Un'altra
figura di particolare rilievo tra i pensatori dell'antica Grecia è quella di Pitagora,
per il quale mancano documenti storici provanti la paternità delle scoperte che
gli vengono attribuite. Nessuna biografia di Pitagora ci è pervenuta e l'alone di mistero che circonda la sua
figura è ancora molto ampio.
Nato a Samo,
nella Grecia ionica, nel 570 a.C., Pitagora viaggiò molto:
sicuramente andò in Egitto e a Babilonia, forse anche in India, e probabilmente
ebbe contatti con Talete; anzi, la leggenda lo vorrebbe suo discepolo, ma la
differenza d'età fra i due (circa 50 anni) rende improbabile quest'ipotesi.
Verso il 530 a.C. si stabilisce a Crotone, una delle tante città fondate dai greci dorici durante la loro espansione nell'Italia meridionale e qui fonda una società segreta e di tipo comunitario (le scoperte e le conoscenze erano "in comune", non appartenevano al singolo), passata alla storia con nome di “Scuola Pitagorica”. Certo il termine scuola non è da intendersi in senso letterale; le informazioni a noi giunte per mano degli stessi storici antichi la descrivono come una confraternita o una setta culturale-religiosa i cui adepti, rigorosamente selezionati, avevano severissimi principi ai quali obbedire. I loro studi e le loro scoperte dovevano restare segreti e anonimi. Realtà e leggenda si fondono nei racconti degli storici sulla fine usualmente tragica di coloro che, tradendo il giuramento di segretezza, avevano divulgato notizie sulle scoperte della scuola.
Verso la fine
del secolo i pitagorici dovettero lasciare Crotone, da dove furono cacciati per
motivi politici. Pare che
Pitagora, rifugiatosi a Metaponto, vi morisse dopo
poco tempo, mentre i discepoli, sparsi per tutta la Grecia, continuarono
l'insegnamento e la tradizione culturale del loro grande maestro. Parlare delle
opere dei pitagorici non è certamente facile per la varietà delle discipline
che affrontarono. Trascurando di descrivere idee politiche e religiose, va
segnalato che si occuparono di musica, acustica, astronomia, scultura,
anatomia, poesia, matematica, insomma di quasi tutti i settori della cultura,
delle scienze e dell'arte.
Il nome di Pitagora
è rimasto famoso nella storia perché legato a una proprietà dei triangoli
rettangoli, già conosciuta dai geometri egizi per il triangolo di lati 3, 4, 5
e da quelli indiani per il triangolo di lati 5, 12, 13.
È noto che egizi
e indiani si servivano di questi triangoli per disegnare angoli retti, ma quasi
sicuramente non si preoccuparono di indagare sulle applicazioni geometriche
delle caratteristiche di quelle terne di numeri.
Considerando infatti i quadrati dei numeri della terna, si osserva che il quadrato del numero che rappresenta il lato maggiore è uguale alla somma dei quadrati degli altri due; ma interpretando geometricamente la proprietà si dice che il “quadrato costruito sul lato maggiore (ipotenusa) ha l'area uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati (cateti)”.
La tradizione
riconosce a Pitagora il
merito di avere per primo generalizzato questa proprietà dimostrando che è vera
per qualsiasi triangolo rettangolo. Quale sia stata l'autentica dimostrazione
fornita da Pitagora è difficile da stabilire; quella che segue, e che viene a
lui attribuita, gode del vantaggio di una facile interpretazione. Considerando sui lati di
un quadrato quattro punti alla stessa distanza dai vertici , li si congiungono
in modo da scomporre il quadrato in quattro triangoli rettangoli uguali e in un
quadrato Q. Disponendo i quattro triangoli in altro modo, il quadrato
iniziale resta scomposto nei quattro triangoli rettangoli del caso precedente e
nei due quadrati Q1 e Q2.
Se poi si
osserva che il lato del quadrato Q è l'ipotenusa di uno dei quattro triangoli
rettangoli e che i lati dei quadrati Q1 e Q2 sono i cateti dello stesso triangolo, si
perviene alla conclusione che il quadrato costruito sull'ipotenusa del
triangolo rettangolo è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui
cateti.
I pitagorici
ebbero anche il merito di avere dimostrato che la proprietà può essere
invertita; cioè se in un triangolo il quadrato costruito sul lato maggiore è
equivalente alla somma dei quadrati costruiti sugli altri due, il triangolo è
rettangolo nel vertice opposto al lato maggiore. I triangoli di lati 3, 4, 5 e
5, 12, 13 degli egizi e degli indiani rappresentano un caso particolare del
precedente criterio. La questione di attribuire a Pitagora e ai suoi discepoli la definitiva paternità
del famoso teorema non esclude che in altri tempi, anche più remoti, e in altri
luoghi, altri matematici siano giunti alla stessa conclusione. Già il fatto
che, diversi secoli prima della nascita di Pitagora, egizi e indiani
costruissero allo stesso modo angoli retti, utilizzando triangoli rettangoli
diversi, deve far riflettere. Inoltre, come già detto, il teorema era
ampiamente conosciuto e applicato in Mesopotamia; peraltro anche su un antichissimo
documento cinese, il libro di Chou Pei Suan King, scritto intorno al 1000 a.C.
(cioè cinque secoli prima di Pitagora) è riportata una costruzione geometrica
che dimostra il teorema di Pitagora.
La scoperta
della relazione tra i lati del triangolo rettangolo si può interpretare da un
punto di vista aritmetico con la ricerca di tre numeri tali che il quadrato del
maggiore uguagli la somma dei quadrati degli altri due.
Già le terne
3, 4, 5 e 5, 12, 13 soddisfano questa
condizione e, come è facile verificare, ciascuna terna ne determina infinite
altre, moltiplicando gli elementi di questa per uno stesso numero.
La ricerca di
terne composte da numeri non divisibili per uno stesso numero che non sia 1
(tali numeri sono detti “primi tra loro”) interessò in modo particolare i
pitagorici; ne rimasero così affascinati da attribuirgli significati mistici e
magici. Tradotto nel linguaggio moderno il problema consiste nel determinare
tre numeri interi primi tra loro tali che, indicandoli con x, y, z,
sia x2+y2 = z2.Questa equazione, che
rappresenta in senso algebrico il problema, è universalmente chiamata
“equazione pitagorica”.
La soluzione
fornita da Pitagora è la seguente: “se n è un numero intero qualunque, i tre elementi
della terna si ottengono così: il primo è dato dal doppio del numero scelto
aumentato di 1 (x = 2*n+1), il secondo dal doppio del quadrato del numero scelto aumentato
del doppio del numero (y = 2*n2+2*n) e il terzo
aumentando di 1 il precedente (z = 2*n2+2*n+1)”.
Scegliendo, per esempio, come numero n l'unità (cioè 1), i tre numeri
sono:
x = 2*1+1 = 3
y = 2*12 +2*1 = 4
z = 2*12 +2*1+1 = 5
determinando
così la terna individuata dagli egizi. Scegliendo n = 2, i numeri
risultanti sono:
x = 2*2+1 = 5
y = 2*22 +2*2 = 12
z = 2*22 +2*2+1 = 13
ottenendo
così un'altra terna (5, 12, 13) già nota agli indiani. È evidente che, potendo
assegnare al numero n infiniti valori, si possono ottenere infinite terne e poiché
da ciascuna di queste se ne determinano quante se ne vogliono, il problema
dell'equazione pitagorica è risolto con infinite soluzioni.
Non trascurando l'origine geometrica della questione, si può dire che “tutti i triangoli aventi i lati rappresentati dai numeri di una terna pitagorica sono triangoli rettangoli”. Questa affermazione, rigorosamente vera, propone una nuova questione: i lati di un qualunque triangolo rettangolo sono esprimibili con i numeri di una terna pitagorica? Prendiamo per esempio un triangolo rettangolo i cui cateti misurano 5 e 6, e cerchiamo di individuare il terzo numero che rappresenta l'ipotenusa. Se questo numero esiste, dovrà essere tale che il suo quadrato uguagli la somma dei quadrati di 5 e di 6. E poiché:
52 = 25 62 = 36 25+36 = 61
l'ipotenusa è
rappresentata da un numero il cui quadrato è 61. E questo numero, almeno fra
gli interi, non esiste. I pitagorici si posero, anche se in termini diversi, questo
problema la cui importanza nella storia della matematica risulterà di notevole
portata.
La scoperta
delle terne "magiche" offre già un esempio delle ricerche che Pitagora e i suoi
discepoli fecero nel campo dei numeri interi. La profonda indagine sui singoli
numeri e il modo di interpretare le relazioni esistenti tra essi costituiscono
uno degli aspetti più affascinanti del pensiero dei pitagorici.
Pitagora considerava il
numero come espressione di tutte le cose e pensava di poter interpretare le misteriose
leggi dell'universo studiando e scoprendo le proprietà e le relazioni tra i
numeri. Questo concetto, che ai giorni nostri lascia certamente perplessi, non
era completamente fondato su un'immagine fantastica della realtà, anche se è
indubbio che la venerazione per i numeri raggiunse una dimensione mistica
eccessiva. Pitagora, che si era occupato di acustica e di musica, aveva
scoperto che l'altezza delle note musicali dipende dal rapporto numerico tra le
lunghezze delle corde vibranti, per cui l'armonia del suono è conseguenza di
certe relazioni tra i numeri.
Questa constatazione dà
un'idea di ciò che Pitagora intendesse quando pensava di interpretare l'armonia
dell'universo con i "segreti" dei numeri; così come emblematica
dell'approccio dei pitagorici a questo tema la loro teoria secondo la quale le distanze dei corpi celesti dalla Terra erano
esprimibili con numeri il cui rapporto è uguale a quello trovato per le note
musicali. L'armonia nel suono e l'armonia nella disposizione delle stelle nel cielo
hanno la stessa origine nelle relazioni tra numeri. Questa immagine che può far
sorridere l'uomo moderno, abituato ormai a convivere con la concretezza della
tecnologia sempre più avanzata, dovrebbe invece far riflettere sul fatto che da
sempre l'uomo ha cercato di leggere nella natura, dando ai fenomeni osservati
un'interpretazione idonea a soddisfare il suo bisogno di sapere.
Inoltrandoci
con i pitagorici nella ricerca di particolari proprietà dei numeri, incontriamo
il “numero perfetto”, ottenuto dalla somma dei suoi divisori, escluso il numero
stesso. Sono dunque "numeri perfetti" il 6 (perché la somma dei suoi
divisori, tranne il 6, è data da 1+ 2 + 3 = 6) e il 28 (la somma dei suoi divisori, escluso
il 28, è data da 1+2+4+7+14 = 28). Si può verificare che dopo il 28 le medesime caratteristiche
sono proprie dei numeri 8 128 e 33 550 336; è quindi forse la rarità con cui
questi numeri si presentano ad attribuirgli la qualità di
"perfezione".
Esistono poi coppie di “numeri amici”: sono quelle nelle quali uno dei due è la somma dei divisori (escluso il numero stesso) dell'altro. Sono perciò "amici" i numeri 220 e 284, come è facile verificare:
di 220
(escluso 220):
1, 2, 4, 5,
10, 11, 20, 22, 44, 55, 110;
di 284
(escluso 284):
1, 2, 4, 71,
142;
somma dei
divisori di 220:
1+2+4+5+10+11+20+22+44+55+110 = 284;
somma dei
divisori di 284:
1+2+4+71+142 = 220.
Particolarmente
interessante è poi l'immagine geometrica dei numeri che i pitagorici
rappresentavano, partendo dall'unità, con particolari figure. In questo modo
classificavano i numeri triangolari, quadrati, pentagonali, esagonali, a
squadra .
Ogni numero
triangolare rappresenta la somma di un numero intero e di tutti i suoi
precedenti e si ottiene dalla formula : (n+1)*n /2.
Ogni numero
quadrato rappresenta il prodotto di un intero per se stesso: dall'intero 2
ottengo il numero quadrato 4, da 3 il numero quadrato 9, da n il numero
quadrato n2.
I numeri
pentagonali si ottengono applicando la formula: (3n2 -n)/2, perciò dall'intero
2 deriva: (3*22-2)/2 = 5, da 3 deriva 12 e così via.
Per i numeri
esagonali la formula relativa è 2n2-n e quindi da 2 si ottiene 6 (2*22-2 = 6), da 3 si ottiene 15 e
così via.
La
rappresentazione a squadra, possibile solo per i numeri dispari, illustra come
un numero dispari e sempre il risultato di una sottrazione tra due particolari
numeri quadrati: quelli ottenuti da due interi consecutivi la cui somma dà il
numero dispari in questione.
Sempre con la
rappresentazione a squadra si vede che ogni numero quadrato ottenuto da un
intero n è uguale alla somma dei primi n numeri dispari.
Vi sono poi i
numeri rettangolari la cui raffigurazione può essere usata per tutti i numeri
pari salvo il 2 e per tutti i numeri dispari tranne quelli divisibili solo per
se stessi e per l'unità.
In altre
parole per tutti i numeri a eccezione dei numeri “primi”, che venivano detti
anche "lineari", proprio perché potevano essere rappresentati solo da
punti disposti lungo una sola dimensione.
Va però aggiunto che fra i pitagorici alcuni non consideravano il 2 (né l'1) un vero e proprio numero e pertanto riferivano la caratteristica di rappresentazione unidimensionale solo ad alcuni numeri dispari e precisamente a quelli primi.
Le
rappresentazioni geometriche dei numeri e alcune loro proprietà danno l'idea
dell'aritmogeometria dei pitagorici, cioè di quel procedimento di studio basato
sul principio che dalla forma della figura rappresentante il numero fosse
possibile scoprire tutte le proprietà del numero e viceversa.
Proprio questa convinzione, che racchiude alcune verità, portò i pitagorici a un'eccezionale scoperta, quella del numero “irrazionale”, che segnò il crollo dei loro miti in questo campo.
La concezione
pitagorica di numero e l'idea di poter rappresentare con numeri interi
relazioni tra figure geometriche implica l'importante concetto di commensurabilità.
Supponiamo di avere due segmenti e di volere stabilire alla maniera di Pitagora, con numeri interi, la
relazione tra le loro lunghezze . Se i due segmenti sono uguali, la relazione è
espressa usando (due volte) solo il numero 1: il loro rapporto è 1/1 perché un segmento contiene, o è contenuto,
esattamente una volta nell'altro. Se il primo segmento contiene il secondo due
volte o tre volte, la relazione è espressa dalle coppie (2, 1) e (3, 1) ovvero
(1, 2) e (1, 3) per indicare che il primo ha lunghezza doppia, tripla del
secondo ovvero che il secondo contiene una volta la metà o la terza parte del
primo, come avviene in ogni misurazione.
Nel
linguaggio simbolico scriviamo:
Nell'ipotesi
che i due segmenti non siano uno multiplo dell'altro, per trovare la coppia di
numeri che esprime il loro rapporto basterà dividere in parti uguali uno dei
due, fino a trovare una parte contenuta esattamente nell'altro.
Il procedimento prima mostrato dovrebbe essere valido in ogni caso; si tratta di dividere uno dei due segmenti in parti uguali fino a trovare una parte, sia pur piccolissima, contenuta nell'altro. È su questo concetto che si basa la commensurabilità, la possibilità cioè di trovare due numeri interi con cui esprimere il rapporto. I pitagorici erano convinti dell'esistenza di questi due numeri perché, considerando il segmento un insieme di punti immaginati come piccoli granelli disposti uno dopo l'altro, pensavano che come caso estremo fosse il punto stesso la parte di un segmento contenuta esattamente nell'altro; erano cioè convinti che due segmenti fossero sempre commensurabili e il loro rapporto fosse esprimibile con un numero che oggi chiamiamo “numero razionale”.
Ma a
incrinare l'apparente ineccepibilità di questo ragionamento furono gli stessi
pitagorici allorché, cercando il rapporto tra due particolari segmenti, il lato
e la diagonale del quadrato, si accorsero di non essere in grado di determinare
i due numeri interi. Costruito un quadrato il cui lato sia l'unità di misura
delle lunghezze, cioè 1, la sua area è evidentemente 1. Il quadrato costruito
sulla sua diagonale avrà, conseguentemente, un'area doppia, cioè 2.
Se il lato
del quadrato misura 1, quale numero esprimerà la lunghezza della diagonale? Per
determinarlo si dovrà cercare quel numero che moltiplicato per se stesso (cioè
elevato al quadrato) dia 2. Poiché 12 = 1 x 1 = 1 e 22 = 2 x 2 = 4 è chiaro che il numero cercato è maggiore di 1
e minore di 2. Ciò vuol dire che il lato del quadrato è contenuto nella
diagonale più di una volta ma meno di due.La ricerca si deve indirizzare tra i
numeri decimali compresi tra 1 e 2:
1,12 = 1,1x 1,1 = 1,21
1,22 = 1,2x 1,2 = 1,44
1,32 = 1,3x 1,3 = 1,69
1,42 = 1,4x 1,4 = 1,96
1,52 = 1,5x 1,5 = 2,25
Se ne deduce
che il numero cercato è maggiore di 1,4 ma minore di 1,5. Il che significa che
la diagonale contiene la decima parte del lato più di 14 volte ma meno di 15.
Di conseguenza la ricerca va proseguita tra i numeri decimali compresi tra 1,4
e 1,5:
1,412 = 1,41x 1,41 = 1,9881
1,422 = 1,42x 1,42 = 2,0164
Il numero cercato è dunque maggiore di 1,41 ma
minore di 1,42. La diagonale contiene perciò la centesima parte del lato più di
141 volte ma meno di 142. A questo punto la ricerca dovrebbe procedere tra i
numeri compresi fra 1,41 e 1,42, cioè tra numeri decimali con tre cifre dopo la
virgola e poi, se necessario, tra quelli con quattro cifre decimali e così via.
In effetti si potrebbe continuare all'infinito senza riuscire a trovare il
numero cercato. “Il lato e la diagonale del quadrato non sono segmenti
commensurabili; non esiste alcuna parte del lato contenuta esattamente nella
diagonale”.
Questa scoperta, che i pitagorici fecero, li mise in notevoli difficoltà.
L'esistenza di due segmenti "ribelli" alla loro concezione di commensurabilità segnò il crollo di tutte le loro teorie in proposito; la crisi in cui precipitarono fu tale da indurli a minacciare severe punizioni per chi avesse rivelato il loro grande segreto. La leggenda vuole che uno dei pitagorici, Ippaso, non avendo rispettato l'omertà, fu cacciato dalla comunità e perì in mare durante la fuga, folgorato dalla vendetta di Giove. Se in questa leggenda ci fosse qualcosa di vero, andrebbe allora ascritto a Ippaso il merito di avere aperto un nuovo orizzonte nella storia della matematica. L'errore commesso dai pitagorici consisteva nella loro concezione granulare di punto e, di conseguenza, nell'immagine del segmento costituito da punti accostati come le perle di una collana. “Il punto è invece un ente privo di dimensioni; in un segmento, per quanto piccolo, esistono infiniti punti; dato un punto su un segmento non è possibile individuare il successivo”. Da qui l'esistenza di grandezze incommensurabili che, dopo il caso storico della diagonale e del lato del quadrato, vennero alla luce più numerose di quanto non si pensasse.
Al punto privo di dimensioni segue l'immagine del segmento, e della linea in generale, privi di spessore, a una sola dimensione. Le figure geometriche diventano “enti astratti”, cioè solo immaginabili dalla nostra mente, e le loro rappresentazioni sono soltanto delle necessarie materializzazioni.
Il problema del quadrato ha comunque lasciato aperta la questione
della determinazione della misura della diagonale. Appurato che essa è
inesprimibile con un numero decimale finito, si può dimostrare che nessuna frazione,
cioè nessun numero razionale, è in grado di farlo. Se si vuole indicare questa
misura rispetto al lato del quadrato, è inevitabile scegliere tra valori
approssimati che rappresentano “per difetto” e “per eccesso” un numero
irrazionale. Ricorrendo al simbolo , se il lato del quadrato
misura 1 indichiamo la lunghezza della diagonale con
, valore al quale tendono
i valori approssimati visti prima:
valori
approssimati per difetto
1 1,4
1,41 1,414 1,4142
;
valori
approssimati per eccesso
2 1,5
1,42 1,415 1,4143
.
Se per
esempio il lato del quadrato misura 1 m, per la diagonale possiamo scegliere le
misure 1,4 m, 1,41 m, 1,414 m..., che sono minori di quella reale, oppure 1,5
m, 1,42 m, 1,415 m..., che sono maggiori. In un certo senso siamo costretti a
commettere un errore ma, potendo scegliere quante cifre decimali indicare dopo
la virgola, questo errore può diventare tanto piccolo da ritenersi
trascurabile. Se per il quadrato con lato di 1 m scegliamo di indicare la lunghezza
della diagonale con il valore 1,414 m, commettiamo un errore inferiore a un
millimetro e diciamo che il valore scelto è un'approssimazione per difetto “a
meno di un millesimo” del valore reale; infatti un solo millimetro in più porta
a 1,415 m che è un'approssimazione per eccesso “a meno di un millesimo”.
Più cifre decimali si aggiungono e più si riduce l'errore. Ma resta il fatto
che a quel segmento ben visibile ai nostri occhi è impossibile assegnare una
misura esatta.
I greci
utilizzavano queste scoperte per fini eminentemente pratici: infatti nel VI
secolo a. C. Eupalino di Megara diresse la costruzione di un acquedotto
attraverso le montagne dell'isola di Samo, ma il modo con cui giunse a questa
realizzazione per gli storici costituisce ancora un mistero. Nonostante la
matematica si fosse sviluppata come una scienza volta a risolvere problemi
pratici, con i greci essa si precisava come una disciplina teorica, che andava
poi confortata da prove concrete.
Con l'introduzione dei numeri irrazionali
si giunge alla definizione dei numeri reali, cioè di tutti i numeri esistenti
(salvo i numeri complessi) che si dividono, appunto, in razionali e
irrazionali. A questo punto può essere utile riepilogare la classificazione dei
numeri, facendo un'importante premessa. L'introduzione dei numeri relativi,
ossia dei numeri preceduti da un segno( + per i numeri positivi, - per quelli negativi), così importante per risolvere e
rappresentare concrete situazioni della vita quotidiana e rendere sempre possibile
la sottrazione, ha avuto vita tutt'altro che facile. Se già nel secolo VII d.C.
gli indiani usavano i numeri negativi e positivi con naturalezza, al punto di
formulare la legge dei segni (il prodotto di segni concordi è positivo, quello
di segni discordi è negativo), per molti secoli a seguire illustri matematici
europei, da Cartesio a Pascal a Carnot, rifiutavano i numeri negativi
definendoli privi di significato, fittizi, forieri di assurdità. Solo da poco
meno di duecento anni i numeri negativi hanno raggiunto la "pari
dignità" a tutti gli effetti.
I numeri
naturali: costituiscono un insieme infinito di interi positivi indicato con N
(N).Rappresentano lo
strumento per ordinare gli elementi di un insieme (in questo caso sono detti
ordinali: primo, secondo, terzo...) o per contarne gli elementi (in questo caso
sono detti cardinali: uno, due, tre...). Per esempio il primo elemento di N, lo
zero, indica la cardinalità (ossia il numero degli elementi) di un insieme
vuoto. Addizione e moltiplicazione sono operazioni sempre possibili in N: la
somma di due numeri naturali è sempre un numero naturale e lo stesso vale per
il prodotto. La sottrazione è invece possibile solo quando il minuendo è
maggiore del sottraendo. Infine la divisione e possibile solo quando il
dividendo è multiplo del divisore e questo è diverso da zero.
I numeri
interi relativi: costituiscono un insieme infinito di interi sia positivi sia
negativi, indicato con Z (Z).La loro introduzione ha
reso sempre possibile la sottrazione tra interi. Come si vede, in questo caso N
è incluso in Z; in simboli
.
I razionali
relativi: vengono ormai correntemente chiamati solo numeri razionali, ma è bene
precisare che questo insieme infinito, indicato con Q, contiene tutti i numeri
esprimibili in forma frazionaria (compresi gli interi) sia positivi sia
negativi. N e Z sono quindi inclusi in Q (in simboli ).
L'introduzione
dei numeri razionali ha reso possibile la divisione quando il dividendo non è
multiplo del divisore. Va aggiunto che, essendo implicito il termine
"relativi" quando si parla di numeri razionali, volendo considerare
solo la parte non negativa di Q, si ricorre al termine di razionali assoluti e
al simbolo Qa che indica l'insieme di tutti i razionali privati del segno,
considerando cioè solo il valore assoluto di ogni elemento.
I numeri irrazionali (relativi): costituiscono l'insieme (infinito) dei numeri decimali illimitati non periodici, cioè dei numeri non esprimibili come frazioni. Il simbolo che li rappresenta è I, con il quale si indicano gli irrazionali assoluti.
I numeri
reali (relativi): comprendono sia i numeri razionali sia i numeri irrazionali,
costituendo così un insieme (infinito), indicato con R, piuttosto affollato: N,
Z, Q e I sono inclusi in R; l'unione di Q e I coincide con R. Anche per i reali
assoluti si usa il simbolo Ra.