RASSEGNA STAMPA 11.09.2004

 

MESSAGGERO
L’Api? «Facciamoci un centro turistico»

Gli architetti Brunelli e Mosè: «Petrolchimico incompatibile con lo sviluppo del territorio, va dismesso in 20 anni». La Regione ha uno studio urbanistico. Moruzzi: «Ricadute occupazionali tollerabili»

di LETIZIA LARICI

FALCONARA E'ora di pensare seriamente ad un progetto di riconversione della raffineria Api. L'appello del capogruppo regionale dei Verdi Marco Moruzzi è rivolto alla giunta regionale e «soprattutto a chi oggi, alla luce dei tragici eventi, pare intenda fare dietrofront sul rilascio del rinnovo della concessione». Sì, perché «i finanziamenti, oltre 1 miliardo di vecchie lire, stanziati nel 1999 dal Ministero dell'Ambiente per uno studio di riconversione del sito - spiega Moruzzi - sono stati successivamente utilizzati in buona parte per valutare altre questioni». «La Regione - prosegue - ha comunque commissionato alla Svim uno studio per verificare impatto ambientale, economico e urbanistico della raffineria, rivelatosi però meramente descrittivo. Tanto che senza dati indicativi di costi e benefici ci si è trovati a concedere il rinnovo». Lo studio insomma non si è spinto oltre la fotografia dell'attuale scenario e la Regione non ha mai acquisito elementi sufficienti a valutare pro e contro del mantenimento della raffineria. Eccezion fatta per la parte che attiene all'assetto urbanistico affidata agli architetti Carlo Brunelli e Amos Mosè, che muovendo da un'analisi della criticità attuale hanno finito per prospettare futuri ipotetici scenari. «Nel confermare l'incompatibilità degli impianti con lo sviluppo del territorio - prosegue il capogruppo dei Verdi - Brunelli e Mosè hanno proposto una programmazione ragionata di riconversione ventennale del sito. Due le ipotesi prese in considerazione: dalla riduzione della superficie con conversione del polo energetico, alla riconversione globale. Il che significherebbe destinare l'area ad altro uso, quale quello del turismo residenziale». Suggerimenti rimasti inascoltati al momento di decidere per la proroga della concessione, «perché - ribatte Moruzzi - mancavano valutazioni di tipo economico. Quale il costo della bonifica, quale quello di una riconversione, quale l'incidenza sul sistema? Domande rimaste senza risposta. Eppure qualche spunto la parte dello studio che attiene agli aspetti economici ed occupazionali lo fornisce. Anzitutto, l'indotto valutato dalla raffineria in 2000 posti di lavoro, si aggirerebbe in realtà, secondo l'economista Carlo Carboni, autore dell'analisi insieme al collega Franco Sotte, intorno ai 1500 dipendenti. Il livello occupazionale della raffineria costituirebbe il 3% dell'area (dalla Zipa al Porto di Ancona) dichiarata ad alto rischio. «Dallo studio dei due economisti - osserva Moruzzi - si evince poi come l'eventuale dismissione della raffineria nel lungo periodo, considerate le prospettive di sviluppo del comprensorio Senigallia-Jesi-Ancona, peserebbe ma non sarebbe così determinante da mettere in crisi il sistema economico». E l'ipotesi delocalizzazione? «Tecnicamente impossibile, almeno nella nostra regione».

 
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