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Gli indigeni, il
petrolio, l'Agip |
MARINA FORTI |
da "il manifesto" del 24 Luglio 2001 |
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Cristina Gualinga parla
lentamente. "Sono dell'Amazzonia ecuadoriana. Il mio lavoro è in difesa
della madre terra, pacha mama: è quella che ci dà la vita, il
cibo". Lo sguardo è assorto. Gualinga è in Italia per denunciare
l'ultimo degli attentati alla "madre terra", la foresta amazzonica dove
vive la sua gente indigena: l'aggressione delle compagnie petrolifere.
"In questo momento il nostro governo sta negoziando qualcosa che non ha
il diritto di cedere, cioè la concessione di diritti di prospezione ed
estrazione del petrolio nella parte meridionale dell'amazzonia
ecuadoriana. Questa è una grave minaccia per il nostro futuro. Il
governo sta negoziando senza neppure consultare le comunità indigene,
dunque in violazione alle stesse leggi dello stato dell'Ecuador. Dicono
che è lo 'sviluppo', ma questo sviluppo non è per noi. Per noi è solo
impoverimento. A che ci serve? Distruggono la terra, inquinano i fiumi,
non avremo più acqua pulita né una vita degna per gli abitanti della
foresta". Avevamo incontrato Cristina Gualinga a Genova, nei giorni in
cui nel vecchio porto -ancora non militarizzato - si svolgevano in
parallelo un meeting internazionale su "globalizzazione e genere" e la
Fiera del commercio equo - sovrapposizione non casuale, e del resto
Gualinga partecipava a entrambi, rappresentando l'organizzazione
ecuadoriana Accion Ecologica, che da parecchi anni ormai lavora nelle
regioni amazzoniche devastate dalle attività petrolifere, con le
popolazioni indigene rese "superflue" nella loro terra. "Sto parlando di
cose che ho visto con i miei occhi. Ricordo - ero molto piccola -
l'arrivo della Shell nel 1946. E' stato
un trauma. Donne che andavano a coltivare i loro campi venivano
violentate. Una tragedia che non ebbe mai giustizia, erano solo indigene
e nessuno si curò di sapere cosa stesse succedendo. Le comunità indigene
non poterono far altro che ritirarsi in zone più isolate della foresta.
Nel '76 è successo qualcosa di simile. La Western aveva cominciato
lavori di esplorazione in una zona sismica, un'area di foresta vergine.
Gli uomini venivano occupati come macheteros, perché aprire la strada
nella foresta è un lavoro duro. La selva veniva aperta per fare i pozzi.
L'effetto è stato dirompente sulle comunità indigene. Gli uomini
pensavano che il lavoro sarebbe durato, si mettevano con donne venute da
fuori, spendevano subito tutti i soldi che prendevano. Ci furono molti
divorzi, don
ne abbandonate, e poi madri sole. La comunità era distrutta. La
compagnia arriva e compra la coscienza delle persone, crea conflitti tra
le stesse comunità. Per questo dico che questo non è 'sviluppo': è
impoverimento, perdita di cultura e dignità. Oltretutto, finito di
aprire la selva e impiantare i pozzi, gli uomini restavano senza lavoro.
E' stato un grande inganno, una bugia, una corruzione".
E poi l'ambiente. "L'attività petrolifera distrugge ciò che consideriamo
più sacro: le lagune, le montagne dove abitano gli spiriti che noi
crediamo abbiano dato vita al nostro popolo. Resta contaminazione,
rifiuti tossici, plastica. Finora le grandi operazioni sono state nel
nord, dove ormai la distruzione è impressionante. Io vengo dalla
provincia di Pastaza, che invece è nel sud, dove lavora l'Agip. E sta
facendo le cose peggiori: pensate che tutti i rifiuti tossici e pure
quelli organici vanno direttamente nei fiumi. Al governo e alle
commissioni sull'impatto ambientale dicono che stanno usando le
tecnologie di punta, ma non è vero. Le comunità là sono costrette ad
andarsene perché l'acqua è contaminata e nei fiumi non ci sono più i
pesci di cui si cibano. E non possono fare nulla, per questo chiedono
aiuto. L'oleodotto taglia la foresta ed è protetto da barriere
elettriche, non si può più passare da una parte all'altra. I cartelli
avvertono che è pericoloso, ma il bestiame non legge e spesso va a
morire contro i fili elettrici. Vivere è sempre più difficile. E poi la
foresta è militarizzata. Per noi la libertà è limitata. Ora poi si
discute di un nuovo oleodotto chiamato Ocp, per il greggio pesante.
Dovrebbe tagliare il paese da est a ovest, passare ai piedi di sei
vulcani, attraversare il parco nazionale Yasuni: sarà un disastro ancora
più grande. La gente di città forse ha interesse a tutto questo, vuole
lo 'sviluppo'. Ma per noi il petrolio non è nulla di tutto questo: è
solo impoverimento". |
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