ARTICOLO

 

Terra Terra

MARINA FORTI

da "il manifesto" del 24 Novembre 1999
 
La foresta di Chiquitano, nella regione amazzonica della Bolivia orientale, è l'ultimo pezzo di foresta a "canopea chiusa" intatta rimasto al mondo. E' anche il luogo dove un consorzio di multinazionali dell'energia guidato dalla texana Enron vuole far passare una pipeline di gas. Ed è pure un esempio di quanto delicato sia l'esercizio di "negoziazione ambientale" in cui si lanciano a volte grandi organizzazioni ecologiste internazionali. La polemica sulla foresta di Chiquitano data dal 1998. Il progetto di gasdotto San Miguel-Cuiaba (che collega Bolivia e Brasile attraversando la protettissima foresta) ha suscitato le proteste di organizzazioni ambientali sia latinoamericane che internazionali, oltre alle organizzazioni locali per i diritti sociali. Oltre a danneggiare la foresta, temono, la costruzione del gasdotto aprirà la strada a tagliatori di legno piccoli e grandi, progetti minerari e cacciatori di fortuna in una delle zone più isolate rimaste nell'Amazzonia: non sarebbe la prima volta, il solo fatto di aprire strade e piste nella foresta vergine porta con sé i disboscatori. Nonostante tutto nel giugno scorso la Overseas Private Investment Corporation (Opic, ente finanziario decentrato del governo degli Stati uniti) ha deciso di finanziare il progetto Enron-Shell con crediti per 200 milioni di dollari. L'Opic poteva addurre, tra l'altro, l'argomento che l'impatto ambientale del progetto sarebbe stato considerato e minimizzato d'accordo con le organizzazioni ambientaliste. In effetti la sezione latinoamericana del Wwf aveva negoziato con Enron 20 milioni di dollari in "compensazioni ambientali" da pagare alle ong locali e ai leader indigeni.

Uno "scivolone" da parte del Wwf, che è stato sconfessato dalle organizzazioni indigene: "Mentre stiamo unendo le nostre forze per opporci al pogetto, gruppi internazionali intavolano negoziati paralleli", disse un furibondo comunicato scritto della coalizione indigena, che poi parlava di "maquillage verde" e denunciava la "manipolazione". La buona fede del Wwf latinoamericano non sembra in discussione - del resto continuava a fare campagna contro il gasdotto, anche mentre negoziava le "compensazioni". Ma certo accettare risarcimenti non è un buon modo di condurre un'opposizione - invece di coalizzare le organizzazioni ambientaliste e sociali, locali e internazionali. Il Wwf deve aver riconosciuto l'errore, perché di recente ha annunciato che non continuerà ad avallare il "piano di conservazione" negoziato con Enron. Ne da notizia l'ultimo bollettino del Movimento internazionale per le foreste pluviali (World Rainforest Movement), rete di organizzazioni ambientaliste e sociali: "Si spera che ciò convincerà l'Opic a rivedere la decisione sul gasdotto".

 
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