RASSEGNA STAMPA 10.09.2004

 

CORRIERE ADRIATICO
Non è colpa dei camionisti

Una nube di gas avrebbe causato l’esplosione I vigili del fuoco non erano stati avvertiti che c’era un disperso tra gli autotrasportatori Il ferito ricoverato a Padova trasferito in rianimazione L’inchiesta sul rogo-bis mette i primi punti fermi

di EMANUELE COPPARI

Non è stata una manovra sbagliata la scintilla che mercoledì mattina ha fatto esplodere un altro inferno all’Api. Le autocisterne erano tutte ferme per le operazioni di travaso di catrame dai serbatoi. Vola via come il fumo nero all’alba dell’altro ieri la prima ricostruzione dell’azienda: che l’incendio potesse essere stato scatenato da un contatto tra un camion e il sistema di carico.

Quando non ci sono certezze si procede per esclusione, e c’è un punto fermo nel tourbillon di ipotesi sulla possibile causa del disastro: le autobotti non c’entrano.

E’ l’architrave dell’inchiesta che i sostituti procuratori Irene Bilotta e Cristina Tedeschini coordinano in coppia. Stando a quanto trapela dalla cortina del riserbo i magistrati, che ipotizzano i reati di omicidio colposo, incendio e lesioni colpose, hanno un quadro ormai abbastanza completo su cosa possa essere accaduto. Hanno acquisito informazioni dalla raffica di interrogatori nelle ore successive al disastro, e raccolto molti dati dal sopralluogo in raffineria. Ora devono incrociarli con altri riscontri probatori. Serve a questo il sequestro dei 500 metri quadrati circa dell’area bitumi e un’altra piccola porzione a quella collegata.

E’ servirà una consulenza tecnica per ricomporre le tessere del mosaico di morte. L’ispezione cadaverica con piccoli prelievi di tessuto effettuata ieri sul cadavere di Sebastiano Parisse, il 49enne di Porto Potenza Picena investito e sepolto dal bitume incandescente, è servita solo a confermare le cause della morte terribile. Sulle ceneri fumanti del rogo aleggiano grossi dubbi, che incombono per esempio sulla gestione della fase di emergenza.

Nessuno ha avvisato i vigili del fuoco che oltre ai tre feriti c’era un disperso, Parisse appunto, che la deflagrazione e un’ondata di catrame bollente hanno catapultato oltre il bacino di contenimento, forse uccidendolo sul colpo. Solo quando le forze di polizia hanno raccolto le testimonianze degli altri camionisti hanno capito che un quarto collega, il povero autotrasportatore, mancava all’appello.

L’azienda deve tenere un registro di tutti quelli che lavorano all’interno della raffineria visto che si tratta di procedure standardizzate che si ripetono tutti i giorni? Altra domanda buona per gli inquirenti. Che devono dare una risposta su tutte: come si è scatenato il finimondo all’Api?

Due, forse qualcuna in più, esplosioni una dietro l’altra hanno devastato la zona dove stavano operando sei autisti con i loro mezzi e due dipendenti dell’Api. Una bolla di sapone la storia dell’urto, la causa del rogo è stata l’esplosione di un serbatoio. Chi ha vissuto in diretta quei drammatici momenti racconta di un volo di venti metri del coperchio del gigantesco cilindro. Secondo fonti bene informate devono essersi formati vapori altamente infiammabili ed esplosivi nell’ambiente. Una scintilla, poi il botto tremendo. La cisterna si è scardinata alla base ed è volata, si è schiantata su altre due, innescando un terrificante effetto domino. L’onda d’urto ha investito l’autobotte più vicina - sollevandola e spostandola - e il povero Parisse, scaraventato oltre il bacino di contenimento. Era il camionista più vicino, mentre il secondo schierato con il suo mezzo più in là per il rifornimento forse ha potuto abbozzare una fuga. Ma Nicola Cilli ha ustioni sul 40% del corpo, soprattutto alle gambe e alle braccia, e versa i condizioni ancora gravissime al centro specializzato di Padova. Ieri è stato trasferito nel reparto di Rianimazione. Gli altri autotrasportatori per loro fortuna erano più distanti, e hanno riportato conseguenze più lievi.

Il gas killer, dunque. Può essere successo che ci sia stata una perdita, per esempio la rottura di una tubatura dove correva il prodotto greggio

E’ successo qualcosa che ha disperso quelle sostanze micidiali uscite a contatto con l’aria. Resta da capire come sia possibile all’interno di una raffineria, dove si devono adottare tutti i sistemi di sicurezza per evitarlo. Un evento assolutamente anomalo, dunque, quella nube che ha acceso le fiamme.

Tanto più anormale in un’area che all’interno dell’Api non merita un posto tra quelle più pericolose. Vero è, d’altra parte, che l’impianto è sì a norma ed era stato sottoposto a regolare manutenzione, ma è obsoleto e deve essere sostituito. Il possibile innesco? Ce ne possono essere tantissimi, sostengono gli addetti ai lavori. Per esempio il motore di una delle autocisterne, o cariche elettrostatiche che frequentemente si formano nelle operazioni di travaso di liquidi viscosi.

La teoria della miscela di gas entrata nel serbatoio è una di quelle che circolano in queste ore all’interno del petrolchimico. Ma c’è anche chi pensa ad una possibile perdita di gasolio dalla serpentina che mantiene liquido il bitume. Il contatto col catrame avrebbe fatto da detonatore. Eppoi l’altra eventualità, quella dell’acqua penetrata nel serbatoio, provocando una reazione chimica dagli effetti letali.

 
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