Una schiuma inquietante
Allarme a Marina per un liquame
biancastro di origine ignota
MONTEMARCIANO — Alle
disastrose conseguenze derivanti dall'eccezionale evento
atmosferico dei giorni scorsi, e forse strettamente connesso
ad esse, si è aggiunto ieri a Marina un nuovo, inquietante
allarme. E' stata infatti segnalata la presenza, sulla
spiaggia di Marina, di una rilevante quantità di schiuma
biancastra di origine ignota. II Comune anche in questo caso
è immediatamente intervenuto con i propri tecnici per
controllare la situazione. Per una verifica di che cosa
possa trattarsi, è stato immediatamente richiesto
l'intervento dei tecnici dell'Arpam, l'organismo deputato a
questo tipo di analisi. Si attendono dunque i risultati per
capire l'origine del fenomeno. |
Gas, olio o acqua: le
possibili infiltrazioni nel serbatoio esploso
Scoppio all’Api, tre ipotesi
per un disastro
di LORENZO SCONOCCHINI
Le analisi di laboratorio sul
bitume prelevato dalle autobotti che s’erano già rifornite
chiariranno se davvero il serbatoio Tk-145 è partito come un
missile per un guasto nel circuito hot-oil che riscalda i
silos di bitume fino a 180 gradi. O se in quel
maxi-contenitore, dov’erano stivati 592 metri cubi di bitume
rovente, s’è insinuato qualche gas o addirittura acqua. Sono
queste le tre ipotesi a cui sta lavorando il professor
Amedeo Lancia, perito della procura. Il docente di
ingegneria chimica ambientale, nominato consulente dai pm
Tedeschini e Bilotta, sta completando in questi giorni gli
esami di laboratorio sui campioni di materiali repertati
durante i due sopralluoghi fatti dopo il conferimento
dell’incarico di metà settembre nell’inchiesta aperta contro
27 tra dirigenti, tecnici e operai dell’Api. I due accessi
nell’area bitumi sotto sequestro, uno spicchio di raffineria
esteso 12 mila metri cubi dove si ergono undici serbatoi,
sono serviti a prelevare campioni di bitume dalle delle
autobotti che prima dello scoppio avevano già caricato dal
serbatoio Tk 145. Il perito lo ha esaminato per capire se
era contaminato da sostanze estranee. Potrebbe esserci
l’olio uscito dalla serpentina rotta, ma si cercano anche
gocce di gas liquido, residui di una possibile infiltrazione
che spiegherebbe quel botto micidiale avvenuto alle 7 e 20
dell’8 settembre scorso. I testimoni raccontano di aver
sentito un sibilo, seguito da un’esplosione che ha innalzato
il serbatoio Tk 145, largo 8 metri e alto 12, fino a venti
metri da terra. Il silo divelto è atterrato a circa trenta
metri di distanza, ammaccando il serbatoio 166, molto più
grande, dopo aver aperto uno squarcio nel Tk-144, facendo
uscire il bitume che ha sepolto Sebastiano Parisse,
l’autotrasportatore vittima dell’incidente. Poco distante
c’è l’area Gpl, con giganteschi serbatoi di carburante
altamente infiammabile. La terza ipotesi è quella di
un’infiltrazione di acqua, che a quelle temperature si
sarebbe espansa facendo esplodere il serbatoio come una
pentola a pressione. Ma in quel caso, fanno notare i tecnici
più scettici su questa ricostruzione, sarebbe saltato il
coperchio del serbatoio, dotato anche di un sistema di
sfiato. Invece del serbatoio saltato come un razzo è rimasta
a terra solo la base, una gigantesca “girella”, che è la
serpentina hot-oil, dove passa l’olio condensato per
riscaldare il bitume. L’incendio, come testimoniano le
immagini in nostro possesso, ha lasciato sul campo i segni
di una devastazione: un’autocisterna giace semi-squagliata,
le strutture in acciaio che reggono il sistema di tubazioni
sono piegate come burro, un muretto di contenimento s’è
sbriciolato. |