ARTICOLO

 

Terra Terra

MARINA FORTI

da "il manifesto" del 19 Gennaio 2000
 
Davvero l'Agip vuole entrare nel "Progetto Ciad Camerun"? La notizia è circolata il mese scorso, e ha spinto un'ottantina di associazioni e organizzazioni non governative italiane (coordinate dalla "Campagna per la riforma della Banca Mondiale") a chiedere spiegazioni. Temono che l'azienda petrolifera nazionale vada a mettersi in un nuovo "caso Nigeria" - dove il petrolio ha portato distruzione ambientale e violenza contro le popolazioni locali. Il "Progetto Ciad-Camerun" è tra le più controverse imprese petrolifere messe in cantiere con il sostegno della Banca mondiale. Prevede la perforazione di 300 pozzi di petrolio nella regione meridionale del Ciad, paese poverissimo dell'Africa saheliana, mai davvero uscito da decenni di guerre civili post-coloniali. Un oleodotto lungo circa 1.100 chilometri trasferirà il greggio, attraverso tutto il Camerun, fino alla costa. Il progetto è condotto dal consorzio Exxon-Elf Aquitaine-Shell; il costo si attesta ora sui 3,5 miliardi di dollari. La Banca mondiale lo finanzia in nome della "lotta alla povertà". Di recente però Shell e Elf Aquitaine si sono parzialmente defilate e Exxon cerca di convincere nuovi partners che le cose sono ormai in avanzato stato di definizione, che non ci sono particolari problemi tecnici e neppure politico-sociali.

Ma ciò è falso, ed è per questo che le associazioni italiane hanno indirizzato una lettera al presidente dell'Eni, Gian Maria Gros-Pietro (e ai ministri degli esteri e del tesoro, oltre che al direttore esecutivo italiano presso la Banca Mondiale Franco Passacantando). Fanno presente che nel 1998 e nel '99 si sono tenute in Ciad due riunioni di "concertazione nazionale"; l'ultima ha chiesto la moratoria di due anni del finanziamento del progetto petrolifero, per garantire nel frattempo che i proventi siano reinvestiti in programmi di lotta alla povertà e sviluppo sociale nella regione, e che gli impatti ambientali e sociali siano davvero mitigati. Al momento, in barba alla "lotta alla povertà", non c'è alcuna garanzia che la ricchezza petrolifera andrà a beneficio delle popolazioni. Non esiste un piano efficace di risposta alle fuoriuscite di petrolio che accompagnano sempre l'attività estrattiva. L'inquinamento delle falde acquifere - dove l'acqua per irrigazione è già scarsa - rischia di compromettere le attività economiche tradizionali, l'agricoltura e la pesca nel lago Ciad, senza vera contropartita per chi perderà le sue fonti di sussistenza. La Exxon ha cominciato gli espropri di terre, spesso in natura o per compensi risibili, creando già conflitti interni. L'anno scorso un parlamentare locale è stato arrestato per aver criticato il progetto. Insomma, le premesse ci sono tutte perché il Ciad-Camerun diventi un nuovo caso Nigeria. L'Italia, con l'Agip, sarà tra i responsabili?

 
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