Conseguenze di conflitti, emigrazione
clandestina, declino economico e inquinamento
Esiste l'Adriatico? L'antico golfo di
Venezia ha una pessima reputazione. Inquinato, preda del devastante
turismo di massa, questo mare semichiuso rappresenta una delle maggiori
frontiere europee. Linea di demarcazione tra l'Organizzazione del
trattato del Nord Atlantico e i paesi socialisti «atipici», quali erano
la Jugoslavia e l'Albania, esso rappresenta ormai un lago di protezione,
e a volte un cimitero per migliaia di clandestini che tentano di
raggiungere il ricco occidente.
Jean-Arnault Dérens
Anche se il 9 gennaio 2004, 21 candidati
all'emigrazione clandestina sono annegati nel corso del naufragio di un
gommone al largo delle coste albanesi, in questi ultimi anni nel mare
Adriatico si muore di meno. Nei Balcani la spinta a partire si è
allentata quando i conflitti iugoslavi hanno ceduto il passo a un
difficile dopo guerra. Il centro d'accoglienza Regina Pacis, creato nel
1997, si erge con la sua pesante carcassa di cemento sovrastata dal
ferro spinato su una spiaggia del sud della Puglia, vicino al paesino di
San Foca, a circa venti chilometri dalla città barocca di Lecce. Centro
di permanenza temporanea, è l'unico la cui gestione sia stata delegata
dallo stato alla diocesi cattolica. «Da alcuni anni i percorsi
dell'emigrazione clandestina si sono decisamente spostati - spiega il
direttore don Cesare Lodeserto. - Adesso la maggior parte dei
clandestini che arrivano in Italia vengono dalla Libia in Sicilia. Altri
invece raggiungono i porti adriatici di Bari o Brindisi nascondendosi
nei camion o nei containers imbarcati in Turchia». Nel 1998, il governo
italiano (di centrosinistra) ha costituito dei centri di permanenza
chiusi, e il Regina Pacis ha accettato questa radicale modifica del suo
statuto. Don Cesare comunque non risparmia critiche alla legge Bossi
Fini che nel 2002 ha inasprito ancora di più le condizioni di
accoglienza degli stranieri. «La legge dovrebbe conciliare accoglienza e
legalità. Invece, al contrario, fa dell'illegalità un fattore di
criminalizzazione - spiega. - È aberrante fare una legge per difendersi
dall'immigrazione, perché nonostante tutto i flussi migratori
continueranno». Circa 250 stranieri vengono sistemati qui in detenzione
amministrativa per un periodo massimo di sessanta giorni, nel corso dei
quali devono inoltrare la propria richiesta di soggiorno prima di
diventare passibili di espulsione. Coabitano con alcune decine di
clandestini ospitati a titolo privato da don Cesare. Questi ultimi
possono uscire e ogni giorno salutano i carabinieri che sorvegliano gli
ingressi... Il centro accoglie anche circa sessanta giovani donne
albanesi e rumene vittime di tratta che vivono lì da molti anni. Alcune
hanno avuto dei figli, che ora crescono tra la spiaggia e il filo
spinato. In Albania, per gran parte della popolazione, la partenza resta
l'unica prospettiva. Dopo il censimento del 2001 - il primo organizzato
a dieci anni dalla caduta del comunismo - la popolazione si è nettamente
abbassata nonostante tassi di natalità sempre elevati (1). Se don Cesare
parla di una «svista» per quanto riguarda gli albanesi annegati il 9
gennaio, l'eco non è molto diversa dall'altra parte del mare, nel porto
albanese di Valona. Baluardo delle rivolte del marzo 1997 (2), questa
città annidata in fondo a un magnifico golfo, ha la pessima reputazione
di crocevia della droga e della tratta di esseri umani. I traffici
transadriatici hanno una lunga storia. Durante la dittatura staliniana
di Enver Hoxha, l'Albania, nonostante fosse un paese chiuso, traeva
buona parte delle sue magre risorse in valuta dal traffico di sigarette,
che venivano stoccate a Valona prima di riprendere la via dell'Italia.
Migliaia di coscritti hanno trascorso il loro servizio militare a
trasportare montagne di sigarette americane, allora introvabili, nei
chioschi albanesi. Poi, durante le rivolte, la città è diventata la base
degli insorti e di numerose reti criminali, che servivano da centro
propulsore verso l'Italia. Ogni notte decine di veloci motoscafi
approdavano sulle coste pugliesi con carichi misti di droga, sigarette e
candidati all'emigrazione. Dal suo arrivo al potere nel 1997, il governo
socialista di Fatos Nano ha fatto sua priorità la lotta contro gli
aspetti più eclatanti del crimine organizzato. Le grandi arterie
stradali del paese sono di nuovo sicure, e città come Valona non sono
più zone di illegalità. Una brigata militare italo-albanese rimane di
base nella piccola isola di Sazan che chiude il golfo di Valona - una
posizione strategica, emblema del valore di questo «chiavistello»
dell'Adriatico, un tempo possedimento veneziano. Rami Isufi,
proprietario dell'Hotel Bologna è categorico: «Non parte più nessuna
barca per l'Italia. Non c'è neanche più bisogno di controlli in mare,
perché dalla riva tutti possono vedere se in acqua c'è un fuoribordo e
chiamare la polizia». E la tragedia del 9 gennaio? «Quella sera il mare
era brutto e il gommone non sarebbe dovuto partire. I trafficanti sono
venuti dall'Italia e hanno tentato di ripartire con gente pronta a
rischiare tutto. Qui nessuno avrebbe corso un rischio simile». Tanto che
nell'aprile 2003, il governo albanese ha accordato alla compagnia La
Petrolifera italo rumena di costruirvi e di sfruttare una base
petrolifera. In cambio dei lavori di sistemazione, la compagnia italiana
otterrebbe una concessione esclusiva di trent'anni e sgravi fiscali. Ma
i deputati hanno provvisoriamente bloccato questo progetto, su cui
gravano forti sospetti di corruzione (3). Tirana, per molto tempo
orientata verso la Grecia, non vede che l'Italia, con Valona che può
svolgere il ruolo di vetrina di questa apertura. La costa meridionale
dell'Albania comincia a esplorare il turismo, finora trascurato. Da
Valona fino a Saranda sulla frontiera greca, la costa alterna spiagge
deserte di sabbia fine e vecchi villaggi quasi abbandonati. I nuovi
ricchi possiedono ville che si affacciano sulle cale deserte e da
qualche anno si interessa al luogo il presidente del consiglio italiano
Silvio Berlusconi: nel 2002, aveva percorso la costa in compagnia
dell'architetto Giancarlo Ragazzi, specialista di progetti turistici di
lusso. La strada che collega Saranda e Himara è una pista sconnessa,
dove pezzi di asfalto rievocano vecchi progetti di sviluppo, ma le due
città sono ormai degli immensi cantieri. Da alcuni anni, i turisti
kosovari stanno scoprendo le spiagge del sud della «madrepatria» dove si
moltiplicano pensioni, alberghi e ristoranti. La popolazione ha però
poche possibilità di approfittare delle ricadute economiche del turismo.
Nei villaggi costieri, essa è in maggioranza greca, come attestano i
graffiti alla gloria dell'ellenismo che ornano quasi tutti i monumenti
ai partigiani ereditati dal regime comunista. Per gli abitanti del sud
del paese, greci «etnici» o albanesi di confessione ortodossa, resta
prioritaria l'emigrazione in Grecia (4). Lottizzazione selvaggia nelle
antiche città Le conseguenze del conflitto greco-albanese della seconda
guerra mondiale sono comunque sempre presenti: i due paesi non hanno
ancora messo ufficialmente fine al loro stato di guerra. Dopo il 1945,
le autorità greche hanno espulso in maniera massiccia i Cam - albanesi
dell'Epiro - accusati collettivamente di collaborazione con gli
occupanti italiani e tedeschi. L'8 aprile 2004 il parlamento di Tirana
si è rifiutato - temendo ritorsioni - di esaminare il progetto di
risoluzione che chiedeva la restituzione dei patrimoni privati albanesi
confiscati in Grecia. Proveniente da una famiglia originaria di Cameria,
Isufi spiega: «I miei genitori non hanno mai più potuto rivedere il
proprio villaggio natale, sulla costa greca a nord di Igumenitsa. È là,
di fronte a Corfù, che l'Adriatico è più bello» afferma per poi
denunciare il «ricatto greco. Ancora una volta Atene ha minacciato di
espellere i lavoratori albanesi, e il nostro governo si è spaventato.
Quest'anno però non potevano liquidare i clandestini di qui: chi altro
lavora su cantieri degli impianti olimpici?». Il Montenegro e la Croazia
sperimentano ormai da alcuni anni il turismo di massa. Il Montenegro è
ancora ampiamente ignorato dai turisti occidentali per via delle
sanzioni internazionali degli anni '90 contro la Federazione jugoslava,
di cui faceva parte insieme alla Serbia. La maggior parte dei
villeggianti viene dalla Serbia o dal Kosovo, anche se ora compaiono
anche turisti russi e ucraini. Villeggianti serbi dal debole potere di
acquisto e i nuovi ricchi russi costituiscono quindi la base della
clientela della città di Budva, un tempo perla dell'Adriatico. Con quasi
100.000 abitanti, questa vecchia città fortificata soffre - come Sveti
Stefan - di un'urbanizzazione anarchica. Vi si costruiscono palazzi di
molti piani di fronte all'isoletta interamente trasformata in un albergo
mitico, un tempo frequentato dai divi del cinema italiano. I camion
trasportano materiali di costruzione sulla spiaggia e i nuovi edifici,
sprovvisti di qualsiasi permesso di costruzione, fanno correre grossi
rischi a tutta la zona, soprattutto per l'emersione delle fosse
biologiche. Anche in Croazia esiste questa «lottizzazione selvaggia» del
litorale. Anche le case più piccole offrono camere in affitto. In un
paese dove la disoccupazione tocca quasi un terzo della popolazione
attiva, molti dalmati praticano un'economia di sopravvivenza piuttosto
prospera, riuscendo a vivere tutto l'anno grazie al sostegno sociale e
all'affitto di qualche camera nei mesi estivi. Il governo ormai si batte
per ottenere la dichiarazione fiscale di questi proventi, ma le
conseguenze ambientali non vengono quasi per nulla prese in
considerazione. A Budva quest'inverno è scoppiato un nuovo scandalo.
Dopo il fallimento di una prima asta pubblica l'albergo Avala è stato
ceduto a una compagnia britannica per 3,2 milioni di euro - meno della
metà del valore stimato. L'irregolarità dell'asta pone anche un altro
problema visto che la rappresentante in Montenegro della compagnia
britannica non è altro che... Ana Kolarevic, sorella del primo ministro
Milo Djukanovic e membro della Corte suprema (5)... Inoltre il 20 maggio
2004, il nuovo governo croato ha messo fine alla lunga telenovela della
privatizzazione del complesso Suncani Hvar, che possiede gli alberghi
dell'isola di Hvar. Alla fine il complesso turistico è stato ceduto a
Quaestus, un fondo di investimento apparentemente legato all'Unione
democratica croata (Hdz), tornata al potere dopo le elezioni del
novembre 2003 (6). Montenegro stato ecologico È possibile immaginare lo
sviluppo di un altro turismo concepito sulle basi di una crescita
durevole? Denis Ivosevic assessore al turismo della zupanija
(dipartimento) d'Istria, è ben consapevole del problema: «Se puntiamo
solo su un'offerta a buon mercato, i turisti scompariranno presto dalle
nostre regioni, perché le offerte a poco prezzo si generalizzeranno
ancora più in fretta con l'abbassamento delle tariffe del trasporto
aereo». Il suo piano decennale propone di privilegiare l'alloggio rurale
e il turismo di qualità, per tentare di arginare la «cementificazione»
della costa istriana. All'inizio degli anni '90, il Montenegro si è
autoproclamato «stato ecologico» nel preambolo della sua costituzione.
Questa dichiarazione non ha però mai avuto la benché minima applicazione
concreta. Nell'estate del 2003, il paese ha conosciuto la sua più grave
crisi dei rifiuti. Il governo ha stanziato un credito di 1,3 milioni di
dollari della Banca mondiale per risistemare la discarica selvaggia di
Lovanja, situata a un centinaio di metri dalle piste dell'aeroporto,
nelle Bocche di Cattaro. Fiordo più meridionale d'Europa, le Bocche di
Cattaro rappresenta un prestigioso sito naturale posto sotto la
protezione dell'Unesco. La discarica veniva utilizzata dalle comunità di
Tivat, Cattaro e Budva. La discarica, riorganizzata, doveva essere usata
per tre anni in attesa che fosse identificato un sito più adatto ma i
cittadini sospettano, e a ragione, la perpetuazione di questa soluzione
provvisoria. La rabbia degli abitanti delle coste delle Bocche è
culminata nel luglio 2003, con il blocco durato diversi giorni degli
accessi alla discarica. Segretario del vescovado cattolico di Cattaro,
don Branko Sbutega ha preso la direzione del movimento di disobbedienza.
Il padre gesuita non riesce a trovare parole abbastanza dure per
denunciare la gestione della situazione. «A Budva esisteva un sito molto
più adatto, ma in un baluardo pro-serbo i cui abitanti hanno tirato
fuori i fucili appena hanno saputo del progetto. Il governo preferisce
organizzare la discarica a Tivat, che ha la principale comunità
cattolica croata del Montenegro. La maggior parte dei campi appartiene a
proprietari privati, che il governo depreda. È disgustoso che la Banca
mondiale si faccia garante di una tale negazione di giustizia e di una
tale mostruosità ambientale. Questa situazione rivela la mediocrità dei
dirigenti montenegrini. I comunisti di altri tempi avrebbero almeno dato
prova di un po' più di dignità» conclude il gesuita. Dall'Albania alla
Slovenia, la geografia riduce il cordone litoraneo a un sottile
passaggio sovrastato da montagne spesso invalicabili. Il Montenegro si è
così formato dando le spalle al mare. Tra la gente della costa e la
gente di montagna, l'incomprensione è spesso la norma, tanto più che gli
sconvolgimenti politici del XX secolo, hanno spesso portato con sé
rilevanti cambiamenti demografici. Nelle Bocche di Cattaro, i
discendenti delle vecchie comunità locali sono diventati una minoranza
rispetto ai nuovi venuti originari di altre regioni. Così la diocesi
cattolica di Cattaro non conta più che 9.000 fedeli. E la città di
Herceg Novi, all'ingresso delle Bocche, dà rifugio a numerosi rifugiati
serbi della Croazia e della Bosnia Herzegovina. I «vecchi» abitanti
delle Bocche rimpiangono una civiltà interamente fondata sul mare, che
associano al ricordo della lunga dominazione veneziana. Meglio che da
qualsiasi altra parte questo rimpianto si può percepire al piccolo museo
marittimo di Perast, paese di capitani della flotta della Serenissima.
Un documento vi ricorda che il capitano Jozo Viskovic non abbassò lo
stendardo con il leone di San Marco fino al 23 agosto 1797, mentre la
Repubblica di Venezia era scomparsa già il 12 maggio di quello stesso
anno. La facoltà marittima di Cattaro eredita questa lunga tradizione.
In questa regione esistono piccole scuole di navigazione dal XVI secolo.
Alla fine del XVII secolo, una delle più celebri fu quella del capitano
Marko Martinovic, a cui vennero mandati i cadetti della flotta russa in
corso di formazione dallo zar Pietro il Grande. Attualmente quasi 400
studenti seguono le lezioni di navigazione o di meccanica. «Siamo un
popolo di marinai senza navi», spiega il professor Milorad Raskovic.
Titolare della cattedra di navigazione, egli stesso un ex capitano, è
autore di un trattato su cui gli studenti studiano con passione. La
Facoltà non ha più barche scuola - gli studenti imparano la navigazione
attraverso dei simulatori - ma nonostante questo gode di una buona
reputazione. Per molti anni, la sorte di Cattaro dipendeva da quella di
Jugooceanija, una delle principali compagnie di navigazione jugoslave,
per cui le sanzioni internazionali degli anni '90 sono state fatali.
Bloccate nei porti, le sue ventiquattro navi sono state svendute per
pagare i debiti. Ciò nonostante, la compagnia, messa in liquidazione nel
2003, deve ancora pagare mesi, se non addirittura anni, di salari
arretrati ai suoi ex-dipendenti - i quali nel maggio 2003 avevano
intrapreso lo sciopero della fame (7). «I nostri allievi troveranno
lavoro solo se accetteranno condizioni salariali ingiuste, spesso sui
400 o 500 dollari per un ufficiale agli inizi, al di sotto delle norme
fissate dalle organizzazioni sindacali internazionali, spiega il
capitano Raskovic. È così che funziona ormai la marina mercantile: una
bandiera di comodo, un armatore greco, marinai cinesi o filippini e ogni
tanto, degli ufficiali montenegrini...» Al nord dell'Albania, anche il
porto di Shengjin è immerso nella desolazione più totale. Portuali
caricano con indifferenza una vecchia nave destinata al cabotaggio,
mentre qualche peschereccio finisce di arrugginirsi. La pesca è ormai
solo un ricordo in questo vecchio porto che ruotava intorno alla pesca
delle sardine. Tuttavia navi greche e italiane vengono regolarmente a
sfruttare le riserve ittiche del paese. Un'azienda italiana ha anche
rilevato una fabbrica per la conservazione del pesce. Quando arriva un
carico, i salari alla giornata equivalgono a tre o quattro euro. E il
pesce trattato riparte immediatamente per l'Italia. Viene dalla pianura
padana la minaccia ambientale Il mare può far ancora vivere le
popolazioni costiere? Le coste orientali dell'Adriatico rimangono molto
pescose, nonostante le razzie della «pesca troppo intensiva» e l'assenza
di qualsiasi gestione coordinata delle risorse. Un vecchio contenzioso
ha a lungo contrapposto la Croazia alla Slovenia nel golfo di Pirano
(8), poiché i 37 chilometri di litorale sloveno sono completamente
isolati in fondo al golfo di Trieste, sebbene l'applicazione dei
principi di diritto marittimo mettano il limite delle acque croate a due
miglia dai porti di Trieste (Italia) e di Koper, l'antica Capodistria
(Slovenia). Nel 2001 è stato finalmente trovato un accordo: esso prevede
un corridoio sloveno che faccia uscire dall'isolamento Koper. La posta
in gioco, sia da una parte che dall'altra, sembra più simbolica che
altro. Ora questo accordo viene rimesso in causa dalla Croazia, che il 3
ottobre 2003 si è dotata di una zona di protezione ecologica e di pesca
nell'Adriatico. Essa ha così esteso la propria giurisdizione in alto
mare, al di là delle proprie acque territoriali - come consente il
diritto marittimo. Secondo le autorità croate, si tratta di assicurare
una migliore protezione degli ambienti marini e una gestione più
rigorosa delle risorse ittiche. Ma questa decisione si spiega
innanzitutto attraverso la possibile costruzione dell'oleodotto
Druzba-Adria, che porterebbe il petrolio russo da Samara fino al
terminal di Omislj, sull'isola croata di Krk. Per sorvegliare le
superpetroliere che poi porterebbero il petrolio verso il resto del
Mediterraneo ed evitare una catastrofe ecologica gigantesca, Zagabria
ritiene indispensabile assicurarsi una giurisdizione sul mare. Scottata
da questi progetti, Lubiana invoca la ripresa del dialogo regionale e
conta sull'arbitraggio finale di Bruxelles. Le coste dell'Adriatico
contano già altre bombe ambientali a scoppio ritardato. Come il sito di
Porto Romano, vicino a Durazzo, in Albania: questa antica fabbrica di
pesticidi e di prodotti chimici è stata abbandonata nel 1990 e distrutta
durante le rivolte del 1997. Diverse migliaia di occupanti si sono
installati sul posto, pericolosamente inquinato. Il programma delle
Nazioni unite per l'ambiente (Unep) e la Banca mondiale tentano di
ottenere il loro collocamento in nuovi alloggi ma questa piccola
comunità non ha voglia di andar via senza solide garanzie di una casa.
In termini di minaccia ambientale, il rapporto tra le due rive del mare
rimane fortemente squilibrato. Le grandi città della pianura padana
rimangono le principali fonti di inquinamento (9), sebbene le regole
della depurazione dell'acqua che vengono applicate siano più severe che
in Albania o in Croazia. La sua caratteristica di mare semichiuso e la
sua poca profondità, in particolare nella parte settentrionale,
espongono in particolar modo l'Adriatico a fenomeni come eutrofizzazione
(10). Il meccanismo generale delle correnti marine trascina questo
inquinamento dal nord al sud, lungo la costa occidentale. L'Italia ha
più da temere. I progetti di terminal petroliferi fanno correre seri
pericoli, soprattutto per via dello scarico delle acque delle zavorre
delle petroliere, che porta allo sviluppo di specie esogene che mettono
in pericolo l'equilibrio dei biotopi mediterranei. La vera rinascita che
si afferma in Istria contrasta con la disillusione che domina le Bocche
di Cattaro. «Le Bocche muoiono dalla caduta di Venezia - dichiara senza
timore don Branko Sbutega, anch'egli proveniente da una lunga stirpe di
doganieri veneziani, trasferitisi lì dal XVI secolo - . La gente delle
Bocche non è mai stata padrona del proprio destino, ma ormai è la loro
stessa sopravvivenza a essere minacciata». I cambiamenti sociologici e
demografici e le conseguenze delle guerre hanno profondamente modificato
le strutture della popolazione del sottile cordone litoraneo della costa
orientale dell'Adriatico. Allo stesso tempo, il turismo di massa e
l'inquinamento fanno aleggiare nuovi rischi su questi fragili
ecosistemi. Mare interno o frontiera dell'Europa ricca? L'Adriatico è
sempre stato una frontiera e una via di passaggio. La guerra per mare
oppose per secoli i marinai turchi e veneziani, così come gli Uskoks, i
pirati cristiani di Dalmazia e i pirati ottomani di Ulcinj in Montenegro
(11). Alla fine del XV secolo migliaia di albanesi fuggirono la
conquista turca raggiungendo l'Italia, formando comunità in Calabria,
Basilicata e Sicilia che hanno conservato l'uso della lingua albanese
(12). Tali Arbëresh sono sempre stati un ponte tra le due rive del
Mediterraneo. Dal crollo del regime comunista, numerosi emigranti
albanesi sono andati a vivere in questi paesi arbëresh, dove in genere
vengono integrati facilmente, e che al momento della crisi del Kosovo,
si mobilitarono a favore dei rifugiati. «Chi sa quanti albanesi sono
rimasti in mare dopo cinque secoli?», si chiede il professor Donato
Mazzeo, pilastro della rinascita culturale arbëresh. Per sviluppare una
politica coerente ed efficace di protezione degli ambienti naturali e di
prevenzione dei rischi ambientali, per preservare la fragile identità
delle società costiere, bisognerebbe che l'Adriatico smettesse di essere
una frontiera e diventasse completamente un mare interno europeo.
L'adesione della Slovenia all'Unione europea il primo maggio scorso e
quella, dalla scadenza ancora non definita, della Croazia, vanno in
questa direzione, a meno che non si continui a dare all'Adriatico una
funzione di frontiera dell'Europa dei benestanti.
note:
* Giornalista, Belgrado.
(1) Vedi The Population of Albania in
2001, Tirana, Instituti i statistikës, 2001.
(2) Vedi Paolo Raffone, «L'Europe
peut-elle oublier l'Albanie?», Le Monde diplomatique, settembre 1997.
(3) Vedi «Industrie pétrolière: monopole exorbitant pour une société
italienne en Albanie», www.balkans.eu.org/article 4380.html.
(4) Su queste migrazioni si può leggere
la bella rievocazione romanzata di Virion Graçi, Le Paradis des fous,
tradotto dall'albanese da Christiane Montécot, éditions de l'Aube, La
Tour-d'Aigues, 1998.
(5) Vedi «Monténégro: privatisation en
famille des plus beaux hôtels», www.balkans.eu.org/article4340.html.
(6) Vedi «Croatie : la privatisation d'un
hôtel pourrait faire tomber le gouvernement»,
www.balkans.eu.org/article2163.html, e Goran Borkovic, «Suncani
Hvar-De-Ze», Feral Tribune, Split, 21 maggio 2004.
(7) Vedi «Monténégro: les galériens de
Jugooceanija en grève de la faim», www.balkans.eu.org/article3223.html.
(8) Vedi Joseph Krulic, «Le problème de
la délimitation des frontières slovéno-croates dans le Golfe de Piran»,
in Balkanologie, Parigi, VI, 1-2, 2002, pp. 69-73.
(9) Vedi i contributi riuniti in The
Adriatic Sea. A Sea at Risk, a Unity of Purpose, Atene, Religion,
Science & Environment, 2003, in particolare lo studio di David G. Smith,
«The overall environmental situation in the Adriatic Sea». (10) Sviluppo
delle specie vegetali che riducono il tasso di ossigeno dell'acqua.
(11) Vedi Pierre Cabanes (a cura di),
Histoire de l'Adriatique, Seuil, Parigi, 2001.
(12) Vedi Alain Ducellier e al., Les
Chemins de l'exil. Bouleversement de l'Est européen et migrations vers
l'Ouest à la fin du Moyen Age, Armand Colin, Parigi,1992. (Traduzione di
P. B.) aa qq Violenza maschile Ignacio Ramonet Le prudenze del candidato
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