Gli stati Usa cambiano clima
Quando ha annunciato che gli Stati uniti ignoreranno il Protocollo di
Kyoto sul clima, Washington ha dato una semplicissima motivazione:
applicare quel trattato e ridurre le emissioni di gas «di serra» sarebbe
un danno per l'economia americana. Con quell'annuncio, nel marzo del
2001, l'amministrazione di George W. Bush ha inaugurato una politica
ambientale degna di attila - dalle prospezioni petrolifere nelle riserve
naturali (ad esempio in Alaska), fino all'ultima modifica alla Clean Air
Act («Legge sull'aria pulita») che permetterà a vecchi impianti
industriali e centrali elettriche americane di evitare controlli sulle
emissioni e interventi tecnologici per ridurle (terraterra, 24
novembre). Sembra di capire però che i singoli stati Usa prendano la
questione con molta più cautela. In particolare per ciò che riguarda il
cambiamento del clima: dallo studio compiuto da un centro indipendente
di ricerca risulta che almeno 9 stati hanno cominciato a prendere
iniziative per promuovere energie rinnovabili e/o tagliare le emissioni
di anidride carbonica, senza aspettare decisioni federali.. Lo studio è
stato compiuto dal Pew Center on Global Climate Change, e i nove stati
sono Georgia, Massachussetts, Minnesota, Nebraska, New Jersey, North
Carolina, Oregon, Texas e Wisconsin: stati assai diversi per
orientamento politico, oltre che per popolazione e uso dell'energia.
Il Texas ad esempio, stato altamente petrolifero (oltre che patria dei
Bush), ha cominciato a promuovere le energie rinnovabili e in
particolare quella
eolica.
Ridurre le emissioni di gas di serra non è l'obiettivo esplicito, ma in
un certo senso un effetto collaterale della legge energetica statale che
include l'obiettivo di produrre il 2,2% dell'elettricità con fonti
rinnovabili entro il 2009. E' poca cosa, ma il programma di promozione
di eolico e altro ha avuto un tale successo che ora l'amministrazione
texana pensa di aver posto una soglia troppo bassa - riferisce l'autore
dello studio Barry Rabe, professore di politica ambientale
all'Università del Michigan (le sue dichiarazioni sono riportate
Environmental News Network). Soprattutto, altri 16 stati hanno
approvato legislazioni sul modello di quella texana, con una soglia
minima di
energia
rinnovabile.
Il Wisconsin è
andato ben oltre, e con una politica più esplicitamente mirata a
contenere le emissioni di gas di serra: già dal 1993 ha istituito un
registro obbligatorio di tutti gli impianti che producono grandi
quantità di anidride carbonica, in modo che lo stato abbia una misura
precisa delle emissioni di CO2 prodotte dalle singole aziende. Questo
servirà nel prossimo futuro a registrare eventuali tagli di queste
emissioni, cosa a cui le aziende hanno interesse perché ci guadagneranno
«crediti» di emissioni da rivendere sul quel grande mercato virtuale (ma
assai redditizio) che sarà il commercio di emissioni, detto anche il
mercato dell'aria calda.
Interessante anche
il caso del New Jersey: qui nel 1998 l'allora commissario all'ambiente
emanò una strategia decennale che stabilisce l'obiettivo di tagliare il
totale delle emissioni di gas di serra dello stato del 3,5% rispetto al
livello del 1990 enytro il 2005. Questa fu emanata come ordinanza con il
pieno appoggio dell'allora governatrice (repubblicana) Christine Todd
Whitman, che oggi è a capo dell'ente federale per l'ambiente (Epa) -
ovvero è la ministra per l'ambiente di Bush, di cui sembra abbia subìto
a denti stretti la decisione di tirarsi fuori da Kyoto.
Secondo l'autore
del rapporto ci sono alcuni elementi comuni a queste politiche - più o
meno decise ma tutte nel senso di controllare le emissioni di gas di
serra. Quello principale è il vantaggio economico: che si tratti di
risparmio energetico o di futuro commercio di emissioni, il legame tra
politiche del clima e tornaconto finanziario è chiaro. L'altro è che c'è
quasi sempre un consenso bi-partisan. Lo studio sottolinea anche i
limiti di tutto questo: mancanza di fondi, frammentazione, «patchwork»
di misure diverse stato per stato. In definitiva, le iniziative degli
stati non sostituiscono una politica coerente nazionale per il clima.
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