“Via ogni ombra sul rogo
killer”
La difesa dell’Api:
“L’assoluzione è piena”. La procura: “Valutiamo l’appello”
di EMANUELE COPPARI
FALCONARA - “L' assoluzione è stata pronunciata con il
secondo comma dell’articolo 530 (la vecchia insufficienza di
prove; ndr) e quindi il rinvio a giudizio era assolutamente
motivato e non avventato. C' era bisogno di un riscontro
dibattimentale”. Il procuratore della Repubblica Vincenzo
Luzi commenta la sentenza con cui il Tribunale ha assolto
cinque dei sei imputati - tra cui alcuni dirigenti della
raffineria Api di Falconara - per l' incendio che il 25
agosto 1999 costò la vita a due operai. Il giudice
monocratico Vincenzo Capezza ha riconosciuto la
responsabilità solo dell’operaio Gaetano Bonfissuto, che
materialmente aveva allestito la linea durante il
trasferimento di benzina durante il quale si verificò
l’esplosione. Sono stati invece scagionati i vertici
dell’Api - tra cui l’ex direttore Giovanni Saronne e
l’attuale dirigente Franco Bellucci - accusati di aver
omesso controlli circa la manutenzione degli impianti
interessati dall’incendio. “Attendiamo la motivazione - ha
concluso Luzi - per valutare l' eventuale appello contro la
sentenza”. Non scarta l’ipotesi della richiesta di un
secondo grado di giudizio neppure la difesa dei vertici
della raffineria, parola dell’avvocato Giacomo Vettori. Il processo ha riconosciuto l’estraneità degli imputati,
“se non ci convincesse questa piccola ombra che il
legislatore ha lasciato pur avendo abolito la formula
dubitativa avremmo tempo e modo per cercare di correggerla”.
Il giorno dopo fa ancora discutere la sentenza sul rogo
killer che bruciò due vite nell’alba tragica del ’99. L’Api
esulta ma avrebbe voluto una vittoria senza se e senza ma.
“Non mi sembra ancora chiara la ragione di qualche
perplessità che ha portato ad applicare il secondo comma del
530, anche se non corrisponde più all’insufficienza di
prove, ed è pur sempre un riconoscimento di innocenza
piena”. La motivazione del giudice, continua, “potrebbe
essere radicata sulla contraddittorietà dell’impostazione
accusatoria di partenza che né pm né parti civili hanno
potuto adeguare alle emergenze processuali”. Tutto quello che è stato raccolto durante il dibattimento
lungo un anno, “ha reso assolutamente inaccettabile e
impensabile che ci fossero carenze e debolezze soprattutto
quella delle condizioni di salute della pompa che il pm
aveva ipotizzato”. E il pezzo di calcestruzzo che ci sarebbe finito dentro?
Qui Vettori riprende un passo dell’ultima memoria scritta.
“Il pm come San Pietro aveva costruito la sua chiesa su una
pietra ma una volta che la pietra si è sbriciolata è
crollata l’intera chiesa, e tutto il teorema sul quale
l’accusa era nata”. La camera di consiglio di quattro ore “è
il segno di una particolare attenzione e scrupolo anche per
superare quella che avrebbe potuto essere una soluzione più
facile e comoda, in questi casi è più facile condannare che
assolvere”. A rendere un po’ più amaro il sorriso è la
condanna di Bonfissuto, accusato di aver lasciato aperta una
valvola che doveva restare chiusa, e della raffineria (il
suo datore di lavoro) a risarcire le parti civili.
“Bonfissuto - argomenta Vettori - abbia o non abbia
correttamente manovrato la valvola 279 ha costituito il
primo anello di una catena, e i periti avevano parlato di
una serie di concause ognuna necessaria ma non sufficiente”.
Anche ammesso l’errore dell’operaio addetto all’allestimento
della linea, conclude l’avvocato, “non vedo come l’errore
possa essere ricollegato all’evento con tutto quello che è
successo dopo”.
Nessun reato per gli scarichi dell’autolavaggio
Rifiuti nell’Esino, prosciolti i quattro accusati di
violazione delle norme di protezione delle acque
FALCONARA - Il tribunale di Ancona ha assolto ieri
quattro persone accusate a vario titolo di contravvenzione
alle norme sulla protezione delle acque e smaltimento
rifiuti, per gli scarichi dell’autolavaggio situato vicino
al parco sosta della raffineria Api di Falconara, che nel
2002 finirono nelle fognature e da lì, attraverso un fosso
di scarico, nel fiume Esino. Sotto processo erano finiti per
citazione diretta della procura, Silvano Manuali (titolare
della ditta Mac che gestisce l' autolavaggio) e Luciano
Poggi (legale rappresentante della società di Ravenna che
installò le attrezzature), oltre all’ ex presidente del Cam
di Falconara Gianni Maresca, recentemente deceduto, e al
direttore di Gorgovivo Patrizio Ciotti. Questi ultimi due erano accusati di aver violato le norme
sullo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi.
L’autolavaggio aveva consegnato alla ditta di nettezza
urbana alcuni rifiuti fangosi da trasportare, per lo
smaltimento, presso un impianto di Gorgovivo presuntivamente
non autorizzato. Accogliendo le richieste delle difese - rappresentate
dagli avvocati Maurizio Lucangeli, Marco Pacchiarotti e
Ennio Tomassoni - il giudice Paola Moscaroli ha ritenuto
invece che l’ impianto di Gorgovivo fosse autorizzato a
trattare quel tipo di fanghi e che non sussistessero
responsabilità penali a carico di tutti gli imputati.
Contestualmente il tribunale ha comunque dichiarato estinto
il reato contestato a Marescia. Anche il pm onorario
Vincenzo Brengola aveva chiesto l’assoluzione degli
imputati.
|
Api,
l’operaio condannato: «Io non ho fatto errori»
Il giorno dopo la sentenza. L’unico colpevole
dell’esplosione del 25 agosto ieri era normalmente al
lavoro. «Tante manifestazioni di solidarietà». Bonfissuto: «Se qualcuno ha sbagliato non sono io, quella
valvola non l’ho lasciata aperta»
di LETIZIA LARICI
FALCONARA «Non me l’aspettavo, ma la mia coscienza è a
posto». Quella sentenza proprio non se l'aspettava. Gaetano
Bonfissuto, l'unico a incassare una condanna per il rogo del
25 agosto 1999 alla raffineria Api in cui bruciarono le vite
di Mario Gandolfi e Ettore Giulian, è rimasto sorpreso di
fronte alla sentenza emessa mercoledì sera dal giudice
monocratico Vincenzo Capezza che gli ha inflitto un anno e 6
mesi con le attenuanti generiche. Otto mesi in più rispetto
alla pena chiesta dal Pm. Amareggiato per l'epilogo, ma
sereno perchè convinto della propria innocenza, Bonfissuto,
che era stato accusato di aver scatenato un effetto domino
lasciando aperta una valvola che doveva restare chiusa, ieri
è andato regolarmente al lavoro. «Pensavo di uscirne pulito
- ammette - ma quel che conta è che mi sento a posto con la
coscienza. So di non aver commesso errori, di non aver
lasciato aperta quella valvola, sempre che effettivamente lo
fosse». Bonfissuto, 56 anni, nativo di Tripoli ma residente
in Ancona da quarant'anni e da 35 operaio nello stabilimento
Api di Falconara con varie mansioni, all'epoca della
tragedia era addetto all'allestimento della linea di benzina
che fu al centro dell’esplosione. Poco più tardi fu
sollevato da quell'incarico e trasferito al centro consegne
documenti agli autotrasportatori. «Nei giorni successivi
all'incendio fui additato da tutti i colleghi come l'unico
vero colpevole dell'accaduto - racconta - Per due settimane
mi trattarono come un assassino, poi si resero conto che
stavano sbagliando. Oggi (ieri per chi legge; ndr) ho
ricevuto molte testimonianze di solidarietà. Si sono tutti
detti dispiaciuti e sbalorditi per la sentenza». I motivi
che hanno portato il giudice Capezza a condannare l'operaio
e a prosciogliere gli altri cinque imputati, tra cui i
vertici aziendali ma anche l'altro addetto alla linea di
trasferimento del carburante Pierfrancesco Carletti, si
conosceranno tra due mesi. Anche Bonfissuto aspetta di
saperne di più, perchè per ora dice di «non riuscire a
capacitasi del perchè». In ogni caso, aggiunge, «sono
fiducioso nel ricorso in appello». Sì, perchè l’operaio
ribadisce: «Non ho colpe e sono sereno. Stanotte (ieri ndr)
ho dormito senza problemi per poi venire tranquillamente al
lavoro». Una responsabilità all'origine di quello spaventoso
rogo, però, ci dovrà pur essere. «Credo - spiega - che la
causa sia da imputare ad un errore tecnico commesso nei
giorni precedenti. La linea in questione, quella i
trasferimento della benzina verde al deposito nazionale, era
stata svuotata per riempire alcuni serbatoi nei quali
mancava del prodotto. Sono certo che, proprio per il fatto
che non era più piena, al suo interno si sia formata una
bolla di ossigeno che ha innescato la combustione. Non so se
la valvola fosse aperta, come ipotizzato, personalmente non
la controllai perchè la mansione non rientrava tra le mie
competenze. In ogni caso si sarebbe trattato di un'anomalia
che a mio avviso non avrebbe potuto influire più di tanto
sull'incidente».
Anche i sindacati non sono convinti: «Responsabilità
da cercare più in alto»
di Le.La.
FALCONARA L’esito del processo per il rogo del 25 agosto
1999 lascia perplessi i sindacati, spiazzati dalla decisione
del giudice Capezza che ha condannato il solo Gaetano
Bonfissuto, prosciogliendo, seppur per mancato
raggiungimento di una piena prova di colpevolezza, gli altri
cinque imputati e in particolare i vertici aziendali (tra i
quali l'attuale direttore Bellucci e quello dell'epoca
Saronne). «In attesa di leggere le motivazioni per capire
meglio la questione - commenta Andrea Fiordelmondo della Uil
- crediamo comunque che le responsabilità, quanto meno
morali, vadano ricercate tra le alte sfere. Se c'è una
colpa, non può essere di chi esegue ma di chi organizza».
Fiordelmondo e Daniele Paolinelli della Cisl, si dicono
«contrariati da una sentenza che va a punire solo l'ultimo
gradino della scala gerarchica». Anche perchè «non può
bastare una valvola lasciata incautamente aperta per
scatenare quel putiferio. In questo caso dovrebbero
innescarsi una serie di misure di sicurezza per porre
immediatamente riparo all'errore». Contento che la decisione
ponga l'accento sulle responsabilità, Paolinelli ritiene che
«Bonfissuto ricoprisse solo un ruolo marginale» e che «se di
errore si è trattato, va riferito alla procedura di cui è
responsabile l'azienda e non il singolo operaio». La
sentenza emessa l'altro ieri impone anche al gruppo
petrolifero di risarcire i danni provocati dallo scoppio a
Comune di Falconara, ai comitati di Villanova e Fiumesino e
a undici residenti. Risarcimento che dovrà essere
quantificato dal guidice civile. Comprensibile la
soddisfazione dell'amministrazione: «Con il riconoscimento
del danno provocato alla città - osserva l'assessore
all'ambiente Giancarlo Scortichini - si evidenzia come in
quell'azienda accadono eventi pericolosi. Quanto alla verità
giudiziaria, ne prendiamo atto anche se non nascondiamo che
ci convinceva molto di più l'impianto del pubblico
ministero. Valuteremo le motivazioni, intanto continuiamo a
nutrire forti dubbi sulla sicurezza e sulla gestione
interna». Altrettanto comprensibile da questo punto di vista
la soddisfazione dei comitati ai quali è stato riconosciuto
il diritto di costituirsi parte civile. «Una decisione
storica che ha visto risarcire per la prima volta un gruppo
di cittadini uniti contro la raffineria Api - commenta Loris
Calcina, uno dei portavoce - Dopo quello che è accaduto
intendono costituirsi in sede civile altre 120 famiglie
residenti nei pressi della raffineria. Andranno tutte dal
giudice incaricato di quantificare il risarcimento per
essere ammesse al riconoscimento del danno». Quanto alla
sentenza, per Calcina «la decisione di condannare un operaio
piuttosto che i vertici aziendali non elimina i nostri
dubbi. Che restano tanti e che ci auguriamo vengano chiariti
nel processo d'appello». Non sorpresa ma amareggiata è Elsa
Mattioni, vedova di Mario Gandolfi che in quel rogo perse la
vita: «Me l’aspettavo. Capisco l’assoluzione dei vertici
dell’azienda perchè sono meri esecutori di ordini, ma non è
giusto che paghi solo un operaio, l’ultimo dei poveretti
finiti nell’ingranaggio».
Api, parla il pm Tedeschini: «Una sentenza difficile
da accettare»
Dopo l’assoluzione dei vertici Processo
di GIAMPAOLO MILZI
C'E’ UN sasso nella scarpa del sostituto procuratore
della Repubblica Cristina Tedeschini. E le fa male, dopo la
sentenza che ha scagionato da ogni responsabilità o
leggerezza i due direttori, i due funzionari e l'operaio
dell’Api che il pm di questo processo lungo e delicato
voleva fossero tutti condannati assieme al sesto imputato,
la tuta blu Bonfissuto. Paga solo lui penalmente, per il
rogo, per il duplice omicidio colposo del 25 agosto 1999,
quando le fiamme avvolsero parte della raffineria e morirono
Mario Gandolfi ed ettore Giulian. La pubblica accusatrice
del generale stile gestionale e operativo della raffineria
non lo dice - in attesa di leggere le motivazioni di un
verdetto che rispetta, quello del giudice Vincenzo Capezza,
difficile da decifrare a caldo - ma è come se quel sasso
fosse uscito dalla pompa collassata nell'area Sif della
raffineria e schizzato via a demolire l'intera impalcatura
inquirente. Già, perchè è proprio sulla presenza galeotta,
perché doverosamente da evitare, di quel pezzetto di
calcestruzzo dentro la pompa, sulla sua capaciità di forarla
e determinare la fuoriuscita dei 50 metri cubi di carburante
che vaporizzandosi bruciarono le vite dei tecnici Gandolfi e
Giulian, «che io e i periti avevano costruito l'impalcatura
collettivamente colpevolista, che evidenziava una dinamica
di cause capace di spiegare l'incidente». L'altra concausa,
a monte, era l'allestimento scorretto, con l'anomala
apertura della valvola 279, lungo la linea 29 di
trasferimento della benzina verde al tank nazionale, con
conseguente messa in connessione di quel circuito con quello
dell'area Sif. Una dinamica che potrebbe essere invece stata
bocciata in toto dal magistrato giudicante, che ha ridotto
al solo Bonfissuto, addetto all'allestimento di quella
linea, reo di non aver chiuso la valvola, le responsabilità.
«Oppure no, visto che l'assoluzione per gli altri è arrivata
perchè dal dibattimento non sono emerse prove certe di
colpevolezza», ipotizza il pm.
Autolavaggio
Il tribunale ha assolto Silvano Manuali (titolare
della ditta Mac che gestisce l'autolavaggio vicino al parco
sosta della raffineria Api), Luciano Poggi (legale
rappresentante della società che installò le attrezzature),
l'ex presidente del Cam Gianni Maresca, recentemente
deceduto, e il direttore di Gorgovivo Patrizio Ciotti
dall’accusa di aver violato le norme sulla protezione delle
acque e smaltimento rifiuti, per gli scarichi che nel 2002
finirono nelle fognature e da lì nel fiume Esino. |