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Shell lava più verde |
MARINA FORTI |
da "il manifesto" del 15 Dicembre 2000 |
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La campagna
pubblicitaria è accattivante: bellissime foto di foreste vergini,
animali selvaggi, bei volti di genti africane. Il marchio dell'azienda
spesso è solo una silhouette. Lo slogan è: "Profitti e principi: c'è una
scelta?". E le risposte sono una vera dichiarazione di principi: "Sempre
più spesso alla Shell stiamo scoprendo
i vantaggi di rispettare l'ambiente quando facciamo affari". "Se stiamo
esplorando riserve di gas e petrolio in una regione ecologicamente
delicata, consultiamo ampiamente i diversi gruppi di interesse locali e
globali per garantire che in ogni luogo la biodiversità sia rispettata".
"Alla Shell siamo impegnati a sostenere
i diritti umani fondamentali".
Sì, è proprio Royal Dutch Shell a farsi
pubblicità sui grandi media occidentali con queste frasi: un esempio di
greenwash , un bel "lavaggio verde", propaganda per rifarsi
l'immagine... Propaganda era anche l'annuncio pubblicitario pubblicato
in occasione della Conferenza sul clima dell'Aja, alla fine di novembre:
grandi foto, un cielo annuvolato e uno sereno in cui splende la
conchiglia dell'azienda petrolifera: "Confondere la questione o pulire
l'aria", dice l'annuncio. E poi: "l'anno scorso abbiamo rinnovato il
nostro impegno non solo ad attenerci agli obiettivi di Kyoto per ridurre
le emissioni di gas di serra, ma a superarli". Fino a qualche anno fa
Shell era tra le aziende che mettevano
in dubbio i fondamenti scientifici degli allarmi sul clima; oggi ha
cambiato strategia. Corporate Watch ( www.corpwatch.org ),
organizzazione statunitense di monitoraggio sulle attività delle grandi
aziende multinazionali, fa notare che alla Conferenza sul clima dell'Aja
c'erano ben 43 rappresentanti di Royal Dutch Shell,
quasi un terzo della delegazione del World Business Council for
Sustainable Development (Consiglio mondiale delle aziende per lo
sviluppo sostenibile). Shell è tra le
aziende petrolifere che hanno cominciato a investire nelle energie
rinnovabili, in particolare solare: se c'è un nuovo mercato, meglio
occuparlo. Ma in termini globali gli investimenti di
Shell nelle energie alternative restano lo 0,6% del volume
annuale di investimenti (stima Greenpeace).
Propaganda, dunque: e non solo perché un'azienda petrolifera
"ecologicamente compatibile" è una contraddizione in termini. Il nome
Shell è legato a uno dei più vergognosi
casi di violazione dei diritti umani e ambientali di un'intera
popolazione, gli Ogoni nel delta del Niger (Nigeria). Bisognerebbe
chiedere alle popolazioni di quel delta costellato di pozzi petroliferi
cosa pensano di tante dichiarazioni di principio. Dal 1958, quando
Shell ha cominciato le operazioni in
Nigeria, l'Ogoniland è diventato un inferno. La devastazione ambientale
è stata massiccia: perdite di greggio hanno impregnato terreni e
inquinato i mille corsi d'acqua del delta, togliendo ai contadini e
pescatori locali le fonti di sostentamento. La disoccupazione e la
povertà sono aumentate. Polizia e militari hanno protetto l'azienda
reprimendo ogni rivendicazione e protesta. Circa 80mila persone hanno
avuto il loro villaggio distrutto in operazioni militari e 2.000 persone
sono state uccise. Il culmine della tensione è stato negli anni '90: nel
'93 il Movimento per la rinascita dell'Ogoniland ha dichiarato la
Shell "persona non grata" nel
territorio e lanciato sabotaggi. La repressione è stata feroce. E nel
novembre del 1995 il governo militare ha fatto impiccare, dopo un
processo farsa, lo scrittore Ken Saro Wiwa e altri leader del Movimento
per la rinascita del Ogoniland: Barinem Kiobel, John Mpuinen, Saturday
Dorbee, Paul Levura, Nordu Eawo, Felix Nuate, Daniel Gboko e Baribor
Bera. Certo, Shell ha sempre negato di
avere una responsabilità diretta nella morte di Saro Wiwa, e nella
repressione militare in genere. Ma le truppe non erano forse là per
difendere i pozzi di petrolio?
La Shell "continua a mettere i profitti
prima dei principi essenziali dei diritti umani e della decenza", ha
affermato di recente all'Aja Owens Wiwa, fratello dello scrittore
ucciso. Shell ha intenzione di
riattivare, dopo sette anni, i suoi 125 pozzi nel delta del Niger. Ma
l'attivista avverte: "Vogliono continuare ad avvelenare i nostri
polmoni, la nostra terra e l'atmosfera. Noi continuiamo a rifiutare". |
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