura delle malattie mentali e nella costituzione stessa della psichiatria, ma ha reso difficile ai dottori capire che ciò che devono guarire è il paziente, e non la sua malattia o il suo corpo danneggiato.

Inoltre, la considerazione della storia della medicina in questo spirito “filosofico” ci rende consapevoli della complessa contestualizzazione sociale ed etica dell’”arte” medica, aprendo così le nostre menti alla considerazione di questi aspetti, considerazione che sta diventando indispensabile nelle nostre società. Di conseguenza, se concepiamo la “formazione” dei medici come qualcosa destinato a fornire loro la competenza, l’atteggiamento personale, la disposizione mentale per affrontare le complesse questioni che la pratica della professione esige da loro, sembra fuori dubbio che l’insegnamento di una storia della medicina concepita secondo lo spirito appena invocato è di grande importanza per il conseguimento di questi obiettivi.

 

 

 

 

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