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Il prezzo del gas
ecologico |
FULVIO
GIOANETTO |
da "il manifesto" del 24 Gennaio 2001
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Verde ed economico. In molti paesi il gas
naturale viene presentato come una energia economica, pulita ed
ecologica. Un'alternativa ecocompatibile all'imperante irremediabile
inquinamento da idrocarburi e diesel. Per ragioni di marketing e di
immagine, molto spesso restano celati all'opinione pubblica le
implicazioni sociali ed economiche dell'installazione di un gasdotto su
di un territorio e gli impatti economici che crea per le popolazioni
locali. Come a Tartagal e Orn, nella remota provincia cilena di Sulta,
dove già da mesi centinaia di indigeni e abitanti della zona bloccano le
principali strade e vie di comunicazione, denunciando i piani della
compagnia di estrazione del gas a capitale europeo che ha incominciato
ad operare nella regione. Lo scorso dicembre, durante la violentissima
repressione poliziesca, ci furono due morti e centinaia di feriti fra i
"piqueteros" indigeni delle etnie Toba, Collas, Chochotes, Tapite,
Guaranies e Chiauí, colpevoli di essersi opposti all'espropriazione, al
furto legalizzato e alla distruzione delle loro terre per fare
transitare il nuovo gas. "Il gasdotto entrò nella nostra selva come un
coltello", dichiara Gabriel Reches, leader Colla, "e quando arrivarono i
geologi e i topografi per tracciare la strada di accesso al nuovo
gasdotto tuttavia non capivamo quello che stava accadendo. Poi
arrivarono i bulldozer, che non solamente distrussero i nostri terrazzi
coltivati, ma anche l'ultimo 10 per cento della selva di Yungas che
finora era sopravvissuta alla civilizzazione occidentale". In Messico si
stanno scontrando grossi interessi e si stanno sviluppando colossali
trattative a scala continentale per controllare questo mercato
energetico. Il Texas e gli stati sudisti nordamericani vogliono vendere
il loro gas naturale alle sviluppate aree industriali del nord del
Messico, che a sua volta sta sviluppando colossali contratti per
rivenderlo agli altri stati centroamericani, mentre Colombia (tramite la
Cgc e la Shell Transport and Trading) e Venezuela hanno già iniziato a
distruggere preziosi ettari di selva tropicale e a espellere campesinos
dalle loro terre per costruire tre nuovi gasdotti per i nuovi clienti
centroamericani. In Guatemala sono almeno 45 le compagnie argentine,
giapponesi, canadesi e russe interessate ad appropriarsi del lucroso
contratto di 600 milioni di dollari per il nuovo impianto che
trasporterà il gas dal Messico. Poco importa se per installare questa
energia "ecologica e pulita" (come dice il ministro dell'energia
guatemalteco Raul Archila) occorrerà sloggiare gente povera, si
annienteranno comunità rurali e si disboscheranno aree naturali e
foreste. Poco importa se chi beneficerà di questa "fonte energetica a
basso prezzo" saranno solamente le industrie e le compagnie
distributrici. Del resto, i risultati di questa brillante politica
energetica neoliberalista si stanno facendo vedere in Messico, dove in
questi ultimi tre mesi il prezzo al pubblico del gas metano è aumentato
del 400 per cento, dove hanno chiuso decine di imprese produttrici e
distributrici e dove sono almeno 10.000 i lavoratori disoccupati del
settore. Questa strategia neoliberista di appropriazione e svendita
delle risorse naturali si sta ormai generalizzando a scala pianetaria.
Ne è un esempio l'attuale battaglia fra i trust Bp Amoco, Enron ed Agip
per appropriarsi del gas naturale tibetano, in risposta alle
sollecitazioni della compagnia statale cinese PetroChina e della Sinopec
Chemical Corp di Hong Kong: qui si tratta di costruire un oleo e
gasdotto di 950 km destinato allo sfruttamento dei giacimenti di
petrolio e di gas naturale nella provincia occupata di Sebei in Tibet.
Una coalizione di 54 gruppi ambientalisti e per i diritti umani ha
lanciato la scorsa settimana una campagna internazionale di
controinformazione e di solidarietà con le etnie tibetane e Uighuri
delle province di Qinhai, sul cui territorio dovrebbe passare il
gasdotto, denunciando anche le violazioni dei diritti umani per i
lavoratori tibetani che lavorano semischiavizzati nel campo estrattivo
di Lunpola. |
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