Area bitumi,
quei lavori attesi da anni
L’inchiesta della procura
cerca di chiarire se serbatoi e tubazioni erano efficienti e
a norma ma non si escludono nemmeno cause esterne Controlli
sui carichi precedenti delle autobotti Solo due mesi fa era
stato approvato il progetto esecutivo L’Api: “Erano
interventi migliorativi ma non c’entra la sicurezza” Già dal
2002 era previsto un ammodernamento dell’impianto
interessato dall’esplosione
di LORENZO SCONOCCHINI
Ogni foglio, ogni file di
computer, ogni testimonianza utile a capire cosa sia
accaduto prima, durante e dopo quello scoppio. Racimola
materiale a spron battuto la procura, cercando di farsi un
quadro completo della situazione in attesa di affidare a un
pool di esperti la consulenza tecnica sulle cause
dell’incidente in cui è morto l’autotrasportatore Sebastiano
Parisse, 49 anni, e tre suoi colleghi sono rimasti
ustionati. Si cerca di fare una “fotografia” il più
possibile nitida del contesto in cui è maturata la tragedia:
flussi di materiali, manutenzioni degli impianti, acquisti e
rinnovi di materiali, procedure seguite dal personale
addetto a controllare la fase del carico delle autobotti che
ogni mattina entrano all’Api per fare il pieno di bitume. Al
centro di tanto interesse, ovviamente, c’è l’area bitumi
della raffineria, uno spiazzo di cinquecento metri quadri
con dieci serbatoi e un intrico di tubazioni e serpentine
messo sotto sequestro dalla magistratura.
Era al top o sentiva il peso
degli anni? L’Api in realtà già da due anni aveva pensato a
un progetto per l’ammodernamento e all’inizio dell’estate si
era varato un piano esecutivo. Se ne era parlato anche
venerdì, all’assemblea del personale indetta dopo la
tragedia, e qualcuno ha posto il problema sicurezza: non è
che il progetto di ammodernamento doveva sanare qualche
lacuna di un impianto ormai datato? “No - è la risposta che
viene da ambienti dell’Api - perché in realtà la raffineria
è in continua evoluzione e ci sono lavori in corso tutto
l’anno. L’ammodernamento dell’area bitumi non rispondeva a
un’emergenza, ma a una logica di pianificazione. E comunque
parliamo di un’area tra le meno a rischio, perché il bitume
non brucia facilmente”.
Anche l’efficienza degli
impianti e dei serbatoi dell’area bitumi, manco a dirlo,
sarà oggetto dei quesiti posti ai periti. I pm Irene Bilotta
e Cristina Tedeschini avrebbero già scelto uno degli
esperti, mentre si studiano altri nomi per completare il
collegio dei periti, di cui non faranno parte comunque i due
ingegneri napoletani che hanno lavorato nel processo in
corso per l’incendio del 25 agosto ’99. Mosse caute, quelle
della coppia di pm che indagano per incendio, lesioni e
omicidio colposo. E’ probabile che in un caso così complesso
si proceda con la richiesta di incidente probatorio, un
passaggio che coinvolgendo le altri parti darebbe validità
alla perizia anche nell’eventuale processo. In questo caso
scatterebbero presto i primi avvisi di garanzia nei
confronti dei responsabili tecnici della raffineria, o di
alcuni settori dell’impianto, come atti dovuti per
consentire loro di nominare propri consulenti tecnici e
partecipare alla perizia.
S’annuncia un lavoro
complesso perché l’incidente di mercoledì è senz’altro più
difficile da decifrare di quello di cinque anni fa, dove
s’era visto subito il punto di rottura delle tubazioni da
cui zampillava la fontana di benzina verde.
E più gravi potevano essere
gli effetti, con conseguenze addirittura disastrose se il
serbatoio di bitume Tk145, sradicato dal terreno e schizzato
in aria come un missile, fosse finito contro uno dei
serbatoi di carburante anziché colpire di striscio un altro
deposito di bitume, un derivato del petrolio assai meno
infiammabile rispetto a gasolio e benzina. Si sarebbe
rischiato davvero il tanto temuto effetto-domino, con
esplosioni a catena all’interno della raffineria e un rogo
di dimensioni spaventose.
Ma anche se il peggio è
scongiurato, c’è da capire i retroscena e le eventuali
responsabilità di un incidente che ha avuto comunque
conseguenze gravissime. Va scoperta la causa di una nube di
vapori o comunque di un residuo gassoso anomalo all’interno
della cisterna esplosa. Per non trascurare nessuna ipotesi,
nemmeno quella di una causa esterna all’Api, la procura ha
coinvolto nell’inchiesta anche la Guardia di finanza, che
tiene registri molto dettagliati sulla movimentazione dei
materiali in entrata e uscita dalla raffineria a bordo delle
autobotti. Si cerca di capire se eventuali residui presenti
nei cassoni delle autobotti possano essere filtrati nella
cisterna Api durante i prelievi di bitume, un’eventualità
che però non ha per ora riscontri.
Gli scenari più accreditati
restano quelli di una perdita di liquido di riscaldamento da
una serpentina interna alla cisterna, o di un anomalo
sversamento di acqua o altri liquidi nel serbatoio filtrati
dall’esterno, dal sistema di pompaggio o dal terreno.
Elementi che potrebbero aver contribuito alla formazione
dell’accumulo di gas o vapore che poi ha scatenato
l’esplosione. |