ARTICOLO

 

Clima, primo no americano al G8

FRANCO CARLINI

da "il manifesto" del 17 Luglio 2001
 
Le riunioni G8 funzionano così: le diplomazie decidono l'agenda e con grande anticipo i gruppi di lavoro, spesso di buona competenza, si mettono all'opera producendo i materiali richiesti: studi, progetti, bozze di decisione e di solenne impegno. Gli storici del futuro senza dubbio si meraviglieranno nel confrontare la ricchezza di quei materiali con la povertà delle iniziative assunte. E' il caso degli studi che verranno presentati a Genova per incentivare l'uso delle energie alternative, facendone crescere il peso in confronto a quelle che inquinano o che producono effetto serra. Disponibile da oggi sul sito della speciale Task Force (http://www.renewabletaskforce.org/). L'obbiettivo numerico (questa è un'epoca che ha bisogno di cifre e di simboli) è che entro un decennio un miliardo di persone sia alimentata da energia pulita. Il gruppo era guidato dal direttore del ministero dell'ambiente italiano, Corrado Clini, e da Mark Moody Stuart, presidente del gigante petrolifero Royal Dutch Shell: dunque, non certo "fanatici ambientalisti". Corrado Clini, va ricordato, negli ultimi giorni del governo Amato lasciò intendere che l'Italia poteva essere meno rigida del resto d'Europa sul protocollo di Kyoto e tenere maggiormente conto delle posizioni americane. Forse lo ha fatto a fin di bene, ma oggi, malgrado tanta buona volontà, tocca a lui di essere bastonato dagli americani. Secondo il New York Times, infatti, l'amministrazione Bush ha già fatto sapere che non sottoscriverà le proposte formulate nel rapporto, "nemmeno se la task forse le modificasse per tener conto delle obiezioni americane".
Che cosa contiene il rapporto di così sgradevole? Per accrescere l'uso di energie pulite e alternative vengono indicati due strumenti: incentivi e freni. Gli incentivi vanno ai nuovi impianti, mentre i freni dovrebbero applicarsi alle attuali politiche di sostegno all'esportazione di tecnologie sporche. Oggi infatti i diversi governi (quelli G8 prima di tutti), aiutano le proprie imprese nazionali nelle esportazioni verso i paesi in via di sviluppo, per esempio con agevolazioni fiscali o con fidejussioni bancarie, a garanzie di progetti a rischio. Grazie a tali meccanismi che le industrie apprezzano assai, delle tecnologie più che mature e sovente assai inquinanti vengono vendute ai paesi del terzo mondo.
Il gruppo di lavoro propone che si cessi di promuovere progetti che spingono l'uso di combustibili fossili nel mondo in sviluppo: impianti energetici, oleodotti, equipaggiamenti per lo scavo dei pozzi e ogni altro marchingegno usato per estrarre petrolio e carbone.
La proposta è del tutto ragionevole e di per sé dovrebbe incontrare il favore di Bush junior; proprio lui infatti aveva criticato il trattato di Kyoto dicendo che era troppo generoso nelle esenzioni che consentiva ai paesi in via di sviluppo, che sarebbero rimasti liberi di inquinare.
Invece non piace e dunque si può star certi che il G8 genovese parte già con una sconfitta compiuta. Non piace (agli americani) perché si basa eccessivamente sul ruolo dei governi, e invece dovrebbe essere il settore privato (e il mercato) a fare da traino. L'associazione Amici della Terra in un suo studio parallelo rivela che la Export-Import Bank americana negli ultimi 5 anni ha finanziato progetti inquinanti in giro per il mondo per la considerevole cifra di 115 miliardi di dollari. La spontaneità del mercato va in questa direzione e si capisce quale sia la nuova linea Bush: nessun vincolo in patria, mercato dei permessi di inquinare con i paesi del terzo mondo, e (sottobanco) finanziamento degli stessi inquinamenti. In ogni caso un sostegno statalista alle industrie amiche: uno dei due programmi climatici delineato la settimana scorsa da Bush sarà affidato a: BP-Amoco, Royal Dutch/Shell, Chevron, Texaco, Eni. Il progetto è ridicolo, essendo finanziato con soli 5 milioni di dollari, ma in ogni caso vanno in tasche amiche.
 
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