L’Api?
«Facciamoci un centro turistico»
Gli architetti Brunelli e
Mosè: «Petrolchimico incompatibile con lo sviluppo del
territorio, va dismesso in 20 anni». La Regione ha uno
studio urbanistico. Moruzzi: «Ricadute occupazionali
tollerabili»
di LETIZIA LARICI
FALCONARA E'ora di pensare
seriamente ad un progetto di riconversione della raffineria
Api. L'appello del capogruppo regionale dei Verdi Marco
Moruzzi è rivolto alla giunta regionale e «soprattutto a chi
oggi, alla luce dei tragici eventi, pare intenda fare
dietrofront sul rilascio del rinnovo della concessione». Sì,
perché «i finanziamenti, oltre 1 miliardo di vecchie lire,
stanziati nel 1999 dal Ministero dell'Ambiente per uno
studio di riconversione del sito - spiega Moruzzi - sono
stati successivamente utilizzati in buona parte per valutare
altre questioni». «La Regione - prosegue - ha comunque
commissionato alla Svim uno studio per verificare impatto
ambientale, economico e urbanistico della raffineria,
rivelatosi però meramente descrittivo. Tanto che senza dati
indicativi di costi e benefici ci si è trovati a concedere
il rinnovo». Lo studio insomma non si è spinto oltre la
fotografia dell'attuale scenario e la Regione non ha mai
acquisito elementi sufficienti a valutare pro e contro del
mantenimento della raffineria. Eccezion fatta per la parte
che attiene all'assetto urbanistico affidata agli architetti
Carlo Brunelli e Amos Mosè, che muovendo da un'analisi della
criticità attuale hanno finito per prospettare futuri
ipotetici scenari. «Nel confermare l'incompatibilità degli
impianti con lo sviluppo del territorio - prosegue il
capogruppo dei Verdi - Brunelli e Mosè hanno proposto una
programmazione ragionata di riconversione ventennale del
sito. Due le ipotesi prese in considerazione: dalla
riduzione della superficie con conversione del polo
energetico, alla riconversione globale. Il che
significherebbe destinare l'area ad altro uso, quale quello
del turismo residenziale». Suggerimenti rimasti inascoltati
al momento di decidere per la proroga della concessione,
«perché - ribatte Moruzzi - mancavano valutazioni di tipo
economico. Quale il costo della bonifica, quale quello di
una riconversione, quale l'incidenza sul sistema? Domande
rimaste senza risposta. Eppure qualche spunto la parte dello
studio che attiene agli aspetti economici ed occupazionali
lo fornisce. Anzitutto, l'indotto valutato dalla raffineria
in 2000 posti di lavoro, si aggirerebbe in realtà, secondo
l'economista Carlo Carboni, autore dell'analisi insieme al
collega Franco Sotte, intorno ai 1500 dipendenti. Il livello
occupazionale della raffineria costituirebbe il 3% dell'area
(dalla Zipa al Porto di Ancona) dichiarata ad alto rischio.
«Dallo studio dei due economisti - osserva Moruzzi - si
evince poi come l'eventuale dismissione della raffineria nel
lungo periodo, considerate le prospettive di sviluppo del
comprensorio Senigallia-Jesi-Ancona, peserebbe ma non
sarebbe così determinante da mettere in crisi il sistema
economico». E l'ipotesi delocalizzazione? «Tecnicamente
impossibile, almeno nella nostra regione». |