RASSEGNA STAMPA 12.09.2004

 

CORRIERE ADRIATICO
Area bitumi, quei lavori attesi da anni

L’inchiesta della procura cerca di chiarire se serbatoi e tubazioni erano efficienti e a norma ma non si escludono nemmeno cause esterne Controlli sui carichi precedenti delle autobotti Solo due mesi fa era stato approvato il progetto esecutivo L’Api: “Erano interventi migliorativi ma non c’entra la sicurezza” Già dal 2002 era previsto un ammodernamento dell’impianto interessato dall’esplosione

di LORENZO SCONOCCHINI

Ogni foglio, ogni file di computer, ogni testimonianza utile a capire cosa sia accaduto prima, durante e dopo quello scoppio. Racimola materiale a spron battuto la procura, cercando di farsi un quadro completo della situazione in attesa di affidare a un pool di esperti la consulenza tecnica sulle cause dell’incidente in cui è morto l’autotrasportatore Sebastiano Parisse, 49 anni, e tre suoi colleghi sono rimasti ustionati. Si cerca di fare una “fotografia” il più possibile nitida del contesto in cui è maturata la tragedia: flussi di materiali, manutenzioni degli impianti, acquisti e rinnovi di materiali, procedure seguite dal personale addetto a controllare la fase del carico delle autobotti che ogni mattina entrano all’Api per fare il pieno di bitume. Al centro di tanto interesse, ovviamente, c’è l’area bitumi della raffineria, uno spiazzo di cinquecento metri quadri con dieci serbatoi e un intrico di tubazioni e serpentine messo sotto sequestro dalla magistratura.

Era al top o sentiva il peso degli anni? L’Api in realtà già da due anni aveva pensato a un progetto per l’ammodernamento e all’inizio dell’estate si era varato un piano esecutivo. Se ne era parlato anche venerdì, all’assemblea del personale indetta dopo la tragedia, e qualcuno ha posto il problema sicurezza: non è che il progetto di ammodernamento doveva sanare qualche lacuna di un impianto ormai datato? “No - è la risposta che viene da ambienti dell’Api - perché in realtà la raffineria è in continua evoluzione e ci sono lavori in corso tutto l’anno. L’ammodernamento dell’area bitumi non rispondeva a un’emergenza, ma a una logica di pianificazione. E comunque parliamo di un’area tra le meno a rischio, perché il bitume non brucia facilmente”.

Anche l’efficienza degli impianti e dei serbatoi dell’area bitumi, manco a dirlo, sarà oggetto dei quesiti posti ai periti. I pm Irene Bilotta e Cristina Tedeschini avrebbero già scelto uno degli esperti, mentre si studiano altri nomi per completare il collegio dei periti, di cui non faranno parte comunque i due ingegneri napoletani che hanno lavorato nel processo in corso per l’incendio del 25 agosto ’99. Mosse caute, quelle della coppia di pm che indagano per incendio, lesioni e omicidio colposo. E’ probabile che in un caso così complesso si proceda con la richiesta di incidente probatorio, un passaggio che coinvolgendo le altri parti darebbe validità alla perizia anche nell’eventuale processo. In questo caso scatterebbero presto i primi avvisi di garanzia nei confronti dei responsabili tecnici della raffineria, o di alcuni settori dell’impianto, come atti dovuti per consentire loro di nominare propri consulenti tecnici e partecipare alla perizia.

S’annuncia un lavoro complesso perché l’incidente di mercoledì è senz’altro più difficile da decifrare di quello di cinque anni fa, dove s’era visto subito il punto di rottura delle tubazioni da cui zampillava la fontana di benzina verde.

E più gravi potevano essere gli effetti, con conseguenze addirittura disastrose se il serbatoio di bitume Tk145, sradicato dal terreno e schizzato in aria come un missile, fosse finito contro uno dei serbatoi di carburante anziché colpire di striscio un altro deposito di bitume, un derivato del petrolio assai meno infiammabile rispetto a gasolio e benzina. Si sarebbe rischiato davvero il tanto temuto effetto-domino, con esplosioni a catena all’interno della raffineria e un rogo di dimensioni spaventose.

Ma anche se il peggio è scongiurato, c’è da capire i retroscena e le eventuali responsabilità di un incidente che ha avuto comunque conseguenze gravissime. Va scoperta la causa di una nube di vapori o comunque di un residuo gassoso anomalo all’interno della cisterna esplosa. Per non trascurare nessuna ipotesi, nemmeno quella di una causa esterna all’Api, la procura ha coinvolto nell’inchiesta anche la Guardia di finanza, che tiene registri molto dettagliati sulla movimentazione dei materiali in entrata e uscita dalla raffineria a bordo delle autobotti. Si cerca di capire se eventuali residui presenti nei cassoni delle autobotti possano essere filtrati nella cisterna Api durante i prelievi di bitume, un’eventualità che però non ha per ora riscontri.

Gli scenari più accreditati restano quelli di una perdita di liquido di riscaldamento da una serpentina interna alla cisterna, o di un anomalo sversamento di acqua o altri liquidi nel serbatoio filtrati dall’esterno, dal sistema di pompaggio o dal terreno. Elementi che potrebbero aver contribuito alla formazione dell’accumulo di gas o vapore che poi ha scatenato l’esplosione.

 
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