MESSAGGERO |
L’Api: «Rogo per un furto di
benzina»
La difesa: «Ci fu un vuoto di
carburante, il riflusso fece saltare la tubatura». La
tragedia del 25 agosto . Parlano in Tribunale Saronne e
Bellucci, il 28 gennaio la sentenza
FALCONARA C’è un solo modo
per spiegare il rogo che il 25 agosto 1999 provocò, all’Api,
la morte degli operai Mario Gandolfi ed Ettore Giulian,
secondo la direzione dello stabilimento petrolchimico. Un
furto di benzina che avrebbe provocato un vuoto di
carburante lungo la conduttura, scoppiata in corrispondenza
della ormai famigerata valvola 279. Quando il sistema
idraulico fu riattivato dall’azienda per trasportare il
combustibile ai serbatoi, il contraccolpo del riflusso del
liquido sarebbe stato così violento da far collassare il
meccanismo. Ecco spiegata la fuoriuscita di benzina
nebulizzata, incendiatasi poi forse per colpa di una
banalissima scintilla. I due operai, poveretti,
assolutamente estranei alla presunta sottrazione del
carburante, si sarebbero accorti dell’anomalia del sistema e
avrebbero tentato di riportare la situazione alla normalità,
rimanendo invece coinvolti nell’esplosione. La teoria
difensiva dell’Api è stata esposta ieri davanti al Tribunale
di Ancona dall’allora direttore dello stabilimento Giovanni
Saronne e dal vice (oggi numero uno della raffineria) Franco
Bellucci, imputati insieme ad altri cinque dipendenti del
petrolchimico. Un processo ormai alle ultime battute: il
prossimo 14 gennaio il Pm Cristina Tedeschini presenterà le
sue richieste, il 24 e il 27 gennaio udienze riservate alle
arringhe delle difese, il 28 gennaio la sentenza. Durante
gli interrogatori di ieri i dirigenti sotto processo hanno
voluto sottolineare il grande impegno sul fronte della
sicurezza. Nel ’99 la Raffineria spendeva 30 miliardi di
vecchie lire, cioè il 30% dei costi di gestione, per la
manutenzione degli impianti. «Questo per garantire i
lavoratori - ha detto Franco Bellucci - ma anche perchè ogni
incidente provoca un danno di produzione devastante per
l’impianto, che va in ogni modo prevenuto». Bellucci ha
ribadito inoltre che all’interno della raffineria venivano
utilizzate strumentazioni all’ avanguardia, e che non
esisteva alcuna prassi tale per cui le valvole, poi
interessate dall' incendio, venivano tenute in posizione
irregolare. Rispondendo a domanda sulle probabili cause
dell' incidente, l’attuale direttore del petrolchimico ha
rilevato che in quel momento c' era «un assetto anomalo
delle tubazioni». Secondo Bellucci «lo choc che ha prodotto
il collasso della pompa» si è determinato quando la benzina
è affluita in un tratto della tubazione che avrebbe dovuto
essere pieno di carburante e invece era «vuoto». Perché era
vuoto? «L’unica spiegazione - ha detto Bellucci - è l'
asportazione fraudolenta di carburante». Il tribunale ha
ascoltato anche le dichiarazioni dell' imputato Bonvissuto,
il quale ha letto una memoria di due pagine. Premettendo di
aver sempre operato «con la massima scrupolosità», l’operaio
ha detto che «la valvola 279 era chiusa» quando lui passò a
controllarla prima che scoppiasse il rogo. G.Sg. |
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CORRIERE ADRIATICO |
Sentenza a gennaio per il
rogo all’Api
L’ex direttore Giovanni
Saronne “La sicurezza di un impianto è fonte di
produttività” Torna l’ipotesi del furto di benzina come
possibile causa del guasto Intanto gli imputati respingono
le accuse
di LORENZO SCONOCCHINI
Ultima tappa, prima della
sfida finale tra avvocati e pm che a fine gennaio, il 28,
porterà al primo verdetto sulle responsabilità del tragico
rogo all’Api dell’agosto ’99, costato la vita al capoturno
Ettore Giulian e al capofabbrica Mario Gandolfi. Prima di
cominciare con requisitorie e arringhe (aprirà la
discussione il pm Tedeschini il 14 gennaio) ieri è stato
sentito l’ultimo teste, l’attuale vicedirettore Cleri, e poi
c’è stato l’esame degli imputati di omicidio colposo e
incendio colposo. A giudizio ci sono sei dirigenti, tecnici
e operai dell’Api: l’ex direttore della raffineria Giovanni
Saronne, quello attuale Franco Bellucci, il capo servizio
manutenzione Sergio Brunelli, il responsabile manutenzione
off-site Claudio Conti, gli operai Gaetano Bonvissuto e
Pierfrancesco Carletti. Saronne, rispondendo all’avvocato
Giacomo Vettori, ha cercato di smontare le accuse del pm,
secondo cui come numero uno della raffineria falconarese non
avrebbe fatto tutto il possibile - tra formazione del
personale, investimenti in sicurezza e manutenzione - per
scongiurare i rischi di incidente. Con più attenzione a
questi fattori, per la procura, non ci sarebbe stata la
fuoriuscita di benzina verde, causata prima da un anomalo
afflusso di carburante verso una condotta di riserva, per
una valvola rimasta aperta, e poi dalla rottura di una
pompa. “La formazione - ha ribattuto Saronne - era
accuratissima sin dalla selezione, con una ditta
specializzata che ci aiutava a valutare l’attitudine a
svolgere un lavoro comunque a rischio. E le strumentazioni
dell’impianto erano già all’avanguardia, l’Api ha introdotto
per prima l’informatizzazione dei controlli, a cui è sempre
affiancato un riscontro visivo. D’altra parte la sicurezza
di un impianto è fonte di produttività, significa prevenire
grossi guai per le persone e anche per l’azienda”. E la
manutenzione? “Su un budget di cento miliardi - ha spiegato
un altro imputato, l’ingegner Franco Bellucci -, trenta
erano destinati proprio alla manutenzione”. Quanto alle
possibili cause dell’incidente secondo Bellucci “lo choc che
ha prodotto il collasso della pompa” si è determinato quando
la benzina è affluita in un tratto della tubazione che
avrebbe dovuto essere pieno di carburante e invece era
“vuoto”. Perché vuoto? “L' unica spiegazione - ha detto
Bellucci - è l’asportazione fraudolenta di carburante”. Un
furto, dunque, come s’era già detto più volte durante il
processo. Senza sospettare però delle due vittime, come ha
voluto precisare Saronne: “Loro accorsero per fronteggiare
l’emergenza”. |
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