Incendio
all'Api, un morto
Un camionista carbonizzato
nella raffineria di Falconara, feriti altri tre. Per
l'azienda le fiamme provocate da un incidente tra due
camion. Ma c'è anche chi parla dell'esplosione di due
serbatoi. Il sindaco chiede la chiusura dell'impianto
di SERGIO SINIGAGLIA
FALCONARA (Ancona) Sono le
7,20. Una grande nube nera si alza dalla Raffineria Api.
Diventa sempre più grande e copre i tetti della case di
Falconara. Poi si allunga verso la costa adriatica in
direzione di Ancona. Tutti dal capoluogo la possono vedere
avvicinarsi. Non ci vuole molto a capire che cosa possa
essere accaduto. Il «mostro» si è fatto nuovamente sentire e
ancora una volta in modo drammatico. Sebastiano Parisse, 49
anni, abitante a Potenza Picena, autotrasportatore di una
ditta esterna, sposato con due figli, è morto carbonizzato.
E' andata meglio a tre suoi colleghi: Nicola Cilli 36 anni
ha avuto il corpo ustionato al 40%. Ricoverato a Padova, al
centro ustionati non corre pericolo di vita. Meno grave
Marcelo Pelaiz 32 anni, argentino residente in provincia di
Ancona, che ha riportato ustioni alle mani e ai piedi.
Lievemente ferito l'anconetano Mauro Cameruccio, classe
1954. Sul posto sono arrivati vigili del fuoco provenienti
dal vicino aeroporto. Hanno impiegato quasi due ore per
domare l'incendio. Sulle ragioni del nuovo, grave,
incidente, ci sono per ora due versioni. La prima,
dell'azienda, parla di un autobotte che per errore è entrato
in collisione con uno dei sistemi di carico di bitume,
provocando un inizio di incendio che si è poi esteso ad uno
dei quattro sistemi di bitume. Sembrerebbe una versione che,
come in passato, voglia addebitare ad errore umano le cause
della tragedia. Ben diversa l'altra ipotesi formulata da
addetti ai lavori. Si racconta di un'esplosione - forse
dovuta a vapore - di un serbatoio vuoto di bitume che
avrebbe lesionato il serbatoio accanto, pieno, provocando
così la fuoriuscita di bitume semiliquido, dalla temperatura
altissima, che avrebbe preso fuoco.
L'incendio avrebbe coinvolto
i quattro lavoratori intenti al carico su una delle
autobotti. A causa dello scoppio pezzi di bitume sono
piombati nelle strade anche a un chilometro e mezzo di
distanza. La denuncia viene dai comitati di cittadini dei
quartieri Villanova e Fiumesino, che sorgono vicini alla
raffineria. Gli stessi comitati rilevano come il piano di
allarme abbia funzionato solo a metà. Infatti si è
provveduto al blocco della statale e della linea
ferroviaria, ma nessuno si è preoccupato di azionare la
sirena d'allarme, né ad avvisare la popolazione con gli
autoparlanti come previsto in caso di incidente. Dopo alcune
ore davanti allo stabilimento nella confusione generale, tra
autorità, carabinieri e giornalisti, spiccavano i volti
stravolti dei colleghi delle vittime. «Potevamo esserci noi
al loro posto -dicono -. Non sappiamo se decideremo di
riprendere il lavoro». Dichiarano di essere sorpresi dal
fatto perché il bitume è considerato normalmente innocuo.
Di incendio «anomalo» parlano
anche i rappresentanti sindacali giunti sul posto.
Sicuramente questa nuova tragedia pone drammaticamente il
problema della convivenza con un impianto tra i più ad alto
rischio nel nostro paese. Nato nel dopoguerra, durante il
boom economico, sviluppatosi anche grazie a piani regolatori
compiacenti, l'impianto Api di Falconara ha sempre sollevato
forti polemiche. Da una parte chi in nome dei «posti di
lavoro» non ha voluto fare i conti con una struttura che
sorge a fianco della trafficatissima statale, della linea
ferroviaria adriatica, in prossimità di due popolosi
quartieri appendice di una città di trentamila abitanti, ed
è sorvolata continuamente dagli aeroplani che atterrano nel
vicino «Raffaello Sanzio», scalo internazionale. Dall'altra
i comitati dei cittadini, le associazioni ecologiste, i
Verdi in prima fila con il consigliere regionale Marco
Moruzzi a chiedere la dismissione della Raffineria con il
trasferimento altrove, oppure la sua riconversione con
energie alternative. Del resto cinque anni fa il dottor
Clini allora dirigente al Ministero dell'ambiente disse
chiaramente che l'impianto oggi non sarebbe mai potuto
sorgere perché incompatibile con le nuove norme europee.
Considerazione resa pubblica poco tempo dopo l'incidente del
25 agosto che era costato la vita a due operai. Quindi una
vicenda che ha spaccato la sinistra. La stessa Legambiente
marchigiana ha avuto posizioni soft nei confronti del
«mostro» e a rinnovare per altri venti anni la concessione
all'Api, proprio un anno fa, è stato l'Assessore regionale
all'ambiente Marco Amagliani, del Prc. Motivazione
ufficiale: costringere la proprietà a mettere mano a certe
prescrizioni, altrimenti sarebbe intervenuto il governo
senza provvedere a nessuna limitazione. Divise anche le
istituzioni locali. Regione e Provincia dopo l'incidente
dell'estate del 1999 assicurarono la popolazione che giammai
il rinnovo in scadenza sarebbe stato concesso, per poi
rimangiarsi la parola data dopo poco tempo. L'unico a tenere
duro è stato il sindaco Carletti di Falconara che anche ieri
ha ribadito la sua posizione: «Mai come in questo momento -
ha detto - si rafforza la nostra avversione al provvedimento
che ha rinnovato la concessione per la Raffineria Api,
contro il quale facciamo drammatico appello per l'immediata
revoca». Secondo Carletti il rinnovo della concessione è
stato «un provvedimento inspiegabile, intempestivo , non
approfondito». |