Non è colpa
dei camionisti
Una nube di gas avrebbe
causato l’esplosione I vigili del fuoco non erano stati
avvertiti che c’era un disperso tra gli autotrasportatori Il
ferito ricoverato a Padova trasferito in rianimazione
L’inchiesta sul rogo-bis mette i primi punti fermi
di EMANUELE COPPARI
Non è stata una manovra
sbagliata la scintilla che mercoledì mattina ha fatto
esplodere un altro inferno all’Api. Le autocisterne erano
tutte ferme per le operazioni di travaso di catrame dai
serbatoi. Vola via come il fumo nero all’alba dell’altro
ieri la prima ricostruzione dell’azienda: che l’incendio
potesse essere stato scatenato da un contatto tra un camion
e il sistema di carico.
Quando non ci sono certezze
si procede per esclusione, e c’è un punto fermo nel
tourbillon di ipotesi sulla possibile causa del disastro: le
autobotti non c’entrano.
E’ l’architrave
dell’inchiesta che i sostituti procuratori Irene Bilotta e
Cristina Tedeschini coordinano in coppia. Stando a quanto
trapela dalla cortina del riserbo i magistrati, che
ipotizzano i reati di omicidio colposo, incendio e lesioni
colpose, hanno un quadro ormai abbastanza completo su cosa
possa essere accaduto. Hanno acquisito informazioni dalla
raffica di interrogatori nelle ore successive al disastro, e
raccolto molti dati dal sopralluogo in raffineria. Ora
devono incrociarli con altri riscontri probatori. Serve a
questo il sequestro dei 500 metri quadrati circa dell’area
bitumi e un’altra piccola porzione a quella collegata.
E’ servirà una consulenza
tecnica per ricomporre le tessere del mosaico di morte.
L’ispezione cadaverica con piccoli prelievi di tessuto
effettuata ieri sul cadavere di Sebastiano Parisse, il
49enne di Porto Potenza Picena investito e sepolto dal
bitume incandescente, è servita solo a confermare le cause
della morte terribile. Sulle ceneri fumanti del rogo
aleggiano grossi dubbi, che incombono per esempio sulla
gestione della fase di emergenza.
Nessuno ha avvisato i vigili
del fuoco che oltre ai tre feriti c’era un disperso, Parisse
appunto, che la deflagrazione e un’ondata di catrame
bollente hanno catapultato oltre il bacino di contenimento,
forse uccidendolo sul colpo. Solo quando le forze di polizia
hanno raccolto le testimonianze degli altri camionisti hanno
capito che un quarto collega, il povero autotrasportatore,
mancava all’appello.
L’azienda deve tenere un
registro di tutti quelli che lavorano all’interno della
raffineria visto che si tratta di procedure standardizzate
che si ripetono tutti i giorni? Altra domanda buona per gli
inquirenti. Che devono dare una risposta su tutte: come si è
scatenato il finimondo all’Api?
Due, forse qualcuna in più,
esplosioni una dietro l’altra hanno devastato la zona dove
stavano operando sei autisti con i loro mezzi e due
dipendenti dell’Api. Una bolla di sapone la storia
dell’urto, la causa del rogo è stata l’esplosione di un
serbatoio. Chi ha vissuto in diretta quei drammatici momenti
racconta di un volo di venti metri del coperchio del
gigantesco cilindro. Secondo fonti bene informate devono
essersi formati vapori altamente infiammabili ed esplosivi
nell’ambiente. Una scintilla, poi il botto tremendo. La
cisterna si è scardinata alla base ed è volata, si è
schiantata su altre due, innescando un terrificante effetto
domino. L’onda d’urto ha investito l’autobotte più vicina -
sollevandola e spostandola - e il povero Parisse,
scaraventato oltre il bacino di contenimento. Era il
camionista più vicino, mentre il secondo schierato con il
suo mezzo più in là per il rifornimento forse ha potuto
abbozzare una fuga. Ma Nicola Cilli ha ustioni sul 40% del
corpo, soprattutto alle gambe e alle braccia, e versa i
condizioni ancora gravissime al centro specializzato di
Padova. Ieri è stato trasferito nel reparto di Rianimazione.
Gli altri autotrasportatori per loro fortuna erano più
distanti, e hanno riportato conseguenze più lievi.
Il gas killer, dunque. Può
essere successo che ci sia stata una perdita, per esempio la
rottura di una tubatura dove correva il prodotto greggio
E’ successo qualcosa che ha
disperso quelle sostanze micidiali uscite a contatto con
l’aria. Resta da capire come sia possibile all’interno di
una raffineria, dove si devono adottare tutti i sistemi di
sicurezza per evitarlo. Un evento assolutamente anomalo,
dunque, quella nube che ha acceso le fiamme.
Tanto più anormale in un’area
che all’interno dell’Api non merita un posto tra quelle più
pericolose. Vero è, d’altra parte, che l’impianto è sì a
norma ed era stato sottoposto a regolare manutenzione, ma è
obsoleto e deve essere sostituito. Il possibile innesco? Ce
ne possono essere tantissimi, sostengono gli addetti ai
lavori. Per esempio il motore di una delle autocisterne, o
cariche elettrostatiche che frequentemente si formano nelle
operazioni di travaso di liquidi viscosi.
La teoria della miscela di
gas entrata nel serbatoio è una di quelle che circolano in
queste ore all’interno del petrolchimico. Ma c’è anche chi
pensa ad una possibile perdita di gasolio dalla serpentina
che mantiene liquido il bitume. Il contatto col catrame
avrebbe fatto da detonatore. Eppoi l’altra eventualità,
quella dell’acqua penetrata nel serbatoio, provocando una
reazione chimica dagli effetti letali. |